Predicazione di San Giovanni Battista

Predicazione di San Giovanni Battista

Vangelo

57 Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58 I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. 59 All’ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. 60 Ma sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”. 61 Le dissero: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”. 62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63 Egli chiese una tavoletta, e scrisse: “Giovanni è il suo nome”. Tutti furono meravigliati. 64 In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65 Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66 Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: “Che sarà mai questo bambino?” si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui. 80 Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele (Lc 1, 57-66.80).

Senza onore non c’è vera gloria

Il popolo d’Israele desiderava fortemente la gloria del mondo, per questo respinse Giovanni Battista, che era venuto a restaurare il vero onore, al fine di preparare la venuta del Messia.

I – Onore e Gloria: concetti correlati

“Nous avons assez de gloire, Monseigneur, mais venez, venez nous rendre l’honneur – Abbiamo abbastanza gloria, Monsignore, ma andiamo restituirci l’onore”.1 Questa frase con cui Talleyrand salutò e incoraggiò il Conte d’Artois, che attendeva indeciso, a Nancy, il momento opportuno per dirigersi a Parigi per la restaurazione della dinastia dei Borboni, passati i fulgori napoleonici, fu coronata dalla fama. Con questa si chiudeva la lettera scritta da Talleyrand al fratello del nuovo re di Francia, inviata da Vitrolles. I suoi termini e le circostanze storiche del momento, ci fanno ricordare la situazione psicologica e morale nella quale si trovava il popolo giudeo, quando comparve il Precursore, sulle rive del Giordano.

Il popolo giudeo era pervaso di gloria

I miracolosi interventi di Dio fin dalla nascita del popolo eletto avevano reso quest’ultimo celebre nel corso dei secoli, distinguendolo da tutti gli altri. Le discussioni col Faraone d’Egitto e le conseguenti dieci piaghe, l’attraversamento del Mar Rosso, la manna nel deserto, le Tavole della Legge, la conquista di Gerico, i Giudici, i Re, ecc. – queste realtà grandiose avevano pervaso di gloria i discendenti di Abramo. Si trattava, in ogni modo, specialmente di una gloria estrinseca, nel senso seguente: la fama raggiunta dal popolo in seguito alle azioni dell’Onnipotente era di gran lunga  superiore rispetto allo scarso valore dei suoi beneficiati.

Ora, dopo aver corrisposto per così tanti secoli, in modo non solo insufficiente, ma addirittura manchevole rispetto ad una così grande prodigalità divina, la mentalità del popolo in generale era deformata. Giustamente, questo distorto punto di vista, allo stesso tempo morale e psicologico, costituiva una delle ragioni per le quali essi aspettavano un Messia di stampo marcatamente politico, un nuovo Davide o chissà, un altro Mosè, adatto alle necessità di quell’epoca, che conferisse loro la supremazia su tutte le genti. Essi volevano la grandezza per soddisfare i propri interessi, inclusi quelli finanziari.

Cristo è venuto a portare il supremo onore

D’altra parte, il Signore, fin dall’eternità, aveva riservato loro una gloria molto più grande, inimmaginabile persino dagli Angeli: più che un Messia, aveva a loro riservato il Cristo, Dio e Uomo vero. Egli Si sarebbe fatto Uomo affinché gli uomini diventassero figli di Dio, quindi fossero partecipi della natura dell’assoluto ed eterno Signore. In altre parole, oltre alla gloria estrinseca, di cui già godevano in sovrabbondanza, avrebbero ricevuto un incommensurabile onore.

Sappiamo bene che, affinché l’essere umano raggiunga vero onore, è indispensabile che arrivi alla pienezza di tutte le sue qualità, soprattutto delle virtù morali. Sono condizioni essenziali per noi, in vista di questa realizzazione: la dottrina, l’esempio e la grazia. Le Scritture, per quanto riguarda la dottrina, non hanno tralasciato di trattare nemmeno una virgola, il popolo giudeo conosceva bene i principi teologico-morali che dovevano regolare la condotta di ognuno. La grazia non manca mai a nessuno. Quanto all’esempio, oltre alla storia degli eroi antichi, era loro offerto, in quel momento, il più alto modello. Le moltitudini non avrebbero tardato molto a udire dalle labbra del Dio Incarnato: “Siate voi dunque perfetti com’è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48). Ma chi avrebbe guardato al Padre per imitarLo nella sua perfezione? Questo problema sarebbe stato sollevato da Filippo e Gesù così avrebbe risposto: “Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: ‘Mostraci il Padre?’. Non credi che Io sono nel Padre e il Padre è in Me?” (Gv 14, 9-10).

Bambino Gesù e San Giovanni Battista

Bambino Gesù e San Giovanni Battista

Non è difficile intendere quanto il vero onore deve considerare l’uomo nella sua integrità, poiché l’essenza di questa qualità consiste nella partecipazione dell’Assoluto. Essa non sarà mai autentica in qualcuno che è relativista, poiché sono termini che si escludono. Vediamo dalla narrazione biblica che Dio avrebbe dato all’umanità l’insuperabile onore di appartenere alla sua Famiglia. Impossibile una nobilitazione più alta, sostanziosa e bella. Oltre a questa meraviglia gli avrebbe inoltre offerto un modello prima irraggiungibile, ma che Egli avrebbe reso interamente accessibile ai nostri sensi: il Figlio dell’Uomo.

Oh, come sono insufficienti le pagine di un’intera biblioteca per contenere le meraviglie della gloria che Dio ha preparato al suo popolo e a tutta l’umanità…

II – Il ruolo del Precursore:  restituire l’onore

Tuttavia, era necessario che ci fosse un radicale cambiamento di mentalità da parte di coloro che sarebbero andati a ricevere doni di tale qualità e in tanto grande quantità. Soprattutto, era conditio sine qua non avere un’anima compenetrata d’onore. Questa è stata precisamente la missione del Precursore, quella di rendere onorato il popolo, per ricevere bene il Redentore.

Con dolore, invece, l’Evangelista, proprio all’inizio della sua narrazione, fa riferimento alla cattiva accoglienza riservata al Salvatore, con queste pungenti parole: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non L’hanno accolto” (Gv 1, 11). E perché? Perché hanno rifiutato, in fondo alla loro anima, quest’invito ad una così alta perfezione, quella dello stesso Padre. Qui si capisce meglio il profilo di questo quasi anacoreta del deserto, Giovanni Battista, il Precursore.

Egli sorge come “figura unica nella Storia, coronata da un prestigio sovrumano che si erge misteriosamente e solennemente nell’incontro dei due Testamenti”,2 poiché è stata questa l’opinione su di lui enunciata dallo stesso Redentore: “In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista.

[…] La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni. E se lo volete accettare, egli è quell’Elia che deve venire” (Mt 11, 11-14). In questo stesso senso esprime la propria opinione San Tommaso d’Aquino,3 il quale afferma che San Giovanni Battista rappresenta la chiusura dell’Antica Legge e l’apertura della Nuova, vale a dire, l’Era del Vangelo.

Profezie sul Precursore

La stessa Liturgia di oggi è avvolta nel mistero quando narra il procedimento utilizzato per la scelta del suo nome, come più avanti vedremo. L’atmosfera che lo circondava si manifestò nei primi annunci della sua futura apparizione. Intorno al 450 a.C., queste erano state le parole profetiche di Malachia: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me” (Ml 3, 1). Già molto prima – intorno al 539 a.C., quando Ciro, re di Persia, aveva sconfitto il re della Babilonia, Nabonide, emanando in seguito un editto che rendeva liberi i giudei –, il Deutero-Isaia aveva annunciato la missione del Precursore: “Una voce grida: Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura” (Is 40, 3-4).

È grandioso e bello l’annuncio più diretto della sua concezione e missione. Zaccaria, sacerdote nel Tempio di Gerusalemme, compiva il suo turno nonostante fosse in età avanzata, senza aver avuto discendenti e, oltretutto, senza possibilità di poterli generare. Era giunto per lui il momento di offrire l’incenso al Signore, mentre il popolo lo aspettava all’esterno. Lo stesso Arcangelo Gabriele che sei mesi più tardi sarebbe stato davanti alla Santissima Vergine per annunciare l’Incarnazione del Verbo, gli apparve riempiendolo di timore, ma tranquillizzandolo in seguito con queste promesse: “Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto” (Lc 1, 13-17).

Uomo con lo “spirito e il potere di Elia”

Così, Giovanni sarebbe apparso come il figlio dell’orazione proferita da un sacerdote nel Tempio di Gerusalemme, pervaso da un’enorme gioia per aver saputo che avrebbe avuto nella sua discendenza un uomo di grandezza alla presenza dell’Altissimo; a questo futuro uomo sarebbero stati concessi “lo spirito e il potere di Elia”. Comunque, non avrebbe fatto uso di questi doni come fece il suo predecessore contro i sacerdoti di Baal, o al cospetto dei capitani e soldati di Acab. Per questo avrebbe frustrato le esaltate aspettative del popolo giudeo riguardo ad un Messia prodigioso, avvolto da ogni specie di gloria politica e sociale. Egli avrebbe predicato il cambio di mentalità (metanoia) sulla linea di una profonda e autentica armonia, sia nell’ambito familiare, sia includendo dai ribelli ai giusti, e in questo modo avrebbe cercato di creare le condizioni necessarie per la venuta del Messia. Per questo, si rendeva necessaria la sua stessa purificazione, compresa quella della macchia del peccato originale. Questa è stata una delle principali ragioni per cui la Vergine Maria ha intrapreso il faticoso viaggio con l’intenzione di aiutare sua cugina. Entrando nella casa di Elisabetta, essa “fu piena di Spirito Santo” (Lc 1, 41) e ha fatto la bella confessione: “Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo” (Lc 1, 44).

Apparizione dell’Angelo a Zaccaria

Apparizione dell’Angelo a Zaccaria

La sua nascita è stata parimenti eccezionale, perché a quell’età era impossibile ad Elisabetta concepire, al punto che Zaccaria aveva manifestato una fede insufficiente, nell’udire le chiare parole dell’Arcangelo Gabriele: “Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni” (Lc 1, 18). Questa reazione conferma bene la grandezza del miracolo che sei mesi dopo fu confermato dallo stesso Arcangelo: “Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 36-37). Se le circostanze umane che attorniarono la sua venuta a questo mondo furono singolari, con maggiore intensità lo furono quelle soprannaturali, al punto che un santo timore penetrò l’intimo di coloro che vennero a conoscenza dei fatti. La memoria di tutti fu segnata in modo indelebile, portandoli a chiedersi innumerevoli volte: “Che sarà mai questo bambino?” (Lc 1, 66). Lo stesso padre, assunto dallo Spirito Santo, avrebbe risposto nel suo cantico: “E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati” (Lc 1, 76-77).

Educato dallo Spirito Santo

La sua crescita ed educazione avvennero in un’atmosfera di contemplazione, penitenza e continua orazione. Dio fu suo maestro, l’ascesi la sua compagnia, e la sua via la santità, di qui il rafforzamento del suo spirito (cfr. Lc 1, 80). Si deduce dal suo modo di essere e di agire quanto egli fu pieno dello Spirito Santo “fin dal seno di sua madre” (Lc 1, 25) e quanto fosse grande la sua docilità nel seguire i suoi insegnamenti.

“Più che un profeta”

Quando arrivò il momento di realizzare la sua missione pubblica, si presentò vestito con abiti completamente fuori dal comune rispetto ai costumi dell’epoca: “un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi”, e la sua alimentazione non andava al di là di “locuste e miele selvatico” (Mt 3, 4). Assunse il ruolo di profeta senza dichiararlo apertamente, ma, anche qui, le sue caratteristiche lo collocano al di sopra di tutti quelli che lo hanno preceduto, egli fu “più che un profeta” (Mt 11, 9). Per questo San Roberto Bellarmino,4 in uno dei suoi sermoni commenta quanto fu glorioso per San Giovanni il fatto di aver indicato un Messia dalle apparenze così umili e, nonostante questo, aver avuto l’audacia di chiamarlo “Agnello di Dio” (Gv 1, 29), “Figlio di Dio” (Gv 1, 34); e oltre a ciò, proprio per la sua immediata prossimità col Salvatore, ha ricevuto la più grande chiaroveggenza su di Lui. Nessun profeta precedente aveva avuto così alto discernimento. Tutti annunciavano un futuro, mentre Giovanni indicava il Salvatore alla sua presenza. Con la sua condotta, giunse ad imporre rispetto persino ad Erode (cfr. Mc 4, 20), paura nei farisei (cfr. Mt 14, 5), ed ottenne altissimi elogi dalle divine labbra di Gesù (cfr. Mt 11, 11), essendo stato definito da Lui come il più grande uomo mai apparso sino a quel momento. La sua fama si sparse in maniera tale che gente da ogni parte della Giudea e gli abitanti di Gerusalemme andarono in cerca di Giovanni (cfr. Mc 1, 5) per ricevere il battesimo, e tra loro lo stesso Gesù Cristo (cfr. Mc 1, 9-11; Mt 3, 16-17; Lc 3, 21-22; Gv 1, 31-34). Le moltitudini, pubblicani e soldati, gli chiedevano: “Maestro, che dobbiamo fare?” (Lc 3, 14).

La sua anima non sperimentò mai la superbia

Battesimo di Gesù

Battesimo di Gesù

Se prestiamo maggiore attenzione a questa grandezza di San Giovanni, vedremo quanto essa non aveva una connotazione umana né socio-politica, come era nel desiderio del popolo eletto, in quelle circostanze storiche. Egli era un grande uomo, il più grande, ma nel campo soprannaturale e per azione della grazia. Era proprio per opera di questa che defluivano in lui la semplicità, umiltà e altruismo. La sua anima non ha mai sperimentato la superbia, la vanagloria o l’ambizione, vizi tanto universali e compagni di tutte le classi, età e funzioni. Sono passioni che spuntano con l’uso della ragione o, forse, perfino la precedono; queste promuovono la quasi irrefrenabile ansia di essere conosciuto, elogiato e amato. Frequentemente macchiano l’Innocenza primeva e appannano il candore dei bambini. “La superbia […] cerca l’eccellenza in forma disordinata, mentre la vanagloria brama la manifestazione dell’eccellenza”.5 La superbia “presenta una certa generalità, perché da lei possono sorgere tutti i peccati […], l’uomo disprezza la Legge divina che proibisce di peccare, come si legge in Geremia (2, 20): “Da molto hai rotto il tuo giogo, hai rotto i tuoi lacci, dicendo: non servirò nessuno”.6

Vanagloria: gloria senza onore

Così, per il fatto che noi amiamo in maniera indebita, ci crediamo in diritto di essere glorificati dagli altri, desideriamo avidamente gli elogi e gli applausi e ci sentiamo oltraggiati dal successo degli altri: la tristezza dei beni altrui, tanto frequente in innumerevoli anime.

La superbia e la sua figlia primogenita, la vanagloria, non conoscono limiti né barriere, penetrano fino alle sacre soglie della vita religiosa. È ciò che ci trasmette la grande Santa Teresa:

“Ci liberi Dio da quelle persone che vogliono servirLo, ma che si preoccupano delle onoranze. Vedete che è un cattivo affare. E, come già dissi, con lo stesso atto di desiderare gli onori, la persona li perde, specialmente in questioni di precedenze, poiché non esiste al mondo veleno più mortale per la perfezione. Direte che sono sciocchezze di cui non ci si deve far caso; non vi ingannate, perché questo cresce rapidamente e non c’è materia più pericolosa di queste questioni di onori e la preoccupazione per gli insulti ricevuti”.7

Paragrafi prima, diceva la stessa Santa di Avila:

“Dio ci liberi, con la sua Passione, dal dire o pensare, dal soffermarci in considerazioni tali come: ‘se sono più anziana’, ‘se sono più vecchia’, ‘se ho lavorato di più’, ‘se trattano l’altra meglio di me’. Pensieri come questi, se capitano, devono subito essere abbandonati, poiché se le persone vi si soffermano, o li mettono in pratica, è una pestilenza da cui nascono grandi mali”.8

Purtroppo, i peggiori effetti di questa passione si propagano nelle sacre file delle anime che si dedicano al pieno servizio di Dio, da qui la famosa affermazione di San Giovanni Crisostomo: “Tolle gloriam inanem de clero, et sine labore alia omnia vitia resecabis – Elimina la vanagloria dal clero, e strapperai facilmente tutti i vizi”.9 A volte la superbia si manifesta in forma collettiva, con enormi pregiudizi per la carità e offrendo l’occasione per scandali. In questi casi, si cerca la gloria di Dio come pretesto per ottenere la glorificazione propria. Di qui nasce anche l’invidia collettiva.

Giovanni ha rifiutato la gloria ed è cresciuto in onore

All’estremo opposto di questi squilibri, Giovanni vedrà la lenta estinzione della sua opera, quella del suo stesso nome e persino quella dei suoi discepoli, perché un altro Uomo gli è subentrato, molto più luminoso di lui. Tuttavia, davanti a questo quadro, in nulla si sentirà umiliato; egli è diventato l’esempio per tante anime sante che – nell’oscurità dei chiostri, o nel silenzio interiore in mezzo all’agitazione del mondo, sacerdoti, religiose, o addirittura in casa, sconosciute, dimenticate, e alle volte disprezzate – ripetono con il Precursore: “Illum oportet crescere, me autem minui – È necessario che Egli cresca e che io diminuisca” (Gv 3, 30). Sono unanimi tutti i commentatori nell’attribuire al Precursore uno speciale impegno nell’aver voluto estirpare dai suoi discepoli l’invidia di gruppo, per il fatto che si siano paragonati a Gesù e agli Apostoli. Questa è stata la ragione per la quale ha inviato un’ambasciata (cfr. Mt 11) all’Agnello di Dio, perché desiderava guarire la meschinità di cuore dei suoi seguaci e, probabilmente, consacrarli al Divino Maestro.

“Il suo nome è Giovanni”

Da secoli, tra i giudei, la scelta del nome era un atto inseparabile dalla cerimonia della circoncisione, che si realizzava alla presenza di, per lo meno, dieci testimoni. Subito dopo le orazioni previste dal rito, s’imponeva il nome, il quale più comunemente coincideva con quello del proprio padre, o si riferiva a qualche caratteristica spirituale o fisica del nascituro, o a qualcosa che avesse segnato la vita dei suoi genitori o avi.10

Zaccaria mentre scrive sulla tavoletta, del Beato Angelico

Zaccaria mentre scrive sulla tavoletta, del Beato Angelico

La cerimonia terminava con una piccola agape.

La scelta del nome, generalmente, era una prerogativa paterna, sebbene ci possano essere state alcune eccezioni nel corso della Storia, come constatiamo nel brano del Vangelo di oggi: “Ma sua madre intervenne: ‘No, si chiamerà Giovanni’”. Noi non ci sbaglieremmo di molto, immaginando gli sforzi di Zaccaria, durante il periodo della sua mutezza, per trasmettere ad Elisabetta i dettagli dell’apparizione di Gabriele. Lei, come madre, avrà dovuto, a sua volta, tentare in tutte le maniere possibili di sapere i dettagli di quel grandioso avvenimento.

La reazione dei circostanti magari è stata originata dal desiderio di consolare Zaccaria, ormai anziano, che vedeva nel suo unigenito la perpetuazione del suo stesso nome. La decisione è toccata al genitore che, chiedendo una tavoletta, ha scritto: “Il suo nome è Giovanni”. Atto che ha segnato non solo la definizione del Precursore, ma la fine del castigo imposto da Gabriele: “E subito si aprì la sua bocca e si sciolse la lingua”. Quando Zaccaria ha pronunciato il suo cantico, tutti hanno creduto di aver capito il motivo del nome “Giovanni”, ossia, “colui che annuncia”, ma, in realtà, soltanto post factum si è arrivati a capire a fondo la sua missione di Precursore e il perché delle sue caratteristiche personali. Egli ha potuto creare un clima contrario all’influenza dei farisei, scribi e sacerdoti dell’epoca, incoraggiando la penitenza, il cambiamento di mentalità e la conversione. Non ha dovuto realizzare un solo miracolo e niente sulla linea dello spettacolare, perché era necessario fissare la prospettiva di un Messia che Si sarebbe presentato come mansueto e umile: “Imparate da Me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29).

Portico d’entrata della missione del Messia

Pur senza miracoli, il Battista è stato eletto per presentarsi sulle soglie che hanno dato ingresso al Messia nella sua missione pubblica: “Ecco l’Agnello di Dio” (Gv 1, 29). Il suo profondo ascetismo e la sua stessa predicazione lo rendevano ben distinto rispetto ai precedenti leader rivoluzionari di stampo accentuatamente politico. Giovanni attirò a sé molta gente, da tutte le parti, perfino dalla stessa Gerusalemme che, preoccupata per questo fermento collettivo, gli inviò un’ambasciata per accertare con sicurezza chi egli fosse. I Vangeli comunemente presentano le autorità dell’epoca come malevole, invidiose e incredule. Tra loro c’erano, oltre a sadducei, leviti e sacerdoti, i famosi farisei. Tutti loro rifiutavano fortemente non solo il battesimo ma anche la stessa dottrina di Giovanni (cfr. Lc 7, 33).

Il deserto, immagine delle anime senza onore

A quest’ambasciata inviata dal Sinedrio e costituita da farisei (cfr. Gv 1, 19-28), egli dichiarò che era la voce che chiamava nel deserto; immagine forte per simbolizzare il vuoto delle anime senza onore, l’inconsistenza della sabbia propria dei vizi, il proliferare delle passioni. Quei terreni sterili sarebbero dovuti diventare solidi e fertili per ricevere il Messia.

I mali che avevano intiepidito tutti, si trovavano condensati in una fonte che fu denunciata dallo stesso Precursore: “Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? […] e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre!” (Mt 3, 7.9).

E più tardi il Salvatore dirà loro: “E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?” (Gv 5, 44).

Di qui si vede il perfetto intreccio tra le missioni del Precursore e quelle dell’Emanuele, “colui che annuncia” e il “Dio tra noi”. Entrambi vollero conferirci il vero onore per rendere autentica la nostra gloria.

III – Conclusione:  Il deserto della nostra epoca

Questa predicazione di Giovanni è valida ancor oggi e rimarrà indispensabile fino alla consumazione dei secoli, dato l’orgoglio che abbiamo ereditato dalla nostra uscita dal Paradiso. Vizio che ci segue ad ogni passo fino all’ora della nostra morte.

Se Giovanni oggi ritornasse, egli apparirebbe come una voce che chiama nel deserto? Basta lanciare uno sguardo attento sull’aridità della nostra attuale umanità che, dopo aver perso la nozione di peccato, non solleva più lo sguardo a Dio e dedica instancabilmente ogni suo sforzo a riseccare nella fonte il balsamo di grazia che ci viene dal Cielo.

Non ci resta che supplicare che, com’è accaduto duemila anni fa, le preghiere della Vergine di Nazaret facciano piovere nuovamente il Giusto su questo terribile deserto in cui attualmente esistiamo e operiamo.

Beata Vergine Maria con il Bambino Gesù

Beata Vergine Maria con il Bambino Gesù

1) CASTELOT, André. Talleyrand ou le cynisme. Paris: Perrin, 
1980, p.472

2) TERTULIANO. Adversus Marcionem. L.IV, c.33: ML 2, 441.


3) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Summa Theologica. III, 
q.38, a.1, ad 2.


4) Cfr. SAN ROBERTO BELLARMINO. Sermones Dominicales 
et Festales super Evangeliis. Domenica Secunda Adventus, 
v.7-8. In: Opera Oratoria Postuma. Roma: Gregorianæ, 1944,
v.V, p.37-39.


5) SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., II-II, q.162, a.8, ad 2. 

6) Idem, a.2. 

7) SANTA TERESA DI GÈSU. Camino de Perfección. C.XII, 6-7. 
In: Obras Completas. Burgos: El Monte Carmelo, 1916, t.III, p.62. 

8) Idem, 3-4, p.60.


9) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. 
Super Matthæum. C.XXIII, lect.1.

10) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Summa Theologica. III, q.37, a.2.

Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.