In quel tempo, 20 Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. 21 Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderLo; dicevano infatti: “È fuori di Sé”. 22 Gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: “Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni”. 23 Ma Egli li chiamò e con parabole diceva loro: “Come può satana scacciare satana? 24 Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; 25 se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. 26 Anche satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito. 27 Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa. 28 In verità Io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; 29 ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna”. 30 Poiché dicevano: “È posseduto da uno spirito impuro”. 31 Giunsero sua Madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarLo. 32 Attorno a Lui era seduta una folla, e Gli dissero: “Ecco, tua Madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e Ti cercano”. 33 Ma Egli rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” 34 Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a Lui, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! 35 Perché chi fa la volontà di Dio, costui per Me è fratello, sorella e madre” (Mc 3, 20-35).
La consanguineità soprannaturale
Esser parente del Messia sarebbe, secondo i nostri criteri, un onore ineguagliabile. Per il Figlio di Dio, al contrario, più importante è fare la volontà del Padre Celeste che esser parte della sua genealogia umana.
I – I segreti della vita occulta di Gesù
Meditando sui misteri della vita di Nostro Signore, la nostra immaginazione è sollecitata specialmente quando ci soffermiamo agli anni trascorsi nel silenzio di Nazareth, a contemplare quei sentieri che in tante occasioni Egli ha percorso; quel panorama con il Monte Tabor sullo sfondo e la pianura che avanza fino al mare, numerose volte da Lui scorto; quella casa in cui Lui abitò dal momento in cui ritornò dall’Egitto, così umile, ma impregnata della presenza soprannaturale… Lì Egli visse in un’atmosfera di povertà e oblio, ma di grandezza, di amore, di pace, di un riposo soave, e allo stesso tempo di lavoro intenso. Lì Egli “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 52), essendo preparato da un’azione divina per la sua grande missione.
Un velo copriva Gesù agli occhi dei suoi
Come si può spiegare che a Nazareth l’Uomo-Dio passasse inosservato? Com’è possibile che parenti, vicini e amici non intravvedessero in Gesù la divinità? Come non videro in Lui, per lo meno, il Messia? Il piano divino, per un’alta sapienza, esigeva che Nostro Signore attraversasse questo lungo arco di trent’anni senza di stinguerSi, agli occhi dei suoi, dal giovane comune: onorando il lavoro, esaltando l’umiltà, dandoci un esempio in tutto. La Provvidenza voleva – oltre che una gloria completa per il Figlio di Dio Incarnato – conferire maggior merito a Maria Santissima e sottoporre tutti quelli che con Lui convivevano a una prova: quella dello sforzo e della delicatezza di attenzione per scoprire che in Gesù c’era qualcosa di più importante rispetto a qualsiasi altro uomo. Per questo, Dio gettò un velo sopra le sue qualità umane e sopra la sua natura divina.
Ma Lui causava ammirazione
Ci furono, senza dubbio, coloro che corrisposero a questo invito. Se Lui impressionò gli stessi dottori nel Tempio, a 12 anni, non avrà causato ammirazione nelle persone che Lo conoscevano? Non si può concepire che dei compagni d’infanzia, dei familiari educati con Lui, o adulti che fossero in intimità con la Madonna e San Giuseppe, non avessero schiuso un po’ questo velo e si fossero resi conto, per qualcosa, di chi Lui fosse. A questi – ad alcuni di più ad altri di meno –, è probabile che Gesù lasciasse trasparire alcuni riflessi della sua misteriosa divinità, incomprensibile alla ragione umana.
Quanto differente sarà stato per coloro – di certo la maggioranza – che per infedeltà sempre considerarono Gesù solo come uno di loro, “il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone” (Mc 6, 3). Assueta vilescunt… La natura umana, purtroppo, si abitua a tutto e, nella routine, anche le cose più straordinarie diventano comuni.
Quali saranno state le reazioni degli uni e degli altri, quando giunse l’ora per Nostro Signore di partire da Nazareth per dare inizio alla sua vita pubblica? Era l’Uomo-Dio che udiva i gemiti della Storia e apriva le sue braccia con amore per abbracciare le miserie, non solo di quelli, ma di tutto il genere umano. Di fronte a questa grandiosa manifestazione di benevolenza, sarebbe diventato lampante il valore dei familiari e degli intimi di Gesù di Nazareth che avevano vinto quella prova che Dio aveva loro mandato, traendo un inestimabile insegnamento per tutti noi, come potremo constatare nel Vangelo della 10ª Domenica del Tempo Ordinario.
II – Vedere nel Figlio di Dio soltanto il Figlio dell’Uomo
In quel tempo, 20a Gesù entrò in una casa…
Da dove veniva il Divino Maestro coi suoi discepoli? Dalla montagna, dopo aver scelto i dodici Apostoli (cfr. Mc 3, 13-19). Affinché questi acquisissero consapevolezza della nuova situazione e della responsabilità inerente all’elezione di cui erano stati oggetto, Gesù fece sì che, a contatto col pubblico, verificassero il cambiamento avvenuto nelle loro vite: “Il Signore riconduce a casa gli Apostoli da Lui eletti sulla montagna, come per avvisarli che, dopo aver ricevuto la dignità dell’apostolato, dovevano prender coscienza della loro missione”.1
Gesù era a Cafarnao, probabilmente nella casa dove aveva guarito la suocera di Pietro (cfr. Mc 1, 29-31; Lc 4, 38-39). Essendo il posto già noto, per i molti miracoli lì operati, le persone cominciavano a radunarvisi prima dell’alba, desiderose di vedere il Messia.
Evangelizzare presuppone di dimenticarsi di sé
20b …e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare.
Diversamente dai nostri giorni, in quel tempo i pasti erano realizzati a porte aperte. Questo ha la sua ragion d’essere, visto che l’alimentazione è un momento propizio per la conversazione e i rapporti sociali. Anche Nostro Signore Si adattò a questo uso, come nel banchetto in casa di Simone, il fariseo, nel quale entrò una peccatrice pentita e Gli lavò i piedi con le sue lacrime (cfr. Lc 7, 36-38).
Nell’episodio qui narrato, Gesù aveva davanti a Sé una moltitudine che anelava a convivere con Lui e assorbire i suoi insegnamenti, poiché Lo stimava e si incantava per la sua presenza. Però, c’erano anche quelli che andavano là per egoismo, interessati soltanto a ottenere la guarigione da qualche malattia o altri benefici. Comunque, nonostante l’abitudine delle por te aperte, era completamente insolito tanto subbuglio e tale affluenza di gente, che stipava la sala e arrivava fino al divano nel quale Gesù prendeva il pasto. Si può immaginare che, quando stendeva la mano per prendere, per esempio, un grappolo d’uva, si avvicinasse un cieco, toccasse impetuosamente il suo braccio e, immediatamente, recuperasse la vista, e che in seguito cedesse il posto a un sordo che supplicava che gli fosse ristabilito l’udito… E così, una grande quantità di malati entrava e usciva, a tal punto che al Maestro e ai discepoli era impedito di mangiare. Gli Apostoli stavano sperimentando, in quell’occasione, l’onere che era stato loro affidato in cima alla montagna.
L’egoista giudica insensata la Sapienza
21 Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderLo; dicevano infatti: “È fuori di Sé”.
I segnali e la parola del Redentore diffusero la sua fama in tutta la regione. E, come c’era da aspettarsi, cominciarono a circolare voci, a volte le più discordanti ed esagerate possibili. In queste circostanze, questo versetto riferisce qualcosa di drammatico: determinati parenti di Gesù, di quelli che non erano riusciti per nulla a capire la sua grandezza, cominciarono a ritenerLo un esaltato. Al contrario del giorno d’oggi, in quel tempo il senso familiare era fortissimo, il che è una cosa sana. Le famiglie, ben costituite e molto unite, formavano veri battaglioni, così coesi che l’azione di uno dei membri si ripercuoteva in tutto il gruppo. Era incalcolabile la gioia e l’onore di essere un parente prossimo del Messia! Ma alcuni si riunirono per commentare quello che si diceva di Lui, della sua dottrina e miracoli. Lo avevano visto crescere a Nazareth, dove non aveva frequentato la scuola di alcun maestro, e all’improvviso avevano notizia di quanto le sue predicazioni avvincessero moltitudini. Dove avrebbe imparato Lui tutto questo? Siccome non comprendevano quello che succedeva, si indispettirono contro di Lui. Lo giudicarono probabilmente ridicolo e temevano che i suoi atteggiamenti macchiassero il nome della loro stirpe. Temevano anche la cattiva ripercussione presso le autorità, poiché Gesù avrebbe potuto esser considerato – come di fatto lo fu dopo – un ribelle. Già erano sorti in precedenza rivoluzionari, desiderosi di capeggiare un movimento per liberare Israele dal giogo romano e dalle sue imposte, che fallirono nel loro intento. Tali parenti avrebbero potuto pensare che anche questo fosse l’intento di Nostro Signore. E, per quanti prodigi facesse, sarebbe stato condannato alla rovina per mancanza di risorse. In fondo, siccome Lui veniva a contraddire i costumi mondani ed era impegnato in una missione differente da tutto quanto era considerato normale, non Lo accettavano e volevano trattarLo come un pazzo.
È da notare, in senso inverso, come gli stessi familiari che prima cercavano di allontanarLo dall’apostolato, perché pensavano che ciò deponesse a sfavore della loro reputazione, più tardi, constatando il successo di Nostro Signore, Gli chiederanno di manifestarSi in Giudea (cfr. Gv 7, 3-5), certamente affinché il sommo sacerdote e il Sinedrio vedessero l’importanza della famiglia che aveva nel suo seno un tale profeta taumaturgo. Salendo Gesù nella scala sociale, avrebbe elevato tutti i suoi… Ora, che Egli non fosse stato ammirato dalla maggioranza nella sua città, Nazareth, è già difficile da capire; tuttavia, che di fronte alle meraviglie che seguirono l’inizio della sua vita pubblica non Lo accettassero è inconcepibile! “Venne fra i suoi, e i suoi non Lo hanno accolto” (Gv 1, 11)…
Spesso, chi osa opporsi al mondo non è compreso e può essere rifiutato e perseguitato persino dalla sua famiglia, quando questa vuole i suoi membri per sé e non per Dio, da cui li ha ricevuti affinché dopo Gli vengano restituiti… Si tratta di un’appropriazione indebita di qualcosa appartenente al Creatore. La vocazione significa il sigillo divino che riscuote quello che, de iure, è suo. Per questo, è delle peggiori, sulla faccia della Terra, la maledizione contro i genitori che distolgono i figli dalla chiamata religiosa! Rubare qualcosa a un povero arreca un castigo minore che strappare a Dio la persona designata da Lui per il suo servizio. Quante volte assistiamo a questo nella Storia! Il padre del grande San Francesco d’Assisi, Pietro Bernardone, per esempio, a un certo momento lo diseredò e gli tolse tutti i beni, persino gli stessi indumenti del corpo, poiché non accettava la vita virtuosa del figlio. E la madre e i fratelli di San Tommaso d’Aquino lo rinchiusero in una torre, per impedirgli di farsi frate domenicano. Questo è il problema della famiglia che non è costituita in funzione dell’amore a Dio, i cui membri cercano di toglierLo dal trono che Gli appartiene, in modo che gli avvenimenti gravitino intorno a ognuno.
L’affezione dei familiari di Nostro Signore per Lui è tipicamente quella dell’egoista; da qui si conclude che tutti gli egoisti sono parenti di quei parenti di Gesù. Come loro, anche noi, se cerchiamo di porci sempre al centro di tutto, considereremo insensate le opere di Dio ed esagerate le esigenze della Religione. Ecco un’importante lezione di questa Liturgia: dobbiamo evitare tale delirio, facendo enorme attenzione alla sete di elogi e a desiderio di richiamare l’attenzione su di noi, affinché gli altri ci adorino. Usciamo da noi stessi e sia la gloria di Dio l’asse della nostra esistenza!
Per invidia, un’accusa contraddittoria
22 Gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: “Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni”.
Uomini senza fede, i maestri della Legge menzionati in questo versetto furono incapaci di comprendere chi era Gesù. Espelleva demoni, guariva ogni tipo di malattie e resuscitava morti, causando in loro invidia, poiché essi avrebbero voluto avere pari potere; ma, siccome non lo possedevano, temevano di perdere la posizione privilegiata di cui godevano in quella società. Cominciarono, allora, con supino spirito malvagio, ad attribuire il dominio del Salvatore sui demoni a una combutta con Belzebù.
Gesù ridicolizza i suoi nemici
23 Ma Egli li chiamò e con parabole diceva loro: “Come può satana scacciare satana? 24 Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; 25 se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. 26 Anche satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito”.
La risposta di Nostro Signore mirava a mostrare quanto infondata fosse l’accusa sollevata contro di Lui. Se due eserciti ingaggiano battaglia, il generale di una delle parti manderebbe i suoi soldati a combattere i propri compagni nel teatro di guerra? Questi sarebbe, senza dubbio, sconfitto! Se realmente Gesù stava agendo per opera di Belzebù per espellere i demoni, significava che l’inferno era in “guerra civile”, di conseguenza i demoni in breve sarebbero stati sgominati. Ora, quando in una città gli abitanti si combattono tra loro, il nemico esterno può dispensare dall’invio di uomini d’armi per attaccarla, dato che essa finirà per distruggersi. Qualsiasi stratega lascerà libero corso a queste lotte intestine, per soggiogare solo in seguito i sopravvissuti. Pertanto, i sinedriti non avrebbero dovuto preoccuparsi, poiché tutta l’opera di Nostro Signore sarebbe naufragata senza indugio. Perché avrebbero dovuto affliggersi? A questo riguardo dice San Giovanni Crisostomo: “Guardate quanto di ridicolo c’è nell’accusa, quanta stupidità, quanta intima contraddizione! Perché è una contraddizione dire, prima, che satana è forte ed espelle i demoni, e subito aggiungere che è forte e quindi dovrebbe perire”.2
27 “Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa”.
Questa immagine lasciava ancora più evidente l’incoerenza dei maestri della Legge. Tutti sapevano perfettamente che per rapinare una casa era necessario prima immobilizzare il padrone. Allora, sarebbe verosimile che, secondo quanto dicevano gli scribi e farisei, Gesù respingesse gli spiriti malvagi col potere di Belzebù, loro principe, e, in combinazione con lui, mandasse in rovina i suoi subalterni? “Guardate come” – osserva lo stesso Crisostomo – “il Signore dimostra il contrario di quello che i suoi nemici tentavano di affermare. […] Egli manteneva legati con assoluta autorità non solo i demoni, ma anche il loro stesso capitano”.3 Ancora una volta, con una semplice parabola, il Divino Maestro smascherava i suoi avversari.
Gravità del peccato contro lo Spirito Santo
28 “In verità Io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; 29 ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna”. 30 Poiché dicevano: “È posseduto da uno spirito impuro”.
Rendendo più grave la sua argomentazione, Nostro Signore aggiunge che, nel fare questa accusa, essi incorrevano in un peccato contro lo Spirito Santo, per il quale non c’è perdono. Tuttavia, se Gesù Cristo è venuto al mondo per riscattare i peccatori, come spiegare che esistano colpe irremissibili?
Il primo requisito per ottenere il perdono è che Dio, essendo l’offeso, lo voglia dare; e Lui lo vuole, al punto da esser costantemente con le mani tese per accoglierci. Ciò nonostante, un’altra condizione essenziale per essere assolti è il riconoscimento dell’errore, seguito dal dolore di averlo commesso, poiché senza questo tale atto perde senso. L’impenitenza finale “esclude i mezzi che portano alla remissione dei peccati”,4 e il peccatore finirà, in fondo, per attribuire la sua mancanza a Dio stesso. Questa attitudine “è lo spirito di blasfemia, che non si perdona né in questo secolo né nel futuro. […] Sebbene la pazienza di Dio inviti alla penitenza, con la durezza di cuore, col suo cuore impenitente, [il peccatore] accumula ira per il giorno della collera e della rivelazione del giusto Giudizio di Dio, che pagherà ognuno in base alle sue opere”.5
Avrebbero dovuto essere perdonati questi scribi e farisei, la cui malvagità arrivava a tale punto estremo? Dopo aver testimoniato la guarigione di ciechi, lebbrosi e paralitici, come pure l’espulsione dei più terribili demoni – opere tutte indiscutibilmente messianiche –, negavano la verità conosciuta come tale restando con odio e desiderio di uccidere Gesù, dichiarando che agiva in funzione del principe delle tenebre. E dopo essere stati sconfitti in tutte le insidie tramate contro il Divino Maestro, non ammettevano ancora la loro dissennatezza, ma, pretendendo di essere detentori della ragione, cadevano in impenitenza e ostinazione. Infine, pieni di perfidia, essi rifiutavano i carismi di Nostro Signore, l’operato dello Spirito Santo attraverso la sua umanità santissima e, per invidia della grazia fraterna, disprezzavano i benefici che Egli versava a torrenti ovunque passasse.
Dobbiamo, riguardo all’azione dello Spirito Santo, esser totalmente flessibili, senza la minima ombra di invidia. Dobbiamo, allora, rallegrarci dei benefici concessi ad altri, “perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio” (II Cor 4, 15), come ci insegna San Paolo nella seconda lettura (II Cor 4, 13–5, 1). Se a noi il Signore ha dato poco o molto, è un suo disegno. L’importante è che ognuno riceva tutto quanto è destinato da Dio per la sua maggior gloria. Nel vedere uno favorito con un dono che non abbiamo, sia naturale o soprannaturale, se ammiriamo l’opera di Dio in quell’anima, progrediremo nella vita spirituale. Se, al contrario, procederemo alla maniera di quei familiari di Gesù o dei farisei, affonderemo come loro.
Maria Si presenta ad affrontare i parenti
31 Giunsero sua Madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarLo. 32 Attorno era seduta la folla e Gli dissero: “Ecco, tua Madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e Ti cercano”.
Come commentano certi Padri della Chiesa, la Madonna, sapendo che alcuni pianificavano di far male a Gesù, Si presentò ad affrontarli: “Siccome quelli che erano vicini al Signore andavano ad impadronirsi di Lui perché Lo giudicavano pazzo, ecco che accorse sua Madre, mossa da un sentimento di amore e pietà”.6 Bella interpretazione, che mostra la combattività di Maria, aspetto frequentemente dimenticato. Insieme a Lei c’erano i “fratelli”, termine che, nel linguaggio biblico, designava i parenti in generale, come cugini e zii.
Così coesa era la muraglia umana formata intorno a Nostro Signore, che impediva alla Madonna e ai suoi accompagnatori di entrare nella casa e di approssimarsi a Lui. I presenti, in accordo con il radicato concetto familiare dell’epoca, consideravano la maternità come qualcosa di supremo, per questo, avvisarono Gesù dell’arrivo di sua Madre, ritenendo normale interrompere la predicazione per esaudirLa.
Le relazioni soprannaturali, molto più forti di quelle di sangue
33 Ma Egli rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” 34 Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a Lui, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! 35 Perché chi fa la volontà di Dio, costui per Me è fratello, sorella e madre”.
Cristo, tuttavia, approfittò dell’occasione per contrastare la tendenza del popolo ebraico a un eccessivo apprezzamento per la famiglia. Se Lui, alzandoSi, fosse andato incontro a sua Madre e ai suoi fratelli, avrebbe rinforzato e consolidato questa ansia… Invece, la sua risposta rende chiara la superiorità della relazione spirituale su quella naturale. Si apprezzano tanto i vincoli del sangue! Senza dubbio hanno il loro peso, ma non costituiscono l’essenziale e acquistano senso solo se considerati in funzione di Dio. Mentre i legami umani riguardano una piccola quantità di membri, quelli soprannaturali includono fratelli numerosi “come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare” (Gen 22, 17). Si applica, in questo caso, il bel principio di San Tommaso: “i beni spirituali possono esser posseduti allo stesso tempo da molti, non, però, i beni corporali”.7
Il Figlio di Dio è venuto esattamente per renderci partecipi della sua famiglia, in modo da essere suoi fratelli e figli, in un legame con Lui molto più stretto di quello originato nel sangue. “Non c’è che una parentela legittima, la quale consiste nel fare la volontà di Dio. E questo è un modo di parentela migliore e più importante di quella della carne”.8 Così, il Divino Maestro guardò ai più ferventi, cioè, a coloro che cercavano di approssimarsi a Lui col desiderio di ascoltarLo e di essere da Lui istruiti, che avevano, pertanto, la predisposizione ad accettare e abbracciare i suoi insegnamenti, e affermò: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per Me è fratello, sorella e madre”. Incomparabilmente più di qualsiasi persona sulla Terra, per quanto dobbiamo a questa, dobbiamo esser grati a Dio, abbandonarci nelle sue mani e obbedirGli, poiché siamo stati da Lui creati. Egli ha inviato suo Figlio a redimerci, affinché abbiamo la vita – la stessa vita di Dio! – e la abbiamo in abbondanza (cfr. Gv 10, 10).
Per tale motivo, il Bambino Gesù, a 12 anni di età, quando dopo tre giorni di ricerca fu trovato dalla Madonna e San Giuseppe nel Tempio che ascoltava e interrogava i dottori della Legge, dichiarò: “Non sapevate che Io devo occuparMi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49). Le sue parole ci ricordano che la nostra filiazione prima è quella divina, e solo in un secondo piano dobbiamo considerare quella del sangue. Quando è concepito, il bambino si trova in una totale soggezione ai genitori e va piano piano crescendo, ancora protetto, orientato e governato da loro, fino a rendersi indipendente. Nel campo soprannaturale succede l’opposto: a partire dalla nascita, cioè, dal Battesimo, la relazione con Dio e la dipendenza da Lui vanno aumentando, e raggiungono il loro massimo grado quando l’anima arriva alla visione beatifica. Rimane, allora, in una intera e completa familiarità con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Un altissimo elogio a sua Madre Santissima
Lungi dal disprezzare la Madonna – il che sarebbe impensabile! –, Gesù Le rivolgeva il maggior elogio possibile, poiché affermava che Lei era più sua Madre per fare la volontà di Dio che per averGli trasmesso la vita umana. “Non parla così per negare sua Madre, ma per manifestare che Lei era degna di onore non solo per il fatto di aver generato Cristo, come anche per tutte le sue virtù”.9 Lungo i circa trent’anni di convivenza con suo Figlio, Maria fu perfettissima nella realizzazione della sua volontà, custodendo tutte le cose nel suo cuore (cfr. Lc 2, 51). Poiché credeva che Gesù fosse la Verità, la Vergine Santissima – in contrasto con coloro che Lo riteneva no pazzo – Si manteneva sempre in una postura di sottomissione a Lui, anche rispetto a quello che non capiva.
III – Siamo familiari di Gesù, come lo furono Maria e Giuseppe
La Liturgia di oggi è di un’importanza fondamentale per comprendere il valore di questa “consanguineità spirituale” con il Signore Gesù, al quale mai possiamo rinunciare. Quante volte, purtroppo, ci comportiamo in modo egoista, ci poniamo al centro di tutto e commettiamo una colpa! Fare la volontà di Dio significa essere rettissimi e integri, sotto tutti i punti di vista, a somiglianza della Madre di Gesù.
Per questo dobbiamo ammettere la nostra debolezza, coscienti che, come ci insegna il Divino Maestro, la putredine nasce dentro l’uomo (cfr. Mc 7, 21-23). Dobbiamo sorprenderci quando pratichiamo un atto buono, riconoscendo che questo proviene dalla filiazione spirituale che Lui ci ha concesso con la grazia. Se i farisei avessero sentito la miseria che sporcava il loro intimo, forse avrebbero guardato Nostro Signore con semplicità e lo avrebbero accolto nella loro anima la salvezza. In Cielo stanno, in realtà, non solo gli innocentissimi, ma anche San Dima – il buon ladrone, canonizzato in vita dal Redentore (cfr. Lc 23, 43) –, Sant’Agostino, Santa Maria Maddalena… e tanti altri che si sono confessati colpevoli e hanno ottenuto il perdono. In senso opposto, all’inferno soffrono tutti i peccatori che, per orgoglio, hanno persistito nell’errore. Ecco il grande problema della natura umana decaduta.
Chiediamo a Maria Santissima il dono straordinario dell’umiltà, perché ci siano aperte le porte dell’eterna beatitudine e giungiamo alla pienezza della familiarità con Nostro Signore Gesù Cristo!
1) SAN BEDA. In Marci Evangelium Expositio. L.I, c.3: ML 92, 162 2) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Homilía XLI, n.1. In: Obras. Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (1-45). 2.ed. Madrid: BAC, 2007, v.I, p.795. 3) Idem, n.2, p.799. 4) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. II-II, q.14, a.3. 5) SANT’AGOSTINO. Sermo LXXI, n.20. In: Obras. Madrid: BAC, 1983, v.X, p.326. 6) TEOFILATTO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. Catena Aurea. In Marcum, c.III, v.31-35. 7) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.23, a.1, ad 3. 8) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Homilía XLIV, n.1. In: Obras. Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (1-45), op. cit., p.841. 9) TEOFILATTO, op. cit.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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