Vangelo
In quel tempo, 17 mentre Gesù andava per la strada, un tale Gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a Lui, Gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” 18 Gesù gli disse: “Perché Mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19 Tu conosci i Comandamenti: ‘Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre’”. 20 Egli allora Gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. 21 Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in Cielo; e vieni! SeguiMi!” 22 Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. 23 Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel Regno di Dio!” 24 I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: “Figli, quanto è difficile entrare nel Regno di Dio! 25 È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio”. 26 Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: “E chi può essere salvato?” 27 Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio”. 28 Pietro allora prese a dirGli: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e Ti abbiamo seguito”. 29 Gesù gli rispose: “In verità Io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, 30 che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà” (Mc 10, 17-30).
Il tredicesimo Apostolo?
Colui che era venuto correndo e si era inginocchiato ansioso davanti a Nostro Signore, si allontanò triste e abbattuto dalla sua presenza. Preferì conservare i suoi beni terreni, disprezzando – fatto inedito nel Vangelo – il “tesoro in Cielo” offerto da Dio stesso.
I – Siamo stati creati con una vocazione
Fin dall’eternità, è stata prevista nella mente divina la creazione di Nostro Signore Gesù Cristo, nel tempo, come Uomo,1 e di sua Madre, Maria Santissima.2
Dio non ha però concepito entrambi in modo isolato: Egli voleva che come in una corte, ci fosse chi Li servisse. Tutti noi siamo stati inclusi in questo atto di pensiero e siamo stati amati da Lui, come fu rivelato a Geremia: “Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele” (Ger 31, 3).
Il Signore Gesù è il modello adottato da Dio per la nostra creazione, è Lui la nostra causa esemplare. Dovendo rendere possibile, per i suoi meriti, la nostra esistenza come figli di Dio – poiché “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia” (Gv 1, 16) – Egli Si costituisce in nostra causa efficiente. E’ anche la nostra causa finale poiché siamo stati creati per servirLo e adorarLo.
Siamo stati concepiti in, da e per Gesù, “perché in Lui furono create tutte le cose nei Cieli e sulla Terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui” (Col 1, 16).
Questo configura un richiamo che ci viene rivolto fin dall’eternità, come afferma l’Apostolo: Dio “ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità” (II Tm 1, 9). Dio ci invita a far parte della Santa Chiesa e ci chiama alla santità. Insieme a questo appello generico, siamo chiamati anche ad esercitare una funzione specifica all’interno del Corpo Mistico di Cristo. È una missione che ognuno ha particolarmente e non sarà data a nessun altro.
Il Nuovo Testamento ci presenta numerosi esempi del richiamo fatto da Gesù stesso a coloro che erano stati da Lui prescelti per essere suoi Apostoli: vede Matteo nella riscossione delle imposte e gli dice: “SeguiMi” (Mt 9, 9); sulla via di Damasco, San Paolo è gettato a terra e, ascoltando la voce che lo interpella, risponde: “Signore, che vuoi che io faccia?” (At 9, 6); pieno di meraviglia dopo la pesca miracolosa, Pietro si prosterna davanti al Maestro, esclamando: “Signore, allontanaTi da me, perché sono un peccatore” (Lc 5, 8), e ascolta la divina promessa: “d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5, 10).
Proprio come Matteo, Paolo e Pietro, che hanno immediatamente abbandonato tutto per seguire il Maestro, dobbiamo rispondere con prontezza, generosità e gioia al richiamo che Gesù fa a ognuno di noi.
Questo è l’insegnamento contenuto nel Vangelo della 28ª Domenica del Tempo Ordinario, come ci apprestiamo a vedere.
II – L’episodio del giovane ricco
San Marco, tanto sintetico in altri passi, si mostra minuzioso nel narrare l’episodio del giovane ricco. Già il primo versetto contiene dettagli interessanti degni di particolare attenzione.
Cerca ansioso la via della salvezza
In quel tempo, 17 mentre Gesù andava per la strada, un tale Gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a Lui, Gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”
Per il fatto che “corse incontro” al Signore, possiamo supporre quanto questo “tale” fosse ansioso di ottenere ciò che stava per chiedere. Certamente aveva sentito la predicazione di Gesù e, sotto l’impulso di una grazia sensibile, si era lasciato trasportare dai suoi divini insegnamenti. Desiderando, da un lato, ottenere la vita eterna e, dall’altro, non avendo la certezza di meritarla, sentiva nel profondo dell’animo che Gesù era in grado di mostrargli con sicurezza la via della salvezza.
La stessa domanda posta al Salvatore, parla in questo senso, perché, come sottolinea Didon, essa “rivelava una natura superiore e un’anima sincera. Le dottrine della scuola sul merito delle giuste opere, sulla santità per la virtù dei riti, non soddisfacevano la sua coscienza; certamente ascoltava il Maestro parlare della vita eterna con un tono che lo aveva toccato profondamente”.3
Da qui deriva il fatto che lui corresse fino a Gesù, inginocchiandosi e chiamandoLo “Maestro buono”, un attributo estraneo ai costumi e alle gentilezze correnti all’epoca. “Non vi è alcun esempio conosciuto di chi chiamava in questo modo un rabbino”, commenta Lagrange, aggiungendo che questo saluto “oltrepassava le abitudini di cortesia allora vigenti”.4
È anche interessante mettere in rilievo il tenore della domanda, così differente dai temi sui quali si conversa oggigiorno. A quell’epoca, le persone si preoccupavano di sapere come guadagnarsi il Regno dei Cieli. E oggi?…
Riguardo alla fretta del giovane, Fillion osserva: “Correva per non perdere l’occasione di fare al Salvatore una domanda che lo preoccupava molto”.5 Duquesne elogia questo atteggiamento e lo propone come esempio: “È con questo fervore dello spirito e questa rapidità fisica, questa prontezza e questa gioia spirituale, che si deve andare a Gesù”.6
Gesù lo ama e gli fa un invito: “vieni! SeguiMi!”
18 Gesù gli disse: “Perché Mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”.
Questa risposta, a prima vista, causa perplessità, ma subito si comprendono le ragioni divine che hanno portato il Signore a darla.
Il Divino Redentore non voleva rimproverarlo, ma richiamare la sua attenzione a questa realtà: Dio è la Bontà e la bontà assoluta esiste solo in Dio. Sant’Efrem insegna a tal riguardo che Cristo “rifiuta il titolo di ‘buono’, dato da un uomo, per indicare che Lui questa bontà l’aveva acquisita dal Padre, per natura e generazione, e non la aveva semplicemente di nome”.7
Nel chiamarLo “Maestro buono”, il giovane ricco mostrava soprattutto di
vedere il lato umano del Messia: la sua intelligenza, la capacità e la saggezza naturali. Ora, Gesù ha voluto che lui Lo considerasse non solo come un Uomo, ma soprattutto come Dio. Per questo lo interpella: “Perché Mi chiami buono?”.
Con questa domanda, lo invita a fare un passo avanti, come a dire: “Tu stai vedendo solo il mio lato umano, contempla anche quello divino. In fondo, senza rendertene conto, Mi stai attribuendo una divinità che effettivamente ho, perché sono Dio. Abbi coscienza di questo, comprendi questa realtà con chiarezza e, comprendendola, amala ancora di più”.
Questo invito è dolce e altamente didattico, come afferma padre Duquesne: Gesù infatti “gli fa abilmente penetrare nell’animo che lui non ha a suo riguardo la nozione completa che avrebbe dovuto e, dicendogli che questo titolo si addice solo a Dio, lo porta a capire che dovrebbe considerare come Figlio di Dio Colui al quale egli lo dà, non come un maestro semplicemente umano”.8
19 “Tu conosci i Comandamenti: ‘Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre’”. 20 Egli allora Gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”.
Questo versetto ci dà una nuova dimostrazione della divinità di Gesù. Egli non chiede al giovane se conosce i Comandamenti, ma lo afferma con certezza. Colui che ora vedeva con i suoi occhi umani, già lo conosceva, come Dio, da tutta l’eternità e sapeva che stava praticando la virtù, osservando la Legge.
21 Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in Cielo; e vieni! SeguiMi!”
Cristo lo guardò con amore e gli porse lo stesso invito che aveva fatto agli Apostoli: “vieni! SeguiMi!”. Commenta Fillion: “Pertanto, Gesù era disposto ad ammettere questo giovane tra i suoi discepoli intimi, con i quali, seguendoLo dappertutto e in compagnia del migliore e più santo dei maestri, avrebbe potuto acquisire, senza indugio, la perfezione con la quale avrebbe ottenuto facilmente il Cielo”.9 Maldonado corrobora questa opinione: “Cosa intende Cristo con il ‘vieni e seguiMi’? […] La parola ‘vieni’ sembra esprimere, più che la semplice imitazione, il seguire materiale: lo invita a far parte dei suoi Apostoli e familiari”.10
A quell’uomo, che stava praticando i Comandamenti, Dio aveva riservato da tutta l’eternità l’altissima vocazione di seguire Gesù. Per compierla, gli è stata chiesta una rinuncia: “va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri”; e offerta una ricompensa infinita: “avrai un tesoro in Cielo”. Gli toccava rispondere a questa chiamata, con gioia completa e disponibilità, come avevano fatto Simone, Levi e molti altri.
La causa più profonda del rifiuto
22 Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Tuttavia, lo stesso giovane che era venuto di corsa e si era inginocchiato ansioso davanti a Gesù, se ne andò triste e “scuro in volto”, perché “possedeva infatti molti beni” e preferì conservarli che seguire la sua vocazione, disprezzando il “tesoro in Cielo” che il Messia stesso gli offriva. Fatto inedito, poiché gli evangelisti non narrano un rifiuto simile a questo. Non crediamo, tuttavia, che sia stato l’attaccamento alle ricchezze la causa principale della sua rinuncia. Il giovane ricco aveva praticato i Comandamenti fin dalla sua infanzia, ma non perfettamente. Aveva trascurato, soprattutto, il primo e più fondamentale: “Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6, 5). Come ben osserva il noto biblista Lagrange, i precetti che gli vengono menzionati dal Signore “ben possono essere osservati senza eroismo. Se Gesù gli avesse chiesto se avesse amato Dio con tutto il cuore, sarebbe stato molto più turbato”.11
Il grande peccato di quest’uomo non è stato, pertanto, di avarizia ma di orgoglio. Dopo essere stato invitato a seguire Nostro Signore ed aver sentito dentro di sé la sua debolezza e la propria insufficienza, avrebbe dovuto dire: “Signore, non ho la forza di seguirTi. Sono attaccato alle mie ricchezze e, soprattutto, mi manca un amore esclusivo per Te”.
Di fronte a quest’atto di umiltà, Gesù gli avrebbe dato grazie sovrabbondanti per corrispondere alla chiamata e così oggi avremmo potuto avere nel Calendario Romano, una festa dedicata al giovane ricco, fattosi povero per acquisire una ricchezza molto più grande: essere il tredicesimo Apostolo!
Tuttavia, egli non seppe riconoscere che, se praticava i Comandamenti, non era per le sue forze personali, ma per la grazia divina e che, quindi, senza l’aiuto della grazia, non sarebbe riuscito a disprezzare le ricchezze e seguire Gesù.
III – Solo i poveri di spirito entreranno nel Regno dei Cieli
23 Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel Regno di Dio!” 24 I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: “Figli, quanto è difficile entrare nel Regno di Dio! 25 È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”.
In quest’ultimo versetto, il Signore Si serve di un proverbio utilizzato dagli Ebrei per esprimere qualcosa di estremamente difficile e quasi impossibile. Ricorre deliberatamente a tale comparazione in apparenza esagerata – “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago” – per mostrare la gravità del “disordine proprio di questa passione, consistente nel tenere il cuore attaccato alla Terra, indurirlo in ciò che riguarda Dio e il prossimo, renderlo insensibile alle cose del Cielo”.12
Per ben analizzare queste parole di Gesù, dobbiamo cominciare evitando l’errore d’interpretazione secondo il quale tutti i ricchi sarebbero condannati e tutti i poveri, al contrario, sarebbero sulla via della salvezza. Infatti il Maestro non Si riferisce qui alla ricchezza materiale ma alla deviazione che porta l’uomo a riporre la sua fiducia nei beni terreni, anteponendoli ai beni superiori.
Su questo particolare, chiarisce Fillion: “Non si tratta qui dei ricchi in quanto tali, perché il possesso dei beni temporali non è, di per sé, uno stato di peccato né causa di condanna, anche se offre seri pericoli. Gesù esclude dal suo Regno solo quei ricchi che si aggrappano alle loro ricchezze e in queste ripongono il loro scopo e tutto il loro affetto”.13
Come avvalersi della ricchezza per ottenere la vita eterna
La finalità ultima dell’uomo è in Cielo. Il denaro e le ricchezze possono essere solo mezzi – effimeri, instabili e superflui – per raggiungere questo fine supremo. Così, è legittimo accumulare beni e usufruirne, a patto che siano acquisiti in forma lecita e il loro utilizzo sia subordinato alla gloria di Dio.
Su questa linea si inserisce il commento fatto da Clemente di Alessandria a questo passo del Vangelo: “La parabola insegna ai ricchi che non devono trascurare la loro salvezza eterna, come se in anticipo, disperassero di essa; non che debbano buttare la ricchezza a mare, né condannarla come insidiosa e nemica della vita eterna. Ciò che conta è sapere qual è il modo di avvalersi di questa per possedere la vita eterna”.14 Infatti, quanti re, principi o semplici persone ricche che, amministrando i propri beni con completo distacco, ora si trovano in Cielo come testimonia il Martirologio?
D’altro canto, quanti poveri ci sono che si rifiutano di praticare la virtù! Farebbero bene ad ascoltare l’acclamazione di San Cesario d’Arles: “Ricchi e poveri, ascoltate ciò che dice Cristo. Parlo al popolo di Dio. Per la maggior parte di voi, siete poveri o dovete imparare a essere così. Tuttavia, ascoltate, perché possiamo anche vantarci di essere poveri; attenti con la superbia, che non succeda che i ricchi umili vi superino; cautelatevi contro l’empietà, non succeda che i ricchi pii vi lascino alle spalle”.15
Il problema non è, pertanto, nella quantità di beni materiali posseduti da uno, ma nell’uso che di questi si fa. Per poter entrare nel Regno dei Cieli, non si deve avere alcun attaccamento ad essi. La povertà di spirito consiste nel renderci conto che noi siamo creature contingenti, che dipendono da Dio. Si può lottare per avere sostanze, in vista della diffusione del Regno di Dio e fare in modo che Lui regni di fatto in tutti i cuori.
Col nostro semplice sforzo non conquisteremo mai il Cielo
26 Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: “E chi può essere salvato?” 27 Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio”.
Non sorprende lo stupore dei discepoli di fronte alla forza del paragone usato dal Signore ma questa stessa perplessità li porta a considerare meglio la propria contingenza e fissare nell’animo l’insegnamento del Divino Maestro: con i suoi semplici sforzi, l’uomo non sarà mai in grado di conquistare il Cielo ma ciò che per l’uomo è impossibile, non lo è per Dio.
Dio è onnipotente, ci ama fin dall’eternità ed è desideroso di aprirci le porte del Cielo. Per entrarvi, è necessario soltanto essere umili e riconoscere le nostre miserie, chiedendo l’aiuto divino, senza scoraggiarci.
La salvezza, come la vita stessa, è un dono di Dio. È la sua grazia che ci dà la forza di praticare i Comandamenti e ci rende degni di entrare nel suo Regno. Non facciamo, dunque, come il giovane ricco, ma umili, confidiamo nella sua bontà, come insegna San Paolo: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4, 16).
Sempre su questi due versetti, conviene notare, con Maldonado, che la domanda “chi può essere salvato?”, gli Apostoli l’hanno rivolta “tra loro”, in quanto solamente loro hanno potuto udirla. Cristo però li guarda e dà loro la risposta, mostrando così che “legge i loro pensieri e ascolta le loro conversazioni, per quanto riservate siano”.16
Il centuplo già in questo mondo
28 Pietro allora prese a dirGli: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e Ti abbiamo seguito”. 29 Gesù gli rispose: “In verità Io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, 30 che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”.
Forse per il fatto di sentirsi presi, San Pietro, impulsivo portavoce di tutte le perplessità degli Apostoli, formula una frase che, secondo Lagrange, “riassume tutto l’episodio precedente, dal punto di vista dei discepoli”.17
Secondo Maldonado18 – che segue l’opinione di Origene, San Girolamo e San Giovanni Crisostomo – Pietro ha voluto, con la sua affermazione, ricordare a Cristo il fatto che gli Apostoli avevano già compiuto in precedenza quello che ora viene chiesto al giovane ricco. Nello stesso senso si pronuncia Lagrange, osservando che l’affermazione del Principe degli Apostoli è stata fatta “con una certa soddisfazione, che sembra sollecitare l’approvazione”.19
Ma sarebbe il caso di chiedere, come Maldonado: “Perché, allora, dubitava: ‘Cosa ci sarà per noi’? Perché non credette fermamente che anche per loro ci sarebbe stato un tesoro nel Cielo?”. Maldonado stesso risponde: “Forse perché pensassero che Cristo prometteva una onorificenza così grande a quel giovane a causa delle molte ricchezze che questo doveva abbandonare; ora, siccome gli Apostoli possedevano solo cose di poco valore, si aspettavano di ricevere qualcosa, sì, ma non osavano sperare tanto; per questo chiedono come e quanto sarà”.20
In fondo all’affermazione di Pietro c’è una diffidenza e un’obiezione. Gesù, tuttavia, non li rimprovera. Essendo la Bontà in essenza, Egli li tratta con affetto e aggiunge, al premio della vita eterna in Cielo, una ricompensa anche qui sulla Terra. Certi autori commentano che il Signore, facendo questa promessa, volle affermare che chi per causa sua lascia i beni di questa Terra, riceverà in cambio beni di valore infinito. Ossia: chi per Lui abbandona ciò che è carnale, in cambio riceverà il premio del bene spirituale. Ci sembra, tuttavia, che le parole del versetto 30 – “in questo tempo” – rendano chiaro il carattere terreno di questa ricompensa, la cui concreta realizzazione in età apostolica è così segnalata da Fillion: “Nei primordi della Chiesa, quando tanto spesso i neofiti dovevano rompere i legami più stretti di famiglia per arruolarsi al servizio di Cristo, essi trovavano nella grande comunità cristiana fratelli e sorelle, padri e madri che attenuavano in loro la sofferenza causata dalla separazione violenta e riempivano di conforto i loro cuori dolenti”.21
Sotto una prospettiva più atemporale, padre Didon segnala che lo Spirito Divino “non porta solo a tutti coloro che invisibilmente Lo ricevono l’assaggio dei beni celesti, eterni, infiniti, ma, oltre questo, esalta ancor più la vita di questo mondo, aumenta le sue risorse, armonizza le sue energie, trasfigura tutti i suoi atti. Tra gli esseri eletti che questo Spirito avvicina, si formano legami più intimi, più profondi, più dolci rispetto a quelli che vi sono tra i parenti e dello stesso sangue”.22
Padre Fernández Truyols, riferendosi in particolare alle persone che corrispondono alla vocazione religiosa e fanno una resa totale di se stesse, commenta: “Il sacrificio dei beni del mondo avrà la sua ricompensa già in questa vita. E non solo con vantaggi esclusivamente spirituali, ma anche con beni temporali, anche se su un piano superiore di quello puramente materiale. Chi si spoglia di tutto per seguire Gesù Cristo, riceverà dalla Divina Provvidenza, e forse con aggiunta e sovrabbondanza, quanto necessita per la sua sussistenza. Lascia suo padre e sua madre, e Dio gli dà padri e madri che lo adottano come un figlio prediletto. Fanciulle nel fiore della giovinezza rinunciano alla maternità, e Dio le fa madri non di alcuni, ma di innumerevoli figli, ai quali elargiscono una tenerezza di un cuore veramente materno”.23
IV – Una domanda decisiva per la nostra vita spirituale
Siamo tutti “partecipi di una vocazione celeste” (Eb 3, 1). Tuttavia, mentre Gesù ci chiama a seguirLo nel cammino verso il Regno di Dio, le nostre tendenze disordinate in conseguenza del peccato originale ci trascinano verso ciò che è inferiore.
Esempio paradigmatico di questa dicotomia è l’episodio del Vangelo che abbiamo appena commentato. Il giovane ricco era buono. Praticava i Comandamenti, al punto che Nostro Signore lo fissava con amore ma quando il Maestro lo invitò ad essere uno dei suoi discepoli, se ne andò triste e abbattuto, perché ogni volta che qualcuno rifiuta un invito della grazia, è pervaso dalla tristezza e dal rimorso. Padre Duquesne descrive con singolare chiarezza questo deplorevole stato d’animo: “Nessuno rinuncia alla sua vocazione, senza sentire un dolore nel cuore, senza una segreta tristezza che rimprovera la sua codardia, una tristezza che diffonde amarezza durante tutto il corso della vita e aumenta nell’ora della morte”.24
La Liturgia di questa domenica ci pone di fronte ad una questione cruciale per la nostra vita spirituale: a che distanza si trova la nostra anima dall’atteggiamento del giovane ricco? Se Cristo oggi ci invitasse a seguirLo, come risponderemmo? Urleremmo di gioia, come Samuele: “Præsto sum – Mi hai chiamato, eccomi” (I Sam 3, 16)? O, presi dalla tristezza, rifiuteremmo l’invito del nostro Salvatore? Quando arriverà questo richiamo – ed esso può giungere in un momento inatteso –, potremo dare una risposta affermativa se ci saremo preparati in anticipo. Per questo, è necessario che in tutte le circostanze della vita il nostro cuore sia alla ricerca del Divino Maestro, combattendo l’attaccamento ai beni terreni, aumentando incessantemente il fuoco dell’amore per Dio e ponendo la domanda di San Paolo sulla via di Damasco: “Signore, che vuoi che io faccia?”.
A questo ci incita il Principe degli Apostoli: “Quindi, fratelli, cercate di rendere sempre più salda la vostra chiamata e la scelta che Dio ha fatto di voi. Se farete questo non cadrete mai. Così infatti vi sarà ampiamente aperto l’ingresso nel Regno eterno del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo” (II Pt 1, 10-11).
1) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.24, a.1.
2) Cfr. GIOVANNI PAOLO II. Redemptoris Mater, n.8.
3) DIDON, OP, Henri-Louis. Jésus-Christ. Paris: Plon, Nourrit et Cie, 1891, p.616.
4) LAGRANGE, OP, Marie-Joseph. Évangile selon Saint Marc. 5.ed. Paris: Lecoffre; J. Gabalda, 1929, p.264.
5) FILLION, Louis-Claude. Vida de Nuestro Señor Jesucristo. Vida pública. Madrid: Rialp, 2000, v.II, p.429.
6) DUQUESNE. L’Évangile médité. Lyon-Paris: Perisse Frères, 1849, v.III, p.266.
7) SANT’EFREM DI NISIBI. Comentario al Diatessaron, 15, 2, apud ODEN, Thomas C.; HALL, Christopher A. (Ed.). La Biblia comentada por los Padres de la Iglesia. Evangelio según San Marcos. Madrid: Ciudad Nueva, 2000, v.II, p.198-199.
8) DUQUESNE, op. cit., p.267.
9) FILLION, op. cit., p.431.
10) MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios. Evangelio de San Mateo. Madrid: BAC, 1950, v.I, p.692.
11) LAGRANGE, op. cit., p.266.
12) DUQUESNE, op. cit., p.273.
13) FILLION, op. cit., p.431.
14) CLEMENTE D’ALESSANDRIA. Quid dives salvetur. C.XXVII: MG 2, 631.
15) SAN CESARIO D’ARLES. Sermón, 153, 2, apud ODEN; HALL, op. cit., p.204.
16) MALDONADO, op. cit., p.695.
17) LAGRANGE, op. cit., p.271.
18) Cfr. MALDONADO, op. cit., p.695.
21) FILLION, op. cit., p.433.
22) DIDON, op. cit., p.620.
23) FERNÁNDEZ TRUYOLS, SJ, Andrés. Vida de Nuestro Señor Jesucristo. 2.ed. Madrid: BAC, 1954, p.482.
24) DUQUESNE, op. cit., p.270-271.
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