Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1 “Il Regno dei Cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. 2 Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3 le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; 4 le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. 5 Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. 6 A mezzanotte si levò un grido: ‘Ecco lo sposo, andategli incontro!’ 7 Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8 E le stolte dissero alle sagge: ‘Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono’. 9 Ma le sagge risposero: ‘No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene’. 10 Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11 Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: ‘Signore, signore, aprici!’ 12 Ma egli rispose: ‘In verità vi dico: non vi conosco’. 13 Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora (Mt 25, 1-13).
Gioia o timore, davanti allo Sposo che arriva!
La lampada della nostra anima brilla grazie all’olio della virtù? O essa è spenta dalla freddezza? Se così è, nel giorno del Giudizio il Divino Sposo dirà che non ci conosce!
I – La più solenne festa sociale del popolo eletto
La Liturgia della 32ª Domenica del Tempo Ordinario ci presenta la famosa parabola delle dieci vergini che escono incontro allo sposo, composta da Nostro Signore nel contesto del suo discorso escatologico. Era una storia perfettamente accessibile a coloro che Lo ascoltavano – in questo caso, i discepoli –, poiché si svolgeva intorno a un noto costume dell’epoca: la cerimonia nuziale. Nei nostri giorni gli usi sono differenti, cosa che ci rende difficile captare il significato profondo di questa narrazione del Divino Maestro. Siccome i Vangeli sono la Parola di Dio, il loro senso abbraccia tutte le epoche storiche. Così, occorre ricordare queste remote tradizioni, per meglio intendere il linguaggio di Nostro Signore e da esso estrarre l’applicazione che ci conviene.
Un contratto familiare sigillato con gioioso splendore
La principale commemorazione sociale esistente nella vita del popolo eletto, nell’Antico Testamento, era la festa di matrimonio. Per renderlo effettivo, le famiglie di entrambe le parti si accordavano previamente sulle condizioni dell’unione, in particolare il prezzo del mohar, una somma in denaro che quella del giovane doveva consegnare al padre della ragazza. In seguito si celebravano gli sponsali, con i quali gli sposi diventavano promessi tra loro e, infine, come culmine delle menzionate trattative tra i parenti, si fissava la data delle nozze, in genere con considerevole anticipo. Solo allora si formalizzava l’alleanza definitiva in un contratto scritto.1
L’istituzione della famiglia era molto stimata e aveva una struttura più solida che nei giorni nostri, conservando ancora caratteristiche del periodo patriarcale, quando il padre aveva il ruolo di un piccolo capo di stato, con potere su tutti quelli che stavano sotto la sua protezione e autorità. Si comprende che la fondazione di una nuova famiglia fosse un avvenimento contornato di gioia e dei più splendidi festeggiamenti, i quali duravano sette giorni, potendosi estendere anche per due settimane.
Il corteo nuziale formato dagli amici degli sposi
Un momento sui generis di questa solennità era quello che cominciava all’ora del crepuscolo, quando il Sole emetteva i suoi ultimi raggi. Lo sposo si dirigeva alla casa della sposa, accompagnato dai suoi amici e ornato come un re, con il capo cinto da una corona, con tutto il lusso che i suoi averi permettevano. Per dar corpo e magnificenza al cerimoniale, le amiche della sposa, anche loro vergini, aspettavano con lei l’arrivo dello sposo, che l’avrebbe condotta in giubilante corteo fino alla sua casa,2 dove sarebbe iniziato il banchetto con le benedizioni proferite dal padre di uno degli sposi o da una persona di spicco. È possibile che nelle Nozze di Cana Gesù sia stato l’ospite d’onore che ha benedetto i coniugi. Logicamente anche queste giovani amiche della futura sposa entravano nella festa come commensali di stima e considerazione speciali.
Per spostarsi di notte per le strade seguendo la processione nuziale, le vergini, come gli altri partecipanti della cerimonia, usavano strumenti d’illuminazione propri dell’epoca: torce o lampade. Non c’era illuminazione artificiale con energia elettrica. Quando si faceva buio, diventava impossibile muoversi in sicurezza nell’intensa oscurità, e si usavano lampade per facilitare la visibilità delle vie – come quelle di cui parla Nostro Signore –, normalmente fatte di argilla e alimentate con olio o resina. Siccome non erano grandi, il combustibile durava poco. Se il tragitto si prevedeva lungo era necessario portare una riserva di olio.
I fiammiferi non erano stati inventati, né l’accendino a gas. Per ottenere il fuoco era richiesta una certa arte e pazienza: si battevano due pietre particolari l’una contro l’altra, finché si accendeva con una scintilla lo stoppino o qualcosa di facilmente infiammabile. Era un compito così complesso, che di solito si teneva una di queste lampade sempre accesa, o si conservavano alcune braci nel focolare, per ottenere il fuoco in fretta per qualsiasi scopo. Lasciare che la fiamma si spegnesse era un vero disastro, perché accenderla di nuovo non sarebbe stato per nulla semplice. Era imperativo esser vigili e fare attenzione a che la lampada contenesse olio sufficiente…
Questa è la realtà della vita sociale israelita che Gesù affronterà e, con la sua insuperabile didattica, applicherà in una parabola, combinando gli aspetti veridici, come quelli descritti sopra, con dati fittizi. Tuttavia, aggiungendo questi ultimi – per esempio, il fatto che le vergini rimanessero in attesa dello sposo fino a mezzanotte, ritardo che mai capitava – il Divino Maestro stimolava l’interesse e l’immaginazione di chi ascoltava, facendo sì che comprendessero meglio la lezione morale che Egli voleva trasmettere.
II – Dieci vergini: i sensi del corpo e dello spirito
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli questa parabola: 1 “Il Regno dei Cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. 2 Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3 le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; 4 le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi”.
Il numero di amiche che potevano accompagnare la sposa durante le nozze non era definito, ed erano tante quante volevano gli sposi. Quale sarà nella parabola, allora, il senso più profondo dato da Nostro Signore al fatto che fossero cinque vergini sagge e cinque invece stolte?
I Padri della Chiesa suggeriscono una spiegazione molto utile per la nostra vita spirituale: “Le cinque vergini sagge e le cinque stolte” – afferma San Girolamo – “possono esser interpretate come i cinque sensi, di cui alcuni camminano in fretta verso le dimore Celesti e desiderano le cose elevate, e altri, che hanno un avido appetito dell’immondizia terrena e sono quindi prive dell’incentivo della verità per illuminare il cuore. Della vista, dell’udito e del tatto, in senso spirituale, è stato detto: ‘ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato’, (I Gv 1, 1); sul palato: ‘Gustate e vedete quanto è buono il Signore’ (Sal 34, 9); sull’olfatto: ‘Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi’ (Ct 1, 3) e anche ‘Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo’ (II Cor 2, 15)”.3
Possediamo cinque sensi corporali: tatto, gusto, olfatto, udito e vista. Ora, tutti loro hanno il proprio corrispondente nell’anima, come ci fornisce un’eloquente prova, la stessa Scrittura. Così, possiamo vivere in funzione dei cinque sensi carnali o dei cinque spirituali. Chi agisce in accordo con i primi, utilizzandoli per il male, si preoccupa di compiacere la sua vanità, il suo egoismo, la curiosità, il delirio di attirare l’attenzione su di sé e di compararsi con gli altri; insomma, di soddisfare le sue passioni. Chi, però, procede secondo i suoi sensi spirituali è costantemente orientato al suo ideale e alla sua vocazione, avendo presente, soprattutto, chi l’ha chiamato: Dio! Ciò nonostante, per guidare questi sensi con la rettitudine dovuta, bisogna che ci sia olio, ma in abbondanza, in eccesso… Infatti, l’olio significa sapersi preparare a mantenere la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto e il tatto volti al soprannaturale, con l’attenzione posta sullo Sposo che arriverà, il quale, evidentemente, è il Signore Gesù.
Tale è la condotta delle cinque vergini sagge che hanno portato olio in sovrappiù, cioè, hanno rafforzato la vigilanza contro qualsiasi eventuale errore, evitando, a ogni costo, le occasioni prossime di peccato.
Le vergini stolte, immagine delle anime deboli
All’estremo opposto è l’atteggiamento delle vergini stolte. Si noti che esse non sono andate alla festa sprovviste di olio, solo ne hanno portato una quantità esigua, per non volersi caricare di una ciotola. Credevano che quel poco gli sarebbe stato sufficiente, poiché lo sposo certo non avrebbe tardato… E se gli fosse venuto a mancare, sarebbe bastato prenderlo da una delle compagne. Questa è proprio l’immagine di quelli che hanno l’anima debole, dei mediocri, la cui intenzione si afferra alle cose materiali, concrete, umane. Gli piace il mezzo termine, sono contenti con se stessi, considerano qualsiasi progresso nella virtù un’esagerazione. Giustificano le loro colpe col fatto che sono concepiti nel peccato originale, e si dimenticano che il Divino Redentore ha ottenuto la grazia sovrabbondante per la nostra santificazione. Creano, con questo, l’illusione che il loro scarso sforzo sia già sufficiente per entrare nel Cielo. Ora, con le mezze misure non si ottiene la beatitudine! “Tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3, 15-16).
La dinamica della vita spirituale può ben esser comparata a una scala mobile, però con una caratteristica sui generis: la usiamo per salire, quando la scala scende. Questa immagine rappresenta le nostre cattive inclinazioni, poiché la natura umana decaduta trascina sempre verso il basso. Se vogliamo salire la scala mobile alla stessa velocità con cui essa scende, non ci spostiamo. Quella della vita spirituale, tuttavia, possiede una curiosa particolarità: se saliamo con la stessa rapidità la sua velocità aumenta, in modo tale che è indispensabile imprimere all’ascensione una maggior velocità di quella della scala, se no saremo subito al punto di partenza. Se andiamo più in fretta, otterremo di progredire, e raggiungeremo con facilità la sua cima!
La natura umana esige l’assopimento, ma senza perdere la vigilanza
5 “Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono”.
Poteva accadere, in qualche occasione, che lo sposo tardasse un po’ più del previsto. Ora, Nostro Signore si riferisce a un ritardo esorbitante, particolare che indica un’esagerazione intenzionale. A tal punto lo sposo tardò che le vergini cedettero alla stanchezza, fino ad addormentarsi. La parabola, delicata e saggia com’è, non recrimina il fatto che tutte avessero dormito, quanto invece, come vedremo, l’imprevidenza delle cinque stolte. Infatti, ci sono opportunità in cui pensiamo di esser pronti per accogliere lo Sposo, ma Lui non Si affretta a venirci incontro. Allora, ci è richiesto un lungo periodo di attesa fino alla sua venuta.
Questa situazione di per sé non è brutta; al contrario, è persino formativa. Tutti passiamo per periodi di aridità, tanto i ferventi come coloro che hanno stagnato nella mediocrità. I sensi si spengono, e la notte buia ci sottrae la chiarezza del panorama per il quale siamo chiamati dalla nostra vocazione di cristiani. Non raramente questo capita in prossimità della morte e, per quanto incredibile sembri, persino ai Santi. Santa Teresa di Gesù Bambino e tanti altri, nei loro ultimi giorni, hanno sopportato una terribile aridità.
C’è, anche, nella sonnolenza delle dieci vergini un altro simbolismo. Dato il nostro stato di contingenza, è impossibile, se non per un’azione straordinaria della grazia, che non siamo attratti dalle più diverse realtà della vita. Sono momenti in cui non riusciamo a pensare agli alti orizzonti del soprannaturale e dobbiamo sonnecchiare un po’, ossia, prestare attenzione agli aspetti materiali dell’esistenza, come la salute, il cibo o le necessità pecuniarie. Nel farlo, tuttavia, dobbiamo sempre avere da parte un vasetto di olio, simbolo di una vita interiore solida, con molta vigilanza, in modo che passata la necessità di occuparci del concreto, torniamo a elevare lo sguardo alle cose Celesti.
Ma quante volte sonnecchiamo, al punto da cadere in un sonno profondo e dimenticare l’importanza primordiale della provvigione dell’olio… Abbandoniamo gli esercizi di pietà, smettiamo di pregare, non fuggiamo dalle occasioni di peccato… Di rilassamento in rilassamento nella vita spirituale, quando meno ci si aspetta appare lo Sposo! Non esiste energia umana capace di mantenerci nella pratica della virtù. È necessario avere una buona riserva di olio: molta vigilanza e orazione, poiché senza la forza dello Spirito Santo nessuna creatura si conserva stabilmente in stato di grazia.
6 “A mezzanotte si levò un grido: ‘Ecco lo sposo, andategli incontro!’ 7 Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade”.
Se il matrimonio si doveva realizzare al tramonto e lo sposo si presentò solo a mezzanotte, le dieci giovani aspettarono varie ore, per cui l’olio si consumò. Le cinque sagge subito prepararono le loro lampade, versando l’olio che avevano nella ciotola, in modo da ricevere lo sposo e fare ancora con lui tutto il percorso restante.
L’illusione di cambiar vita quando arriva lo Sposo
8 “E le stolte dissero alle sagge: ‘Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono’. 9 Ma le sagge risposero: ‘No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene’”.
Le vergini stolte compresero che il loro olio stava per finire e ne chiesero una parte alle sagge. Queste non gliene cedettero neanche un po’, senza comunque manifestare egoismo con tale atteggiamento, poiché, essendo state sagge, avevano il diritto di disporre a proprio beneficio di quello che avevano. Per questo mandarono le stolte a comprare olio. Ora, come avrebbero potuto trovare un venditore a quell’ora della notte? Era qualcosa d’inusitato: bussare alla porta del commerciante in un’ora così tarda – ancor più a quel tempo – sarebbe stato inutile; nella migliore delle ipotesi, costui avrebbe detto di tornare il giorno dopo. Le vergini stolte non ebbero successo mentre le sagge sì, anche perché non diedero un po’ del loro olio a quelle che lo sollecitavano. Analizziamo, dunque, il motivo di questo rifiuto delle sagge: non si possono trasferire i meriti dagli uni agli altri, poiché ogni anima è obbligata ad acquisire i suoi e a vegliare sulla propria vita spirituale. Quando arriva il momento di comparire davanti a Dio non è possibile che uno più saggio ci impresti meriti, e non possono “le virtù di uno rimediare i vizi di altri”.4 O si ha quello che si dovrebbe presentare in quel momento o non si ha! È quello che ci ricorda San Giovanni Crisostomo, in modo molto incisivo: “Che lezione trarre da questo? Nell’altro mondo, chi non avrà buone opere non potrà esser soccorso da nessuno, non perché non vogliano farlo, ma perché è impossibile. Le vergini stolte, in realtà, hanno cercato rifugio nell’impossibile”.5
All’ultimo giorno ormai non ci sarà tempo di cambiare, salvo che non ci sia concessa una grazia fulminante ed efficace, poiché non siamo capaci di modificare il nostro comportamento nello spazio di un istante e recuperare tutto quello che era necessario che fosse realizzato durante una vita intera. Pertanto, davanti all’imminenza della morte, reagiremo come siamo abituati a fare. Se non faremo provvista di olio, quando siamo svegli, per quanto ci vorremo sforzare, non lo otterremo, perché si muore come si è vissuto. È notte, non ci sono negozi aperti… Quanto illusorio si manifesta, allora, il calcolo di molti: “Dio è buono! Egli certamente mi darà un avviso prima di chiamarmi e, alla fine, mi pentirò, pregherò un po’ e con un’assoluzione tutto si risolverà!”. Chi conosce le circostanze in cui la morte sorprenderà ognuno di noi? Chi ci garantisce la presenza di un sacerdote disponibile ad amministrare gli ultimi Sacramenti?
L’anima debole cerca la consolazione nel peccato
10 “Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa”.
Le vergini stolte uscirono per comprare l’olio. Che cosa significa questo? Quando ci allontaniamo dallo Sposo, andiamo a cercare le consolazioni del mondo. Chi è viziato nei piaceri terreni non cerca coraggio in Gesù, ma in ciò cui è avvezzo. E come presentarsi poi davanti a Dio, con la coscienza tranquilla? In questo senso è la riflessione di Sant’Agostino: “Non si deve pensare che esse [le sagge] gli diano un consiglio, ma che gli ricordino la colpa, indirettamente. Perché i venditori di olio sono gli adulatori che, elogiando ciò che è falso o sconosciuto, inducono le anime all’errore […]. Quando esse si inclinavano verso le cose esterne e cercavano di svagarsi nei piaceri abituali, perché non avevano gusto nei piaceri interiori, è arrivato Colui che giudica”.6
Le vergini sagge, al contrario, possedevano sufficiente olio della virtù praticata con entusiasmo, con fortezza, con generosità, con distacco, avendo i sensi dell’anima riposti nel soprannaturale, e sono potute entrare con lo Sposo nella sala delle nozze.
Se non faremo scorta di olio, subiremo il ripudio dello Sposo
11 “Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: ‘Signore, signore, aprici!’ 12 Ma egli rispose: ‘In verità vi dico: non vi conosco’”.
Per meglio comprendere la gravità dell’insegnamento di Nostro Signore con questa parabola, bisogna sapere che “non conoscere” nel linguaggio di quei tempi aveva un’accezione un po’ differente da quella che le attribuiamo oggi. Nel senso moderno significa ignorare chi è la persona. Ma in quell’epoca in cui la popolazione era quasi nulla, a paragone con quella attuale, in una città, e ancor più in un villaggio, tutti si relazionavano tra loro. L’espressione “non ti conosco” equivaleva a trattare l’altro come straniero e mandarlo via. Era, pertanto, un ripudio, un’offesa. “Che significato ha: non vi conosco?” – chiede Sant’Agostino – “Avete la mia disapprovazione, il mio biasimo. Non vi conosco perché non siete compatibili col mio modo di procedere; il mio procedere non conosce il vizio. Che cosa mirabile: non conosce i vizi e, tuttavia, li giudica”.7 Così, nelle parole dello sposo si rivela la sentenza del Divino Giudice che i reprobi udiranno nel grande giorno: “Via, lontano da Me, maledetti, nel fuoco eterno” (Mt 25, 41).
A quelle giovani infelici a nulla ha giovato la loro condizione verginale per avere il diritto di entrare alla festa, poiché la verginità del corpo perde il suo valore quando manca quella dell’anima, come si evince dall’affermazione di San Girolamo: “Il Signore non conosce quelli che praticano l’iniquità e, anche se sono vergini, […] siano orgogliosi della loro purezza corporale e della loro confessione della vera fede, tuttavia, poiché non hanno l’olio della saggezza, gli basta come castigo che lo Sposo li ignori”.8 Anche noi dobbiamo avere olio nella lampada nella vita di tutti i giorni, cioè, coltivare bene la vita spirituale, pregare sempre, comunicarci con frequenza e confessarci con regolarità. Anche senza avere argomenti gravi da dichiarare è imprudenza non approssimarci al tribunale della Penitenza, perché questo Sacramento infonde nell’anima abbondanti grazie che solo lì si ottengono, anche se non c’è necessità di recuperare lo stato di grazia. Per questo il penitente deve enunciare almeno genericamente le colpe del passato, al fine di ricevere l’assoluzione. Era quello che motivava vari Santi, come San Vincenzo Ferrer, Sant’Ignazio di Loyola o San Carlo Borromeo a fare la confessione quotidiana. Alcuni, come San Francesco di Borgia o San Leonardo di Porto Maurizio, la facevano due volte al giorno.9
Le nostre opere saranno conosciute da tutti
C’è chi s’illude, con la scusa di aver commesso le sue colpe di nascosto, lontano dalla vista degli uomini. In realtà, però, di fronte alla prospettiva del Giudizio Finale, lo stare da solo non esiste. E se siamo propensi a ritenere che questo giorno grandioso e terribile sarà fra così tanti secoli che nessuno si ricorderà di noi, dobbiamo, al contrario, persuaderci della serietà di quest’occasione in cui, per il divino potere, non solo ognuno custodirà nella memoria la totalità dei suoi atti, ma tutti conosceranno le opere degli altri.10 Dio, davanti al quale tutto è presente – perché per Lui non esiste passato né futuro –, per così dire, trasferirà alla nostra comprensione, incapace di per sé di abbracciare una tale immensità, la conoscenza dei meriti e demeriti di ognuno. Questa nozione non si spegnerà, di modo che tanto i Beati e gli Angeli del Cielo quanto i dannati dell’inferno la conserveranno eternamente.
Il valore della vigilanza
13 “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.
Infine, Nostro Signore conclude la parabola rendendo chiaro che l’ha elaborata con l’obiettivo di incentivarci a essere vigili. Egli ha ammonito i suoi discepoli, dopo aver annunciato gli ultimi avvenimenti e la sua venuta gloriosa: “Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’Uomo” (Lc 21, 36). E poco prima di cominciare la Passione, durante l’Agonia nell’Orto degli Ulivi, ha raccomandato loro nuovamente: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione” (Mt 26, 41). Quante volte preghiamo, e anche molto, per non cadere in tentazione! Soltanto questo, però, non basta, perché è necessario vigilare. Vigilare è tanto importante quanto pregare, poiché premunendoci, fuggiamo dalle occasioni prossime di peccato e, con questo, impediamo la possibilità di una caduta. Vigilare, dunque, significa avere gli occhi ben aperti affinché i sensi inferiori non ci trascinino in basso, ma, piuttosto, ci aiutino a salire fino a Dio, ammirando i suoi riflessi nella creazione. La bellezza di una rosa, un soave tessuto, un gradevole profumo, un’armoniosa musica o anche un ottimo cibo, sono elementi che possono elevarci l’anima.
Ecco l’ispirazione evangelica per un buon esame di coscienza: come mi comporto in questa materia? I miei cinque sensi carnali dominano i sensi spirituali? Quali circostanze mi portano al male? Tale compagnia non è buona? È necessario tagliare. Tale programma di televisione sconveniente? Non devo vederlo. Tale accesso a internet? L’eviterò a ogni costo. Se la vigilanza esige che io strappi un occhio o tagli una delle mani, come dice figurativamente Nostro Signore (cfr. Mt 5, 29-30), è imprescindibile farlo, perché è meglio entrare in Cielo zoppo, monco o cieco, che, conservare tutte le membra, ed essere gettato nel fuoco eterno (cfr. Mt 18, 8-9).
Una profezia sicura: la nostra morte
Non lasciamo per domani quello che possiamo fare oggi, perché forse questa stessa notte saremo giudicati! Profezia certa e sicura è questa: tutti moriremo. Giorno e ora, però, nessuno lo sa, poiché anche un malato in punto di morte ignora l’istante esatto in cui questa lo raggiungerà. Chi oserà promettere che domani si sveglierà? Chi si azzarderà a garantire che terminerà di leggere questo scritto? Il nostro destino è la morte, ma la sua prospettiva ci aiuta ad abbandonare gli affetti e ci strappa dal cammino errato che abbracciamo. Entrare per le vie del vizio è una pazzia, perché non esiste nulla sulla faccia della Terra di più avverso a Dio del peccato, che ci espone a essere colti dal giusto Giudice nel momento in cui meno ce l’aspettiamo (cfr. Mt 24, 44.50; Lc 12, 46), con le mani vuote e le lampade spente. E Lui dirà che non ci conosce! Chiediamo a Nostro Signore Gesù Cristo, per intercessione di Maria Santissima, la grazia di essere realmente vigili nei nostri pensieri, desideri e azioni, mirando alla santità in tutto. Così saremo sempre con la lampada rifornita di olio…
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1) Cfr. TUYA, OP, Manuel de; SALGUERO, OP, José. Introducción a la Biblia. Madrid: BAC, 1967, v.II, p.310-312.
2) Cfr. Idem, p.312-313
3) SAN GIROLAMO. Commento a Mateo. L.IV (22,41-28,20), c.25, n.58. In: Obras completas. Comentario a Mateo y otros escritos. Madrid: BAC, 2002, v.II, p.353; 355
4) Idem, p.357.
5) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Omelia LXXVIII, n.1. In: Obras. Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (46-90). 2.ed. Madrid: BAC, 2007, v.II, p.553.
6) SANT’AGOSTINO. De diversis quæstionibus octoginta tribus. Q.59, n.3. In: Obras. Madrid: BAC, 1995, v.XL, p.165-166.
7) SANT’AGOSTINO. Sermo XCIII, n.16. In: Obras. Madrid: BAC, 1983, v.X, p.620.
8) SAN GIROLAMO, op. cit., p.357.
9) Cfr. SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI. La veritable épouse de Jésus-Christ. C.XVIII, n.1. In: Œuvres Ascétiques. 6.ed. Tournai: Casterman, 1882, t.XI, p.17; CHIAVARINO, Luis. Confessai-vos bem. 4.ed. São Paulo: Paulinas, 1957, p.105-106.
10) Cfr. SANT’AGOSTINO. De Civitate Dei. L.XX, c.14. In: Obras. Madrid: BAC, 1958, v.XVI-XVII, p.1480; SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. Suppl., q.87, a.1; a.2
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