Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 37 “Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca. 39 Ed essi non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’Uomo. 40 Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. 41 Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata. 42 Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43 Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44 Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’Uomo verrà” (Mt 24, 37-44).
La vigilanza: una virtù dimenticata?
Iniziando l’Anno Liturgico, il Divino Maestro ci esorta ad avere sempre presente il fine ultimo per il quale siamo stati creati e ad essere preparati per l’incontro con il Supremo Giudice. A tal fine è indispensabile la pratica di una virtù molte volte dimenticata o disprezzata: la vigilanza.
I – Fondamentale virtù della vigilanza
Nel contemplare la natura, sia in campo aperto o dentro una foresta, catturano la nostra attenzione certi aspetti dai quali possiamo trarre una lezione per la nostra vita spirituale. Vediamo, per esempio, il volo di un uccello che porta nel becco uno stecchetto per costruire il nido dove deporre le uova e perpetuare la sua specie. Quello è costruito con la precisione di un falegname – soltanto con l’istinto e non per aver intelligenza –, una vera opera d’arte. Immaginiamo, allora, che quest’uccello riceva un’anima, non come il principium vitæ che vegetali e animali hanno, ma un’anima immortale come quella dell’uomo, che sussiste anche quando è separata dal corpo dalla morte. In tal caso, sarebbe opportuno che l’uccello considerasse più prezioso il nido che egli sta costruendo o l’esistenza eterna della sua nuova anima? La seconda possibilità è evidente. Senza smettere di fare il nido, egli dovrebbe concentrare la principale preoccupazione sul suo destino sempiterno.
Ora, Dio ha dotato l’uomo di quest’anima immortale. La morte raggiunge soltanto la parte animale della natura umana, il corpo, il quale resusciterà ancora. Di conseguenza, l’uomo ha l’obbligo di dare più importanza all’anima che al corpo, facendo tutto in previsione dell’eternità, senza, però, trascurare quello che è transitorio, senza smettere di lavorare, di mettere in ordine la casa, di educare i figli, nel caso segua la via matrimoniale, o di compiere altri obblighi se ha abbracciato la via religiosa. Nonostante ciò, molte volte accade una tragedia: l’uomo si volge esageratamente verso le cose concrete e si dimentica di quello che avverrà dopo la sua morte e nel Giudizio Universale.
Con l’Avvento inizia un nuovo Anno Liturgico. Le quattro settimane di questo periodo simbolizzano i millenni in cui l’umanità ha aspettato la nascita del Salvatore. Sono giorni di penitenza e di attesa che la Chiesa propone come preparazione per la venuta del Bambino Gesù, nella Solennità del Natale, come pure nella fine dei tempi.
Per questo, la Liturgia della 1a Domenica di Avvento ha all’inizio la seguente richiesta, nella Preghiera Colletta: “Suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il Regno dei Cieli”.1 È nel desiderio ardente del Cielo e fissando i nostri occhi alla fine del mondo e all’eternità che avremo la forza per praticare la virtù e realizzare buone opere.
In tempo di guerra, se una sentinella dorme sul posto, la corte marziale la sottoporrà a pene severe per aver abbandonato il suo obbligo; tutti noi siamo sentinelle in una guerra molto più grave della difesa della patria terrena. San Pietro dice che il demonio gira intorno a noi come un leone, volendo divorarci (cfr. I Pt 5, 8). Siamo costantemente accerchiati da pericoli e, se vogliamo salvare la nostra anima, è necessario rimanere sempre in stato di allerta, essere vigili.
Vigilanza: ecco il segno distintivo del Vangelo che apre l’Anno Liturgico.
II – La grande sorpresa della nostra vita
In che luogo, in che momento e in che circostanze si situa l’episodio narrato da San Matteo e scelto per questa domenica? Nostro Signore si trovava in cima al Monte degli Ulivi, dal quale si poteva intravvedere il Tempio di Gerusalemme.2 All’imbrunire, l’imponente edificio era l’ultimo a esser illuminato dalla luce del Sole, di modo che, quando la città era ormai nella penombra, esso ancora rifulgeva per i riflessi dorati degli ultimi raggi dell’Astro Re che scompariva all’orizzonte. Monte di grande simbolismo, perché sarebbe stato anche lì che Gesù avrebbe fatto l’ultima preghiera della sua vita terrena e avrebbe detto a San Pietro, San Giacomo e San Giovanni – gli Apostoli che avevano assistito alla sua Trasfigurazione nel Monte Tabor –, quando li trovò che dormivano: “Sic non potuistis una hora vigilare mecum? Vigilate et orate, ut non intretis in tentationem – Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione” (Mt 26, 40-41). Con queste parole il Salvatore del mondo esorta più alla vigilanza che alla preghiera, per mostrarci che la prima è la più importante tra le due, poiché a nulla vale pregare senza vigilare.
È stato, dunque, in questo luogo così evocativo che in un’atmosfera quasi di saluto, pochi giorni prima della Passione, il Divino Redentore ha fatto uno dei suoi ultimi ammonimenti, raccomandando specialmente la virtù della vigilanza agli Apostoli e, tramite loro, a tutta la Chiesa, per tutti i secoli.
La venuta del Figlio dell’Uomo
37 “Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca. 39a Ed essi non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti…”
Questo paragone tra il diluvio universale e la “venuta del Figlio dell’Uomo” è messo da diversi autori in relazione con la distruzione di Gerusalemme, avvenuta circa quarant’anni dopo la Crocifissione.
Leggendo, nel libro della Genesi, la descrizione dei lavori di Noè per costruire l’Arca e introdurre in essa “di ogni specie di tutti gli animali, […] un maschio e una femmina” (6, 19), richiama l’attenzione, l’indifferenza con cui gli uomini di quel tempo considerarono gli sforzi di questo grande uomo di Dio. A ben dire, “essi non si sono accorti di nulla” di quanto stava per accadere.
Lo stesso si può constatare venendo a conoscenza degli antecedenti della caduta di Gerusalemme nel racconto fatto da Flavio Giuseppe,3 nella sua classica opera Guerra dei giudei.
L’arrivo inatteso della morte e del giudizio personale
39b “…così sarà anche alla venuta del Figlio dell’Uomo. 40 Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. 41 Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata”.
San Tommaso d’Aquino4 raccoglie i commenti di vari Padri – tra i quali San Girolamo e San Giovanni Crisostomo –, che vedono in queste parole di Gesù una chiara allusione alla fine del mondo e al Giudizio Finale. Tuttavia, è anche vero che bisogna interpretarle come un ammonimento riguardo alla nostra fine personale, per non esser colti di sorpresa, comel’umanità nel diluvio.
Vi sono persone amanti della stabilità e della sicurezza che si affliggono e hanno un vero panico per gli imprevisti. Sono quelli cui piace calcolare tutto, non solo per il giorno dopo, ma anche per la settimana e il mese seguente. In certi casi addirittura fissano i viaggi nell’agenda con tre anni di anticipo, pianificando e delineando i minimi dettagli. Ci sarà un viaggio, però, rispetto al quale abbiamo la tendenza a non preoccuparci di fare alcun programma. Infatti, per intraprenderlo non abbiamo bisogno di verificare la validità del passaporto, né di preparare le valigie o procurarci qualche materiale, poiché esso è sui generis e avviene di sorpresa: la morte. La nostra propensione naturale è credere che siamo su questa Terra sicuri e per sempre, di conseguenza, ignorare che qui viviamo in stato di prova, per essere analizzati da Dio e ricevere il premio o il castigo secondo le nostre opere, concetti questi che ci sono anch’essi estranei.
Perché Dio agisce così con l’uomo?
Uno potrebbe chiedere se da parte di Dio non sarebbe più affettuoso e più buono se, già alla nascita il bambino avesse sul braccio un tatuaggio divino impresso dall’Angelo Custode con la data della sua morte. In questo modo, i genitori e parenti saprebbero quanti anni resterebbero da vivere al bambino. E lui, raggiungendo l’uso della ragione, chiederebbe alla madre il significato di quel marchio, ottenendo sicuramente questa risposta: “Figlio mio, esso indica quanto tu durerai”…
Tale notizia non ci aiuterebbe a prepararci meglio all’ora della morte? No! Considerata la miseria umana, frutto del peccato originale, se uno sapesse l’istante esatto della sua morte, crederebbe di avere tempo per godersela e si sprofonderebbe in una vita pessima, completamente trascurata e negligente. L’ultimo giorno, all’ultimo momento, cercherebbe un sacerdote che gli amministrasse i Sacramenti, esponendosi al grave rischio di non riceverli… E subito dopo, dopo il dramma della morte, verrebbe la sorpresa del giudizio personale e della sentenza inappellabile di Dio!
Sarà “lasciato” – cioè, castigato – colui che, dimenticando il suo destino eterno, indirizza tutti i suoi atti come se Dio non esistesse. Al contrario, sarà “portato” in Cielo chi ha la nozione chiara che la vita è passeggera e il suo scopo non si realizza su questa Terra, ma nell’eternità. Stando così le cose, Dio, che in tutto agisce in maniera perfettissima, non ci avvisa dell’ora della morte per spingerci a praticare con maggior merito ed efficacia la virtù della vigilanza.
La necessità di essere attenti
42 “Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”.
Nell’utilizzare Signore con la S maiuscola, la traduzione liturgica sottolinea che non si tratta di un signore qualunque, ma del Signore che verrà all’improvviso a coglierci, come pare esser l’intenzione di San Matteo in questo passo. In tal modo Gesù ha voluto incutere in noi la virtù della vigilanza di fronte alla prospettiva di una sorpresa sgradevole – sia essa la morte o anche una disgrazia o sofferenza – che proprio per questo ha creato una parabola, avvalendoSi di un fatto della vita quotidiana dell’epoca e di tutti i tempi.
La morte arriva come un ladro
43 “Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44 Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’Uomo verrà”.
In quel tempo, in Palestina, le case non erano dotate della stessa solidità di oggi; in genere erano fatte di paglia e fango, pertanto, molto vulnerabili. Per intendere meglio, basta ricordare l’episodio, narrato nei Vangeli, del paralitico che, non trovando un passaggio per la porta per giungere fino a Nostro Signore, è stato calato dal tetto, aperto con molta facilità (cfr. Mt 9, 2; Mc 2, 3-4; Lc 5, 17-19). Era necessaria, dunque, una grande vigilanza del padrone di casa, visto che i furti erano molto frequenti.5 E ricevendo la notizia che alle tre del mattino un ladro avrebbe tentato di penetrare nella sua residenza, a quell’ora, senza dubbio, egli sarebbe stato sveglio prendendo gli opportuni provvedimenti per impedire il furto.
Invece, qual è il ladro che annuncia il suo arrivo? Avviene esattamente l’opposto. Per fare il colpo, egli aspetta un momento di completa inavvertenza, com’è quello del sonno. Attraverso questa parabola, Nostro Signore, la cui parola è assoluta, vuole mostrarci il carattere improvviso della morte. Essa può raggiungerci a qualsiasi età e in qualunque occasione, poiché per morire esiste solo una condizione: esser vivo.
Quanta gente c’è, invece, che s’illude considerando che questa vita sia eterna! Quanti ce ne sono, di mentalità relativista, che pensano: “Adesso io pecco, e poi mi confesso”… È una vera pazzia, poiché Dio può dire: “Basta!”. E la morte può sorprenderci nell’istante esatto in cui Lo stiamo offendendo. Per questa ragione dobbiamo esser sempre preparati all’ora del supremo incontro con il Signore. Tale vigilanza consiste, innanzitutto, nell’evitare il peccato, riguardo al quale oggi si parla pochissimo ma che, purtroppo, con tanta frequenza si commette.
Il mondo vive affondato nel vizio: sono mode senza modestia, costumi decadenti e immorali, conversazioni indecenti, programmi televisivi licenziosi, certi manifesti e riviste… Sappiamo, dalla morale cattolica, che chi si avvicina a un’occasione prossima di peccato, coscientemente e volontariamente, già con questo ha perso la grazia di Dio, perché si sta ponendo a rischio con temerarietà. Così lo spiega padre Royo Marín: “Chi permane, con consapevolezza e senza un motivo sufficiente, in un’occasione prossima e volontaria di peccato grave, mostra molto chiaramente che non ha una volontà seria di evitare il peccato, nel quale cadrà di fatto facilmente. E questo costituisce, di per sé, una grave offesa a Dio, continua e permanente, dalla quale il peccatore non si libererà fino a che deciderà con efficacia di rompere con quell’occasione”.6
La vera vigilanza, dunque, è indispensabile per la salvezza e precede perfino la stessa preghiera, portandoci a chiudere il cuore al peccato e ad allontanarci da esso, in maniera da non fare la benché minima offesa a Dio.
La morte dei beati
Con il passare del tempo, l’uomo tende a perdere le sue forze ed energie. Basta oltrepassare la soglia dei quaranta, cinquanta o sessant’anni, e sperimentare gli acciacchi che non trovano guarigione in nessuna medicina, o sentire che la vista si sta indebolendo, perché si ricordi che è necessario prepararsi a lasciare questo mondo.
Quando leggiamo nella vita dei beati il racconto dei loro ultimi sospiri, ci sorprende la pace e la gioia che essi hanno mostrato davanti alla morte. Perché? Sono stati vigili e hanno saputo percepire che stava arrivando il giorno della loro dipartita.
Santa Teresa d’Avila, per esempio, nel suo letto di morte, rendeva “molte grazie a Dio per esser stata una figlia della Chiesa e di morire in lei. […] È tornata a chiedere ancora il perdono dei suoi peccati, ha supplicato le sorelle che pregassero per lei e ubbidissero alla Regola. […] Alle nove di sera ha esalato l’ultimo sospiro, così soavemente che è stato difficile stabilire il momento esatto. Il volto si manteneva gloriosamente giovane e bello”.7
San Giovanni Bosco, poco prima di morire, ha potuto “inviare l’ultimo suo messaggio ai suoi giovani: ‘Dite ai miei birichini che li aspetto tutti in Cielo. E che con la devozione a Maria Ausiliatrice e la comunione frequente, ci arriveranno tutti’. […] All’una e quarantacinque [di notte] del giorno 31 gennaio [1888], comincia l’agonia. […] Don Cagliero, in ginocchio, avvicina le labbra all’orecchio del moribondo: ‘Don Bosco, i suoi figli sono qui, ci benedica. Io le solleverò la mano’. Gli alza, infatti, la mano destra paralizzata e lo aiuta a tracciare la Croce per aria; l’ultima benedizione, accompagnata dall’ultimo ineffabile sorriso di Don Bosco”,8 che poco dopo ha consegnato la sua anima a Dio.
L’Autore di quest’articolo è stato presente alla morte, serena e tranquilla, del Prof. Plinio Corrêa de Oliveira. Ormai quasi in agonia, traspariva la grande integrità e la rettitudine della sua anima e si manifestava un costume acquisito durante la vita, grazie al quale agiva costantemente in accordo con il bene, cercando di favorire gli altri e dando buoni consigli. Egli si era fatto un tutt’uno con le virtù e con i doni dello Spirito Santo e si era identificato interamente con la Legge di Dio, perché è stato un uomo che è sempre stato pronto ad abbandonare questa vita.
E sua madre, Donna Lucilia, una signora di edificanti virtù, quando ha sentito che era giunta “l’ora della solenne dipartita da questa vita, con decisione ha levato la sua mano tenuta stretta dal medico, e con un gesto delicato ma fermo, senza manifestare sforzo o difficoltà, ha fatto un grande e lento segno della Croce. Dopo ha posato sul petto le sue mani bianchissime, una sopra l’altra, e serenamente è spirata”.9 È stato il trapasso di una persona innocente, dalla coscienza pura e retta, e con le migliori disposizioni d’anima. Lei è morta alla vigilia del giorno in cui avrebbe compiuto 92 anni, senza mai esser stata macchiata da nessuna mancanza grave, come ha dichiarato tre volte uno dei suoi confessori: “Poverina, lei non ha niente di cui accusarsi”.10
III – Dobbiamo esser preparati agli interventi di Dio nella Storia
Spiegando il Vangelo di questa Liturgia, quasi tutti i dottori, esegeti e spiritualisti puntano sulla necessità di essere vigili a ogni istante, sia nella prospettiva della morte e del giudizio personale, sia in quella della fine del mondo e del Giudizio Finale.
In armonia con questa visione presentata nei commenti di cui sopra, si può congetturare che Nostro Signore abbia voluto anche ammonire ciascuno di noi riguardo ai Suoi interventi nella Storia. A proposito della situazione del mondo, nel passato anno 1951, il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira così scriveva: “Oggigiorno, non è forse vero, che il Vicario di Cristo è disobbedito, abbandonato, tradito? Non è forse vero che le leggi, le istituzioni, i costumi sono sempre più ostili a Gesù Cristo? Non è forse vero che si costruisce tutto un mondo, tutta una civiltà basata sulla negazione di Gesù Cristo? Non è forse vero che la Madonna ha parlato a Fatima indicando tutti questi peccati e chiedendo penitenza?”.11
Il trionfo del Cuore Sapienziale e Immacolato di Maria
È molto importante evidenziare che, riguardo al governo di Dio sugli avvenimenti umani, la vigilanza ci deve condurre ad aspettare con gioia e avidità il trionfo spettacolare del Cuore Sapienziale e Immacolato di Maria, l’arrivo di quel periodo straordinario della Storia annunciato dalla Madonna a Fatima, “quando verrà questo tempo felice e questo secolo di Maria, in cui parecchie anime elette e ottenute dall’Altissimo per mezzo di Maria, perdendosi esse stesse nell’abisso del suo interiore, diventeranno copie viventi di Maria, per amare e glorificare Gesù Cristo”.12
Pertanto, nello stesso modo in cui prepariamo le nostre anime alla nascita del Bambino Gesù nella notte di Natale, collochiamoci anche noi, secondo il Vangelo di oggi, di fronte a un altro panorama grandioso: quello in cui Dio interverrà per concedere alla Madonna, su questa Terra, la gloria che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo Le danno in Cielo.
Nell’attesa di questa vittoria della Santa Chiesa, continuiamo dunque ad essere vigili! Vigilare significa non cedere mai a qualsiasi cosa il demonio ci possa proporre. Vigilare significa stare attenti, congli occhi aperti, analizzando bene da dove vengono i pericoli. Vigilare significa strappare energicamente, senza indugio, qualunque radice di peccato che ci sia in noi. Tutto quanto implica un rischio per la salvezza eterna e per la nostra santificazione deve esser eliminato, facendo ogni sforzo per perseverare nel cammino della perfezione, al fine di non ritardare il giorno magnifico in cui Maria Santissima dirà: “Il mio Cuore Immacolato ha trionfato!”.
1) PRIMA DOMENICA DI AVVENTO. Preghiera Colletta. In: MESSALE ROMANO. Riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato dal Papa Paolo VI. Città del Vaticano: L. E. Vaticana, 1983, p.5. 2) Cfr. GOMÁ Y TOMÁS. Isidro. El Evangelio explicado. Pasión y Muerte. Resurrección y Vida gloriosa de Jesús. Barcelona: Rafael Casulleras, 1930, v.IV, p.108-109. 3) Cfr. FLAVIO GIUSEPPE. Guerra dei giudei. L.V-VII. 4) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Catena Aurea. In Matthæum, c.XXIV, v.36-41. 5) Cfr. GOMÁ Y TOMÁS, op. cit., p.132. 6) ROYO MARÍN, OP, Antonio. Teología Moral para seglares. 4.ed. Madrid: BAC, 1984, v.II, p.397. 7) WALSH, William Thomas. Teresa de Ávila. Lisbona: Aster, 1961, p.373. 8) WAST, Hugo. Don Bosco y su tiempo. 4.ed. Madrid: Palabra, 1987, p.458-459. 9) CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. Donna Lucilia. Città del Vaticano: LEV, 2013, p.37. 10) Idem, p.610. 11) CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Via Sacra. VIII Estação. In: Catolicismo. Campos dos Goytacazes. Anno I. N.3 Mar., 1951); p.5. 12) SAN LUIGI MARIA GRIGNION DE MONTFORT. Traité de la vraie dévotion à la Sainte Vierge, n.217. In: Œuvres complètes. Paris: Du Seuil, 1966, p.635.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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