Giudizio Universale

Vangelo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31 “Quando il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi Angeli, Si siederà sul trono della sua gloria. 32 E saranno riunite davanti a Lui tutte le genti, ed Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il Re dirà a quelli che stanno alla sua destra: ‘Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché Io ho avuto fame e Mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e Mi avete dato da bere; ero forestiero e Mi avete ospitato, 36 nudo e Mi avete vestito, malato e Mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi’. 37 Allora i giusti Gli risponderanno: ‘Signore, quando mai Ti abbiamo veduto affamato e Ti abbiamo dato da mangiare, assetato e Ti abbiamo dato da bere? 38 Quando Ti abbiamo visto forestiero e Ti abbiamo ospitato, o nudo e Ti abbiamo vestito? 39 E quando Ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarTi?’ 40 Rispondendo, il Re dirà loro: ‘In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a Me’. 41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: ‘Via, lontano da Me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 42 Perché ho avuto fame e non Mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non Mi avete dato da bere; 43 ero forestiero e non Mi avete ospitato, nudo e non Mi avete vestito, malato e in carcere e non Mi avete visitato’. 44 Anch’essi allora risponderanno: ‘Signore, quando mai Ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non Ti abbiamo assistito?’ 45 Ma Egli risponderà: ‘In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a Me’. 46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna (Mt 25, 31-46).

Il premio e il castigo

Mons. João Scognamiglio Clá Dias,EP

Nostro Signore descrive gli ultimi momenti della Storia del mondo, quando saremo tutti riuniti per il Giudizio Finale.

Per ragioni di brevità, focalizzeremo soltanto alcuni passi del Vangelo della Solennità di Cristo Re. Nelle letture dei giorni precedenti, Gesù insiste sulla necessità di essere preparati al momento di comparire davanti al tribunale divino. In questo senso è la parabola delle vergini stolte e di quelle sagge, con la quale inizia il capitolo 25 di San Matteo. Lo stesso si dica della parabola dei talenti, che viene subito dopo. Entrambe illustrano il discorso escatologico iniziato nel capitolo 24 dello stesso Evangelista, quando il nostro Redentore ammonisce  sugli avvenimenti che segneranno la fine del mondo: “Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo” (Mt 24, 27).

Era naturale che, dopo questi insegnamenti, Egli passasse alla descrizione dell’ultimo atto della Storia dell’umanità: il Giudizio Finale.

La seconda venuta di Gesù

31 “Quando il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi Angeli, Si siederà sul trono della sua gloria. 32a E saranno riunite davanti a Lui tutte le genti,…”

In questo modo, Nostro Signore inizia la descrizione degli istanti finali degli uomini su questa Terra. Meditiamo su questo, seguendo il categorico consiglio del Siracide: “In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato” (7, 36). Cioè, i “novissimi”. “Novissimo” è un termine proveniente dal latino novus, e vuol dire anche ultimo. È con questo significato che la Scrittura lo utilizza, per indicare gli ultimi avvenimenti della nostra vita: morte, giudizio, Cielo o inferno.

Per cominciare, osserviamo il linguaggio impiegato ora dal Divino Maestro. Egli non Si esprime più per comparazione né per metafora – “Il Regno dei Cieli è simile” (Mt 13, 24.47; 20, 1) –, ma parla direttamente: “Quando il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria”.

Non ci lascia dubbi quanto alla realizzazione del Giudizio Universale, verità, del resto, annunciata altre volte da Lui stesso: “Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida! […] Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra! Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c’è più di Giona” (Mt 11, 21-22; 12, 41).

Il tribunale

“E saranno riunite davanti a lui tutte le genti”, dice il Signore. Cioè, nessun uomo, per quanto potente sia stato, potrà sottrarsi a questa convocazione. Non ci sarà spazio per eccezioni, tergiversazioni, rinvii. L’ordine è perentorio.

Anche gli Angeli dovranno comparire, come afferma Gesù: “con tutti i suoi Angeli”. Ora, se sono gli uomini che saranno giudicati, qual è la ragione di questa presenza angelica?

Come spiega la Somma Teologica, il Giudizio Finale “riguarda indirettamente in qualche modo anche gli Angeli, in quanto furono impegnati nelle azioni degli uomini”.1 Così, il principale ruolo delle creature angeliche sarà quello di servire da testimoni.

Tuttavia, in un certo modo anche gli Angeli saranno giudicati: “Non sapete che giudicheremo gli Angeli?” (I Cor 6, 3), chiede San Paolo. E San Pietro afferma lo stesso riguardo ai demoni: “Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell’inferno, serbandoli per il giudizio” (II Pt 2, 4). Gli Angeli di Dio avranno un premio, che sarà la grande gioia nel vedere la salvezza dei loro protetti, mentre i demoni avranno un sovrappiù di tormento, nel “vedere moltiplicata la perdizione di coloro che essi indussero al male”.2

Sempre in ciò che concerne la costituzione del tribunale, certi uomini avranno un ruolo importante: saranno co-giudici con Nostro Signore. Questo è affermato, tra gli altri, da San Paolo: “O non sapete che i Santi giudicheranno il mondo?” (I Cor 6, 2). Secondo la Somma, questi co-giudici, “uomini perfetti”, giudicheranno per comparazione con se stessi, perché “in loro sono contenuti i decreti della giustizia divina”.

Separazione dei giudicati: la fine dei relativismi

32b “…ed Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra”.

Nella vita su questa Terra, l’anima umana, per una specie di istinto spirituale, cerca incessantemente la verità, il bene e il bello. Anche quando commette peccato, questi istinti spirituali continuano a operare. Inoltre, sono impressi nell’anima di ogni uomo i Dieci Comandamenti. Per tutto questo, nessuno riesce a praticare il male per il male, professare l’errore per l’errore, ammirare l’orrendo per l’orrendo.

Così, se i pensieri, desideri e atti di un individuo cominciano a fuggire abitualmente dalle Leggi di Dio, egli sente la necessità imperiosa di giustificarli, razionalizzandoli, cioè, cercando per loro spiegazioni razionali, per quanto assurde esse siano. E la via d’uscita consiste, in genere, nel cercare una conciliazione tra la verità e l’errore, il bene e il male, il bello e l’orrendo.

Tutto quello che prima era per lui di una luminosità cristallina, diventa di un’indeterminazione nebulosa e grigiastra. Ed egli affonda nel relativismo, funesto difetto morale, così comune nel corso della Storia, causa di tanti errori dottrinali che hanno allontanato dalla Chiesa Cattolica e dalla via della virtù milioni e milioni di anime. Nel Vangelo qui commentato, scompare ogni capriccio e vaneggiamento riguardo alla conciliazione tra questi valori inconciliabili. “Non datur tertium” – non c’è una terza soluzione possibile nel giorno del Giudizio. Il nostro destino sarà il Cielo o l’inferno. Sarà la più folgorante e universale manifestazione dell’Assoluto nell’ordine della creazione.

Il giudizio

Una domanda che può esser venuta in mente a vari lettori: la maggior parte degli uomini sarà già stata giudicata dopo la sua morte – ad eccezione di quelli che saranno vivi, quando giungerà il momento della fine del mondo –; perché, allora, passare nuovamente per un Giudizio?

La Somma Teologica4 e il Catechismo Romano5 fanno comprendere meglio il motivo di questi due tribunali. Infatti, nel giudizio personale ogni uomo è giudicato privatamente da Dio, rimanendo il suo foro intimo, come pure tutte le conseguenze dei suoi peccati, nascosti agli altri uomini. Per la piena glorificazione della giustizia divina è indispensabile che ci sia un altro Giudizio, pubblico e universale, nel quale diventino palesi agli occhi di tutti l’innocenza dei buoni e la turpitudine dei cattivi.

Nessun atto di virtù e nessuna colpa, per minime che siano, saranno omessi. Assicura San Paolo che in Dio “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28), pertanto, niente può sfuggire alla sua divina conoscenza e al suo assoluto giudizio e, nel giorno del Giudizio, “Dio citerà in giudizio ogni azione, tutto ciò che è occulto, bene o male” (Qo 12, 14).

A questo proposito, sostiene San Paolo: “Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male” (II Cor 5, 10). “Per questo” – dice ancora San Paolo – “Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio” (I Cor 4, 5). In questo modo, tutti i nostri pensieri verranno a galla. Ugualmente non saranno esenti dal premio o dal castigo le nostre parole: “Ma Io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del Giudizio” (Mt 12, 36).

Il Redentore ci attribuirà meriti o pene per le nostre opere: “renderà a ciascuno secondo le sue opere” (Rm 2, 6). Chiederà anche conto delle nostre omissioni: “Chi dunque sa fare il bene e non lo compie, commette peccato” (Gc 4, 17).

La nostra coscienza, col potente aiuto divino, ci farà ricordare con chiarissima memoria tutte le nostre azioni, buone e cattive, e anche quelle che dovevano essere state praticate e non lo sono state per nostra colpa. Allo stesso modo, ci ricorderà i nostri pensieri e desideri. Non solo, dunque, i peccati gravi, ma anche quelli lievi e persino le imperfezioni. Questo così esatto e minuzioso ricordo già di per sé costituirà una sentenza inappellabile.

Su questa Terra, quando vogliamo rimanere sul brutto cammino, soffochiamo la nostra coscienza. Però, nel giorno del Giudizio, essa s’imporrà alle nostre velleità.

Il premio dei Beati

34 “Allora il Re dirà a quelli che stanno alla sua destra: ‘Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo’”.

Il Paradiso

L’essenza del premio sarà la visione beatifica, cioè, la contemplazione di Dio faccia a faccia. Con la forza della grazia ci sarà possibile contemplare la stessa essenza di Dio, invece di discernerLo solo per i suoi riflessi nelle creature: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto” (I Cor 13, 12).

Per la nostra natura, abbiamo una sete insaziabile di felicità, di un amore smisurato che nessuna creatura riuscirà a placare e può essere esaudita solo da Dio stesso. Il famoso teologo padre Réginald Garrigou-Lagrange spiega: “La nostra volontà è di una profondità infinita, nel senso che solo Dio, visto faccia a faccia, può colmarla e attirarla irresistibilmente”.6

A questo proposito, esclama Sant’Agostino: “In verità, infelice quell’uomo che, conoscendo tutte le cose [terrene], Ti ignora, e felice, al contrario, chi Ti conosce, anche se ignora tutto il resto! Quanto a colui che Ti conosce e conosce anche le cose terrene, non è lui più felice per questo, ma unicamente è felice per Te, se, conoscendoTi, Ti glorifica come Dio e Ti dà grazie, non insuperbendosi nei suoi propri pensieri”.7 Dopo la morte, libera da tutto quello che l’attorniava sulla Terra, l’anima ha un’avidità incoercibile di volare fino a Dio, per contemplarLo faccia a faccia, come scrive lo stesso Santo: “Tu ci hai fatto per Te, Signore, e inquieto è il nostro cuore finché in Te non riposerà”.8

Oltre alla visione di Dio, i Beati riceveranno in Cielo altri premi, smisuratamente minori, ma anche così, preziosissimi e incomparabili con le cose della Terra.

In primo luogo, avranno corpi gloriosi. Leggiamo nella Prima Lettera ai Corinzi: “Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale” (I Cor 15, 42-44).

Inoltre, avranno l’inimmaginabile gioia di poter contemplare il Signore Gesù, la Madonna e i Santi, come pure le meraviglie del mondo già allora rinnovato. Sì, poiché l’universo passerà per un intero rinnovamento, per il quale conserverà soltanto quello che di più bello conterrà, e sarà libero da ogni materia corruttibile o ordinaria.

Come se non bastasse, i Beati avranno come dimora il Cielo Empireo, rispetto al quale scrive Garrigou-Lagrange: “Il Cielo è il luogo e, meglio ancora, lo stato della suprema beatitudine. Se Dio non avesse creato nessun corpo, ma soltanto puri spiriti, il Cielo non sarebbe un luogo, ma soltanto lo stato degli Angeli che godono del possesso di Dio. Di fatto, il Cielo è anche un luogo, nel quale stanno l’umanità di Gesù, dall’Ascensione, la Beata Vergine Maria, dall’Assunzione, gli Angeli e le anime dei Santi. Sebbene non possiamo dire con certezza dove si trovi questo luogo in relazione all’insieme dell’universo, la Rivelazione non permette di dubitare della sua esistenza, noi lo vedremo”.9

Grandi teologi cattolici affermano che il Cielo Empireo è un luogo concreto, tra questi il celebre gesuita fiammingo Cornelio a Lapide. Egli dice che il Cielo “è edificato dalla stessa mano di Dio, da ciò la sua bellezza, il suo splendore e le sue ricchezze. Infatti, Dio in esso ha collocato un incomparabile ornamento. Il luogo che i suoi eletti vi occupano è infinitamente bello, poiché è stato preparato da Gesù Cristo stesso”.10 Portato una volta fino a lì, San Paolo vide qualcosa di così magnifico che non trovò parole per descriverlo, limitandosi a esclamare: “‘Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo’, queste ha preparato Dio per coloro che Lo amano” (I Cor 2, 9).

Il castigo dei condannati

Il Giudizio Universale, l’inferno

Gettiamo, ora, il nostro sguardo a quella porzione dell’umanità che dovrà sentire la terribile sentenza…

41a “Poi dirà a quelli alla sua sinistra: ‘Via, lontano da Me, maledetti,…’”

Lo stesso Creatore rifiuta, per sempre, esseri che Lui ha creato. Che castigo orrendo! Si tratta della cosiddetta pena di danno, parola derivata dal latino damnum, perdita, poiché questo tormento consiste nella perdita del possesso di Dio, il nostro fine ultimo. Mentre sta nella vita presente, l’anima non riesce a valutare l’immensità di questa perdita. I beni sensibili non smettono di attirare la sua attenzione; in ogni momento riceve notizie domestiche o professionali, o dei fatti nazionali e internazionali; ha preoccupazioni e necessità di alimentazione, pulizia, salute, tempo libero; si dedica a piaceri; accarezza ambizioni e progetti per la carriera e per la famiglia ed è circondata da parenti, amici, insomma, da tutto quello che costituisce il suo mondo.

Ma quando l’anima si separa dal corpo, tutto questo rumore cessa all’improvviso, tutti gli interessi che la catturano sulla Terra perdono il loro valore. Essa si vede completamente sola, e “prende, allora, coscienza della sua profondità smisurata, che solo Dio, visto faccia a faccia, può soddisfare; vede anche che questo vuoto non sarà mai riempito”.11 Se sarà morta in peccato, “essa è nella notte, nel vuoto, nell’esilio, espulsa, ripudiata, maledetta; questa è giustizia”.12

In quanto infinitamente vero, buono e bello, Dio è infinitamente attraente. I condannati, per loro natura, sono attratti da questa Bellezza Suprema, unica capace di soddisfare la loro necessità insaziabile d’amore. Tuttavia, Dio li respinge completamente, e loro, in deliri di furore infernale, non fanno che detestarLo, maledirLo, bestemmiare contro di Lui. È il tormento di un cuore appassionato e roso dall’odio. È la sofferenza atroce dell’amore contrariato, disprezzato, trasformato in furia, posto continuamente in un estremo di odio e disperazione.

41b “…nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”.

Comparata all’orrore della pena di danno, la pena dei sensi può persino sembrare soave… Tuttavia, per sé è anch’essa tremenda! L’agente di questo castigo è il fuoco: “Chi di noi può abitare presso un fuoco divorante?” (Is 33, 14), chiede con paura il profeta Isaia. L’inferno è un abisso di fuoco, uno “stagno ardente di fuoco e di zolfo” (Ap 21, 8). E non illudiamoci, pensando che l’espressione “fuoco eterno” sia solo una metafora, un’immagine per riferirsi al rimorso della coscienza.

È una dottrina universalmente accettata nella Chiesa, basata sulla Sacra Scrittura e sul consenso dei Padri, che si tratti di un fuoco reale, eterno e inestinguibile, che tortura gli spiriti e brucerà i corpi senza distruggerli.

Una risoluzione improcrastinabile

Rivelandoci questo mistero, Gesù dimostra la sua infinita bontà verso di noi. Il Suo obiettivo, mettendoci in guardia in maniera così veemente, è evitarci la disgrazia eterna, e portarci presso di Lui, nella felicità del Paradiso. Profondamente grati, prendiamo senza indugio la ferma risoluzione di chiederGli le grazie necessarie per reprimere le nostre cattive passioni, evitare il peccato e praticare la virtù, in modo tale da poter udire dalle sue labbra adorabili questo celestiale invito: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo!”.

Nostro Signore Giudice

 

1) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. Suppl., q.89, a.8.

2) Idem, ibidem.

3) Idem, a.1.

4) Cfr. Idem, q.88, a.1, ad 1.

5) Cfr. CATECHISMO ROMANO. P.I, c.8, n.4.

6) GARRIGOU-LAGRANGE, OP, Réginald. L’Éternelle vie et la profondeur de l’âme. Paris: Desclée de Brouwer, 1950, p.29.

7) SANT’AGOSTINO. Confessionum. L.V, c.4, n.7. In: Obras. 7.ed. Madrid: BAC, 1979, v.II, p.198

8) Idem, L.I, c.1, n.1, p.73.

9) GARRIGOU-LAGRANGE, op. cit, p.283.

10) CORNELIO A LAPIDE. Ciel. In: BARBIER, SJ, Jean-André (Org.). Les trésors de Cornelius a Lapide. 4.ed. Paris: Ch. Poussielgue, 1876, v.I, p.283.

11) GARRIGOU-LAGRANGE, op. cit, p.163.

12) MONSABRÉ, OP, Jacques-Marie-Louis. L’enfer: nature des peines. In: Exposition du Dogme Catholique. L’Autre Monde. Carême 1889. Paris: L’Année Dominicaine, 1889, v.XIX, p.105