In quel tempo, Gesù disse ai suoi Apostoli: 26 “Non li temete dunque, poiché non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. 27 Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti. 28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna. 29 Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. 30 Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; 31 non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri! 32 Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’Io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei Cieli; 33 chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’Io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei Cieli” (Mt 10, 26-33).
Domani, sapremo tutto!
La morte, con la sua implacabilità, toglie dai nostri
occhi gli occhiali che falsano la visione sia dell’universo
creato che della relazione di ognuno di noi con il
prossimo e con Dio. Nel giorno del Giudizio “non v’è
nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di
segreto che non debba essere manifestato”.
I – Quadro di riferimento
L’uomo e la ricerca della verità
“Le parole volano e lo scritto rimane” dice un antico proverbio. In effetti, quanto incommensurabile è il numero di frasi, considerazioni e discorsi proferiti dagli uomini, che si sono volatilizzati nel corso della Storia! Tuttavia, molte volte la stessa parola scritta muore. Dove sono andate a finire le parole stampate prodotte in ogni angolo della Terra, a partire da Gutenberg? Molte sono scomparse senza lasciare traccia. La verità, comunque, è perenne. La bugia, i sogni fantasiosi, i sospetti infondati ed altri deliri del genere hanno breve durata; il tempo si incarica di cancellare ogni loro ricordo. Tuttavia, nonostante la verità goda di una solida stabilità, alle volte non è facile discernerla. In virtù del nostro senso dell’essere, noi la cerchiamo notte e giorno senza tregua, e alle volte non la troviamo perché il nostro egoismo, o il nostro amor proprio, o le nostre passioni disordinate si sono interposte come ostacolo. Quando la fede non illumina la ragione, e questa non orienta correttamente la Volontà, creiamo criteri personali, carichi di colori sproporzionati che, con maggiore o minore intensità, vanno ad alterare l’obiettività della verità. D’altro canto, a causa del delirio dei nostri piaceri, appetiti ed immaginazione, modelliamo secondo le leggi della menzogna tutto quello che illusoriamente il capriccio ci presenta come eterna felicità.
Solo per questa ragione possiamo già misurare come sia stato importante che Gesù abbia istituito il Papato. Se non avessimo il Papa, dove otterremmo consistenti interpretazioni della Rivelazione, della Fede e della morale?
Il famoso compositore Verdi1 ha attribuito alla donna la mobilità di una piuma al vento, ma si è ingannato limitando ad essa questa prerogativa. In verità, si tratta di una caratteristica del pensiero umano in genere.
Di fronte a questo problema, come possiamo vedere, da noi stessi, la verità senza veli né fantasie?
La morte, fine di tutte queste chimere
Viviamo su questa Terra in condizione di prova e di passaggio. È tanto precaria la nostra situazione che ci inganniamo facilmente anche a proposito del tempo, vivendo come se la permanenza in questo mondo fosse eterna. Non è raro che ci passi per la mente quel sogno della possibile scoperta dell’elisir di lunga vita, o dell’elisir della stessa immortalità. Molti preferirebbero estendere all’infinito i limiti della loro esistenza terrena, trasformandola in una specie di Limbo perpetuo, cioè in un tipo di vita nel quale potessero avere una felicità naturale, senza alcun volo dello spirito. Essi partecipano, in forma cosciente o incosciente, ad un culto implicito che si potrebbe molto bene etichettare come “limbolatria”.
La morte, con la sua implacabilità e tragica realtà, pone fine a queste chimere e toglie dai nostri occhi gli occhiali che falsano la visione dell’universo creato e della relazione di ognuno di noi con il prossimo e con Dio. Di più, la morte porta con sé il Giudizio divino: “non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato”.
Quelli fra noi che si consegnano al peccato, lo fanno molte volte di nascosto, lontano dalla vista altrui, a causa della vergogna, dimenticandosi che non possono nascondersi alla vista di Dio, perché in Lui siamo stati creati, in Lui esistiamo e in Lui ci muoviamo, come ci insegna San Paolo (cfr. At 17, 28). Niente sfugge al ricordo di Dio. Pensieri, desideri, parole, silenzi, atti e omissioni di ognuno di noi, secondo dopo secondo, sono conosciuti da Dio: “perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”.
È di questo che Gesù ci parla nel Vangelo di oggi: tutto quanto può esserci di più occulto sarà scoperto e tutti conosceranno tutto di tutti.
Due saranno i momenti della verità: quello del giudizio particolare e quello del Giudizio Finale. Non ci sarà contraddizione tra l’uno e l’altro e neppure uno sarà la revisione dell’altro ma sarà, di certo, una conferma. Le nostre illusioni, come pure le nostre mancanze o virtù, hanno non solo una ripercussione sociale, ma addirittura effetti correlati con l’ordine dell’universo. In questo modo, all’uomo come individuo tocca un giudizio particolare e, in quanto membro di una società, un Giudizio Universale.
Il giudizio particolare
Non saremo soli neppure nel giudizio particolare, poiché Dio, la Verità nella sua essenza, sarà presente. In questa occasione rivedremo tutte le nostre impressioni, considerazioni, ansie, ragionamenti attraverso il prisma della Verità, che Si presenterà maestosa davanti a noi. In questa ora, a che ci gioveranno gli onori, le ricchezze, i piaceri, i romanticismi e cose di questo genere? Terribile sarà comparire in questo Giudizio in stato di peccato, senza il dovuto pentimento e senza aver ricevuto il sacramento della Riconciliazione! Terribile, perché non ci sarà più tempo per implorare perdono…
Che Dio non ci permetta di cadere in una tale situazione. Chi avesse questa sventura, vedrebbe persino i meriti della Passione e Morte di Cristo – nel frattempo messi a nostra disposizione per salvarci – sollevarsi contro per condannare. Il buono e misericordioso Gesù, tutto fatto di soavità, invocherebbe il suo preziosissimo Sangue, versato tutto nella Croce, come motivo di condanna, per gettare l’infelice immediatamente nell’inferno.
Quelli che un giorno hanno gridato: “Il suo Sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli” (Mt 27, 25), hanno assistito, anni dopo, alla tremenda catastrofe della distruzione della loro amata Gerusalemme. Castigo analogo ed infinito si precipiterebbe su di noi se camminassimo incontro a Gesù senza essere debitamente in ordine. Ah! Se apparisse sempre chiaro ai nostri occhi che, con i nostri peccati, prepariamo il giorno della collera divina, saremmo santi. Quanto più pecchiamo, più ira accumuliamo sul nostro capo e tanto più implacabile sarà il nostro giudizio. Il Vangelo di oggi ci ammonisce di non commettere mai peccato e, se per disgrazia ci cadiamo in tentazione, di cercare senza indugio la riconciliazione con Dio. “Hodie, si vocem eius audieritis, nolite obdurare corda vestra – Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori” (Eb 3, 15).
Il Giudizio Finale
Sotto il prisma della ripercussione sociale del peccato, è indispensabile anche per la stessa pienezza del trionfo di Cristo la realizzazione di un Giudizio Universale.
Gesù si è fatto Uomo con una dolcezza insuperabile; è impossibile avere una manifestazione di umiltà, povertà e misericordia più grande della Sua. Il suo desiderio di versare tutto il suo Sangue per salvare l’umanità, elevarla ad un piano divino e, in questo modo, aprirle un cammino sicuro, felice e santo per l’eternità, si è realizzato alla perfezione.
Procedendo in senso opposto, la maggior parte dell’umanità ha calpestato questo Sangue, preferendo la via del peccato e dei piaceri illeciti. Per questo, il valore infinito dei meriti del sacrificio del Calvario impone la realizzazione di un Giudizio Universale, al fine di “ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Ef 1, 10). Se Cristo è stato pubblicamente offeso, è indispensabile che anche in maniera pubblica siano proclamati la sua potenza, il suo onore e la sua gloria. Prima che inizi una nuova “Era storica” – quella dell’eternità, nella quale tutti vivranno risorti, in corpo ed anima, alcuni nella gloria, altri condannati all’inferno – sarà necessario capire tutti chiaramente quanto il libero arbitrio non significhi la libertà di praticare il male, di pensare ed abbracciare l’errore e di avere il culto del brutto. Tutti devono vedere chiaramente che il premio dei buoni viene dal fatto di sottomettere la loro volontà a Cristo, motivo per il quale sono chiamati a regnare con Lui nei Cieli.
Il Giudizio Finale ha inoltre, un importante ruolo per quanto riguarda la vita sociale, perché facilmente cadiamo in equivoco quando giudichiamo che la morte chiuda in maniera drastica la presenza e l’azione dell’uomo sulla Terra. Tanto l’una come l’altra continuano in un modo indiretto.
Così non è raro che accada che la buona o la cattiva reputazione di un defunto contraria alla verità, rimanga nel ricordo di intere Ere storiche. Alle volte, figli cattivi di genitori buoni rendono equivoca l’interpretazione delle azioni dei loro progenitori, e viceversa. Per quanto ci sia una violenta rottura tra la vita nel tempo ed il passaggio all’eternità, non poche volte gli effetti delle opere bene o male realizzate qui, continuano a ripercuotersi per lunghi anni.
“Per giusto giudizio di Dio, sono stato condannato!”
Questo è un argomento così ricco che anche una vasta biblioteca non riuscirebbe a contenere tutte le opere necessarie per affrontarlo in modo esauriente. Nonostante ciò, ai fini del presente articolo, vale la pena illustrarlo prendendo in considerazione un episodio preservato dalla tradizione dell’Ordine dei Certosini.
Racconta la storia del suo fondatore, San Bruno, che decise di abbandonare il mondo e farsi monaco per testimoniare un incredibile avvenimento capitato ad un allora celebre personaggio della Parigi dell’XI secolo, Raymond Diocrés, dottore in Teologia, professore e considerato una persona molto virtuosa. Egli morì nell’anno 1082. Una moltitudine, composta soprattutto di suoi alunni, era accorsa per rendere omaggio al suo corpo, collocato, come era costume dell’epoca, in un maestoso letto e coperto con un velo leggero.
Sotto lo sguardo attento dei presenti, si diede inizio all’Ufficio dei Defunti. Ora, ad un certo punto, durante la lettura di una delle lezioni, è proclamata la seguente domanda: “Rispondimi: quanto grandi e numerose sono le tue iniquità?”.
Inimmaginabile lo stupore di tutti, nell’udire una voce sepolcrale, ma ben chiara, uscita da sotto il velo mortuario che diceva:
– Per giusto giudizio di Dio, sono stato ACCUSATO!
Interrompono l’Ufficio e sollevano il velo, e lì stava il morto gelido ed irrigidito, senza il minimo segnale di vita.
Ricominciata l’Ufficio, e giungendo, di nuovo, alla domanda sopra menzionata, “rispondimi”, stupore ancor più grande: il corpo, prima rigido, questa volta si alzò alla vista di tutti e, con voce più sonora e forte, esclamò:
– Per giusto giudizio di Dio, sono stato GIUDICATO!
E, subito di seguito, ricadde sul letto.
In un’atmosfera di terrore generalizzato, i medici analizzarono il cadavere, verificando minuziosamente l’inesistenza del minimo soffio di vita, anche perché tutte le articolazioni erano rigide. Non si ebbe il clima psicologico per riprendere le orazioni ufficiali, che furono posticipate al giorno successivo.
La città di Parigi fu tutta un fervore di commenti e discussioni sul caso: alcuni difendevano la tesi che quell’uomo fosse stato condannato, ed era così indegno delle benedizioni della Chiesa; altri affermavano che tutti saremo ACCUSATI, e poi, GIUDICATI. Lo stesso Vescovo officiante sposò questa tesi per questo ricominciò, il giorno successivo, la stessa cerimonia, questa volta ancor più affollata, con un pubblico pervaso da una estrema apprensione e curiosità.
Nello stesso passaggio della quarta lettura di Mattutino, il Vescovo proclamò: “Rispondimi…”. In mezzo ad una grande suspense, il defunto Raymond Diocrés si alzò e, con una voce terrorizzante, esclamò:
– Per giusto giudizio di Dio sono stato CONDANNATO!
E tornò a cadere immobile.
Non c’era alcun dubbio, era sciolto l’enorme equivoco sulla sua immeritata reputazione e falsa gloria. Per ordine delle autorità ecclesiastiche, il corpo fu spogliato delle sue insegne e lanciato in una fossa comune.
L’episodio ha marcato profondamente quegli anni ed è stata questa la ragione per la quale Bruno e i suoi primi quattro compagni testimoni oculari del fatto, hanno deciso di abbandonare il mondo ed abbracciare la vita religiosa, risultando da lì la fondazione dell’Ordine dei Certosini.
“Dies iræ, dies illa…”
Con questo illustrativo episodio possiamo farci un’idea di quanto numerosi possano essere gli equivoci sulla realtà della coscienza e dei giudizi di Dio. E basta solo questa narrazione a far capire meglio la necessità di un Giudizio Universale.
Nella sua sobria ma eloquente maestà, la Santa Chiesa canta gli aspetti terribili di quel giorno, nella Sequenza della Messa da Requiem: il Dies Iræ. Mozart diceva di essere disposto a scambiare l’onore che si era guadagnato con tutte le sue opere, per la paternità di questo unico mottetto gregoriano.
“Giorno dell’ira, sarà quel giorno che solverà il secolo in favilla […]. Quanto tremore ci sarà, quando il Giudice verrà, e a tutti gran conto chiederà! […] Il libro scritto sarà aperto, in esso tutto è già dettato, onde il mondo sarà giudicato. Quando il Giudice siederà, ogni cosa occulta apparirà: niente inulto rimarrà”.2
Quel giorno si saprà la ragione delle persecuzioni, delle eresie, dei martirii, delle calunnie, delle invidie, di tutto. Sarà il giorno del trionfo della giustizia divina, ognuno riceverà alla vista di tutti quello che merita. Tuttavia, non sarà un giorno segnato da ventiquattro ore, ma sarà eterno. Per secoli e secoli, senza fine, le minuzie del comportamento di ognuno degli esseri umani rimarrà nel ricordo dei santi e dei condannati.
Così, non dobbiamo trascurare la nostra salvezza eterna, proprio come ci raccomandano Dottori e spiritualisti, come Monsabré, di cui abbiamo trovato questo cocente ammonimento: “Comparirete tra pochissimo davanti al trono del vostro grande Giudice. Sentirete uscire dalla sua bocca una benedizione o una maledizione? Io lo ignoro. Tutto ciò che posso dire è che avete bisogno di vivere seguendo questo consiglio dell’Apostolo: ‘Con timore e tremore attendete alla vostra salvezza’ (Fil 2, 12)”.3
II – Commento del Vangelo
Questo è il quadro di riferimento del Vangelo di oggi, per questo, comincia con un fermo consiglio:
In quel tempo, Gesù disse ai suoi Apostoli: 26 “Non li temete
dunque, poiché non v’è nulla di nascosto che non debba essere
svelato, e di segreto che non debba essere manifestato”.
Gesù invia i suoi discepoli in missione e profetizza le persecuzioni che per causa sua soffriranno, come riferiscono i versetti precedenti. Per questo raccomanda loro di aver fiducia nei suoi consigli, come per esempio, quello di essere perseveranti e coraggiosi nella predicazione del Vangelo, perché saranno sostenuti e protetti dal Padre che sta nei Cieli, soprattutto per quanto riguarda la salvezza eterna. Questa sarà la costante degli altri passaggi.
27 “Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che
ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti”.
Per meglio intendere questo versetto, dobbiamo rapportarci ai costumi dell’epoca.
Ogni sabato, giorno riservato al Signore, tutti si riunivano nella sinagoga per ascoltare la Parola di Dio. Al contrario di quanto si potrebbe immaginare, il lettore non solo leggeva a voce bassa, ma anche non si rivolgeva direttamente a coloro che assistevano, al contrario parlava ad un intermediario vicino a lui, il quale, a sua volta, proclamava ad alta voce quello che udiva.
Un’altra usanza aveva luogo i venerdì sera. Il ministro della sinagoga saliva sul tetto più alto di una delle case della città e suonava a gran forza una tromba, avvertendo tutti i lavoratori che era ora di fare ritorno alle proprie case, poiché si approssimava il riposo religioso del sabato.
Il Divino Maestro utilizzò queste figure della vita comune e corrente a quei tempi per illustrare quale doveva essere la disposizione dell’anima dei discepoli, nell’esercitare il ministero di araldi del Vangelo. E, dopo averle menzionate, Gesù torna ad incitarli ad avere fiducia.
28 “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non
hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il
potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna”.
I giudei ortodossi, contrariamente ai sadducei, credevano nell’immortalità dell’anima, per questo San Giovanni Crisostomo commenta: “Osservate che qui il Signore non promette loro di liberarli dalla morte. Egli permette che muoiano, ma concede loro grazia più grande di quella che gli avrebbe dato se non avesse permesso la loro morte. Perché molto più che liberarli dalla morte è persuaderli da disprezzarla. Così, non li getta temerariamente nei pericoli, ma li rende superiori ad ogni pericolo. E notate come il Signore, con una breve parola, incide nei loro cuori il dogma dell’immortalità dell’anima e come, raffermata questa dottrina salvatrice, passa ad animarli con altri ragionamenti”.4
In seguito Gesù presenta due significative metafore, relazionate con la Divina Provvidenza.
29 “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche
uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia”.
La moneta a cui fa riferimento la traduzione liturgica era l’asse, la più piccola usata dai romani. Coniata in bronzo, valeva la sedicesima parte di un denaro. Pertanto, oltre a non essere una moneta giudaica, aveva un valore reale insignificante. Due passeri valevano così poco che erano venduti per questo prezzo irrisorio e tuttavia, avevano bisogno del consenso del Padre per morire.
30 “Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati;
31 non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!”
L’obiettivo di queste due comparazioni fatte da Gesù è porre in risalto il grande affetto e cura della Provvidenza Divina verso le sue creature. Se passeri e capelli sono trattati con tale cura da Dio, quanto più Egli si preoccuperà di proteggere i suoi discepoli che stanno per essere inviati a predicare sul Regno!
Non c’è ragione di temere le ingiustizie e le persecuzioni che li colpiranno, come esclama Geremia nella prima lettura: “il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere; arrossiranno perché non avranno successo, sarà una vergogna eterna e incancellabile (20, 11).
A questo punto, la Liturgia di oggi si chiude con i due versetti seguenti, al fine di sottolineare l’importanza ed il valore assoluto del Tribunale del Padre in rapporto a quello degli uomini.
32 “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’Io lo
riconoscerò davanti al Padre mio che è nei Cieli; 33 chi invece mi
rinnegherà davanti agli uomini, anch’Io lo rinnegherò davanti al
Padre mio che è nei Cieli”.
Sono ben conclusive queste due promesse di Nostro Signore, di fronte alla gloria futura o al castigo. Realmente, vale la pena soffrire come San Paolo: “Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde” (II Cor 11, 23-25). Molti altri rischi e drammi sono da lui narrati in questa Epistola. E più avanti racconta che lui “fu rapito in Paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare” (II Cor 12, 4).
III – Conclusione
Su questo panorama futuro ed eterno devono rimanere fissi i nostri occhi e non alle delizie fatue e passeggere di questa vita, per quanto legittime. Non parliamo del peccato, perché questo avrà come conseguenza immediata la frustrazione ed il fuoco dell’inferno dopo la morte.
I dolori, le angustie e i drammi per i quali passiamo durante la nostra esistenza terrena non sono niente in confronto al premio dei giusti, come garantisce San Paolo: “Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8, 18). Ci resta solo ricordare l’indispensabile ruolo di Maria nella nostra salvezza. Come Gesù è venuto a noi tramite Maria, allo stesso modo è per mezzo di Lei che otterremo le grazie necessarie ad essere altri Cristi e guadagnare la vita eterna.
1) Cfr. VERDI, Giuseppe. Rigoletto. Act III, scena I. New York: Fred Rullman, 1952,p.26. 2) 34ª SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO. Inno dell’Ufficio delle Letture.In: CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA. Liturgia delle Ore. Città del Vaticano:L. E. Vaticana, 2005, v.IV, p.1865-1866. 3) MONSABRÉ, OP, Jacques-Marie-Louis. Le Dernier Jugement. In: Conférences de Notre-Dame de Paris. Retraites Pascales 1879-1880. 8.ed. Paris: P. Lethielleux, 1909,v.IV, p.224. 4) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Omelia XXXIV, n.2. In: Obras. Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (1-45). 2.ed. Madrid: BAC, 2007, v.I, p.686.
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