Più che l’Incarnazione o la morte in Croce, l’amore di Dio verso gli uomini manifestato nell’Eucaristia oltrepassa la nostra capacità di comprensione.
Correva l’anno 1264. Il Papa Urbano IV aveva fatto convocare una selezionata assemblea che riuniva i più famosi maestri di Teologia di quel tempo. Tra questi si trovavano due uomini noti non soltanto per la brillante intelligenza e purezza della dottrina ma, soprattutto, per l’eroicità delle loro virtù: San Tommaso d’Aquino e San Bonaventura.
La ragione di questa convocazione era collegata ad una recente bolla Pontificia che istituiva
una festa annuale in onore del Santissimo Corpo di Cristo. Al fine di ottenere il massimo splendore per questa commemorazione, Urbano IV desiderava che fosse composto un Ufficio, da utilizzare unicamente nella Messa cantata in occasione di quella solennità, sollecitando ad ognuna di quelle dotte personalità una composizione che doveva essergli presentata entro pochi giorni, in modo da scegliere la migliore.
Celebre divenne l’episodio avvenuto durante la sessione. Il primo ad esporre fu Fra’ Tommaso. Con serenità e calma, srotolò una pergamena e i presenti ascoltarono la declamazione della Sequenza da lui composta:
Lauda Sion Salvatorem, lauda ducem et pastorem in hymnis et canticis (Loda, Sion, il Salvatore, la tua guida, il tuo pastore con inni e cantici)… Stupore generale.
Fra’ Tommaso concluse: …tuos ibi commensales, cohæredes et sodales, fac sanctorum civium (accoglici in Cielo, alla Tua mensa, e rendici coeredi in compagnia di coloro che abitano la Città Santa).
Fra’ Bonaventura, degno figlio del Poverello, cancellò senza indugio la propria composizione e gli altri lo imitarono, rendendo tributo al genio e alla devozione dell’Aquinate. La posterità non conobbe le altre opere, senza dubbio anch’esse sublimi, ma immortalò il gesto dei suoi autori, vero monumento di umiltà e di poche pretese.
Origine della festa del “Corpus Domini”
Vari motivi avevano indotto la Sede Apostolica a dare questo nuovo impulso alla devozione eucaristica, estendendo a tutta la Chiesa una devozione che già si praticava in certe regioni del Belgio, Germania e Polonia. La prima di queste rimonta all’epoca in cui Urbano IV, allora membro del clero di Liegi, in Belgio, analizzò da vicino il contenuto delle rivelazioni con le quali il Signore Si era degnato di favorire una giovane religiosa del monastero agostiniano di Mont Cornillon, nei pressi di questa città.
Nel 1208, quando aveva soltanto 16 anni, Giuliana era stata oggetto di una singolare visione: un rifulgente disco bianco, somigliante alla luna piena, ma oscurato da una macchia. Dopo alcuni anni di intensa preghiera, le era stato rivelato il significato di quella luminosa “luna incompleta”: essa simbolizzava la Liturgia della Chiesa, a cui mancava una solennità in lode del Santissimo Sacramento. Santa Giuliana di Mont Cornillon era stata scelta da Dio per comunicare al mondo questo desiderio celeste.
Trascorsero più di vent’anni prima che la devota monaca, dominando la ripugnanza proveniente dalla sua profonda umiltà, si decidesse a compiere la sua missione, riferendo il messaggio che aveva ricevuto. A sua richiesta, erano stati consultati vari teologi, tra i quali il padre Jacques Pantaléon – futuro Vescovo di Verdun e Patriarca di Gerusalemme -, costui si mostrò entusiasta delle rivelazioni di Giuliana.
Trascorsero alcune decadi, e dopo la morte della santa veggente, la Divina Provvidenza volle che lui fosse elevato al Soglio Pontificio, nel 1261, assumendo il nome di Urbano IV.
Mentre si trovava ad Orvieto, nell’estate del 1264, giunse la notizia che, a poca distanza da lì, nella città di Bolsena, durante una Messa nella Chiesa di Santa Cristina, il celebrante – che con una certa difficoltà credeva nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia – aveva visto trasformarsi nelle sue mani la Sacra Ostia in un pezzo di carne, che spargeva abbondante sangue sui corporali.
La notizia del miracolo si diffuse rapidamente per la regione. Informato dettagliatamente, il Papa fece mandare le reliquie ad Orvieto, con la riverenza e la solennità dovute. Egli stesso, accompagnato da numerosi Cardinali e Vescovi, andò incontro alla processione che si era formata per condurle alla cattedrale.
Poco dopo, l’11 agosto dello stesso anno, Urbano IV emetteva la bolla Transiturus de hoc mundo, con la quale determinava la solenne celebrazione della festa del Corpus Domini in tutta la Chiesa. Un’affermazione contenuta nel testo del documento lasciava intravvedere anche un terzo motivo che aveva contribuito alla promulgazione della menzionata festa nel calendario liturgico: “Anche se rinnoviamo tutti i giorni nella Messa la memoria dell’istituzione di questo Sacramento, riteniamo tuttavia conveniente che sia celebrata più solennemente per lo meno una volta all’anno per confondere particolarmente gli eretici; dunque, il Giovedì Santo la Chiesa si occupa della riconciliazione dei penitenti, la consacrazione del santo crisma, il lavaggio dei piedi e molte altre funzioni che le impediscono di dedicarsi pienamente alla venerazione di questo mistero“.
Così, la solennità del Santissimo Corpo di Cristo nasceva anche per arrestare la perniciosa influenza di certe idee eretiche che si diffondevano tra il popolo, a detrimento della vera Fede. Già nel secolo XI, Berengario di Tours si era opposto apertamente al Mistero dell’Altare, negando la transustanziazione e la presenza reale di Gesù Cristo in Corpo, Sangue, Anima e Divinità nelle sacre specie. Secondo lui, l’Eucaristia non era nient’altro che un pane benedetto, dotato di un simbolismo speciale. Agli inizi del secolo XII, l’eretico Tanchelmo aveva diffuso le sue errate convinzioni nelle Fiandre, principalmente nella città di Antuerpia, affermando che i Sacramenti, e soprattutto, la Santissima Eucaristia, non possedevano valore alcuno.
Nonostante tutte queste false dottrine fossero già state condannate dalla Chiesa, qualche eco nefando ancora si faceva sentire nell’Europa cristiana. Così, Urbano IV non ritenne superfluo il censurarle pubblicamente, in modo da far loro acquistare tutto il loro prestigio e forza di penetrazione.
L’Eucaristia diventa il centro della vita cristiana
A partire da questo momento, la devozione eucaristica fiorì con maggior vigore tra i fedeli: gli inni e le antifone composte da San Tommaso d’Aquino per l’occasione – tra le quali il Lauda Sion, vero compendio della teologia del Santissimo Sacramento, detto da alcuni il credo dell’Eucaristia – occuparono un posto di rilievo all’interno del tesoro liturgico della Chiesa.
Col passare dei secoli, sotto il soffio dello Spirito Santo, la devozione popolare e la sapienza del Magistero infallibile si allearono nella costituzione dei costumi, usi, privilegi e onori che oggi accompagnano il Servizio dell’Altare, formando una ricca tradizione eucaristica.
Ancora nel secolo XIII, sorsero le grandi processioni che conducevano il Santissimo Sacramento per le strade, prima dentro un’ampolla coperta e più tardi esposto nell’ostensorio. Anche a questo punto il fervore e il senso artistico delle varie nazioni si distinsero nell’elaborazione di custodie che competessero tra loro in bellezza e splendore, nella confezione di ornamenti appropriati e nella collocazione di immensi tappeti floreali lungo il cammino percorso dal corteo.
I Papi Martino V (1417-1431) e Eugenio IV (1431-1447) concessero generose indulgenze a chi avesse partecipato alle processioni. Più tardi, il Concilio di Trento – nel suo Decreto sull’ Eucaristia, del 1551 – avrebbe sottolineato il valore di queste dimostrazioni di Fede: “Il santo Sinodo dichiara che è pietoso e religioso il costume, introdotto nella Chiesa di Dio, di celebrare tutti gli anni con particolare venerazione e solennità, in un giorno festivo e particolare, questo eccelso e venerabile Sacramento, portandoLO in processioni per le vie e i locali pubblici con reverenza e onore”.1
L’ amore eucaristico del popolo fedele non si ridusse, comunque, a manifestazioni esteriori; al contrario, esse erano l’espressione di un sentimento profondo posto dallo Spirito Santo nelle anime, nel senso di valorizzare il prezioso dono della presenza sacramentale di Gesù tra gli uomini, conforme le Sue stesse parole: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.” (Mt 28, 20). Il mistero d’amore di un Dio che non soltanto Si è fatto simile a noi per riscattarci dalla morte del peccato, ma ha voluto, in un gesto estremo di tenerezza, rimanere tra i Suoi, ascoltando le loro richieste e rafforzandoli nelle loro tribolazioni, passò ad essere il centro della vita cristiana, l’alimento dei forti, la passione dei santi.
San Pietro Giuliano Eymard, ardente devoto e apostolo dell’Eucaristia, ha espresso in termini pieni d’unzione questa celestiale “pazzia” del Salvatore nel rimanere come Sacramento di vita per noi:
“Si comprende che il Figlio di Dio, portato dal Suo amore verso l’uomo, Si era fatto uomo come lui, poiché era naturale che il Creatore avesse interesse nell’opera di riparazione uscita dalle Sue mani. Che, per un eccesso d’amore, l’Uomo-Dio morisse sulla Croce, si comprende anche questo. Ma quello che invece non si comprende, quello che stupisce i deboli nella Fede e scandalizza gli increduli, è che Gesù Cristo glorioso e trionfante, dopo aver terminato la Sua missione sulla terra, abbia voluto ancora rimanere con noi, in uno stato più umiliante e annichilito di quando era a Betlemme e nel Calvario“.2
“Ho desiderato ardentemente mangiare con voi questa Pasqua”
L’Eucaristia è il maggiore e il più sublime di tutti i Sacramenti. Sebbene anche il Battesimo, sotto un certo punto di vista, meriti il primo posto per introdurci nella vita divina, rendendoci figli di Dio e partecipi della sua natura, l’Eucaristia lo supera quanto alla sostanza, perché si tratta del vero Corpo, Sangue Anima e Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo.
Lo stesso momento e le circostanze solenni in cui fu istituito indicano la sua importanza e la venerazione che Cristo voleva infondere nelle anime dei suoi discepoli con questo mirabile Sacramento. Per questo Egli riservò le ultime ore che Gli restavano di comunione con gli Apostoli prima di incamminarSi verso la morte, perché “le ultime azioni e parole che fanno e dicono gli amici nel momento di separarsi, si scolpiscono più profondamente nella memoria e si imprimono più fortemente nell’anima“.3
In quegli istanti – si potrebbe affermare – il Suo adorabile Cuore pulsava con santa fretta di realizzare, nel tempo, quello che fin dall’eternità aveva contemplato nella Sua scienza divina. Le Sue parole “ho desiderato ardentemente di mangiare con voi questa Pasqua, prima della mia passione” (Lc 22, 15), lasciano trasparire chiaramente gli ineffabili aneliti d’amore del Dio Incarnato per tutti gli uomini, la “moltitudine di fratelli” (Rm 8, 29), per i quali sarebbe andato ad offrirSi in quella stessa notte.
Il desiderio del Divino Maestro era che il mistero del Suo Corpo e Sangue si perpetuasse per i secoli futuri: “Fate questo in memoria di Me” (Lc 22, 19). Intanto, dobbiamo considerare che già molto prima dell’Incarnazione, la Divina Provvidenza aveva moltiplicato i simboli e le figure che avrebbero permesso agli uomini di comprendere meglio e amare questo Sacramento.
A questo riguardo, dice San Tommaso d’Aquino: “Questo Sacramento è specialmente un memoriale della Passione di Cristo; e converrebbe che la Passione di Cristo, con la quale Egli ci ha redento, fosse prefigurata in modo che la Fede degli antichi si incamminasse al Redentore“.4
Melchìsedek: simbolo e preannuncio del Supremo Sacerdote
Uno dei segni più remoti dell’Eucaristia appare nel capitolo 14 della Genesi, in quel personaggio affascinante e misterioso che uscì incontro ad Abramo quando questi faceva ritorno dalla sua vittoria contra i re, e lo benedì, offrendogli pane e vino. Melchìsedek, “re di Salem e sacerdote del Dio Altissimo” (Gen 14, 18), riuniva in sé la gloria della regalità, la santità sacerdotale e il carisma profetico.
Egli è proprio il simbolo di Colui che più tardi avrebbe proclamato davanti a Pilato: “Io sono Re” (Gv 18, 37) e a proposito del quale tutti commentavano: “un grande profeta è sorto tra noi” (Lc 7, 16). Ma ciò in cui Melchìsedek si mostrò ancor più pienamente immagine di Cristo, fu nella presa di possesso di un sacerdozio superiore a quello di Aronne, come è scritto nella Lettera agli Ebrei: “Se la perfezione fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico […] che bisogno c’era che sorgesse un altro sacerdote alla maniera di Melchìsedek, e non invece alla maniera di Aronne? Ciò risulta ancor più evidente dal momento che, a somiglianza di Melchìsedek, sorge un altro sacerdote, che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita indefettibile. Gli è resa infatti questa testimonianza: Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchìsedek” (Eb 7, 11. 15-17).
Gesù Cristo, però, scendendo sulla terra, non offre più pane e vino, come un tempo Melchìsedek, ma piuttosto l’oblazione pura del Suo Corpo e Sangue: “Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: ‘Ecco, io vengo'” (Sal 40, 7-8). Così Egli portò alla pienezza quello che Melchìsedek aveva solo preannunciato.
L’Agnello consegnato alla morte per i peccati del popolo
Nel libro dell’Esodo abbondano le figure che ci approssimano all’Eucaristia. Le troviamo, soprattutto, nella cena pasquale, prescritta nei suoi minimi particolari dallo stesso Dio a Mosè, nella quale gli israeliti dovrebbero immolare un agnello senza difetti e mangiarlo con pane azzimo sul far della sera.
A questo riguardo, il Dottor Angelico insegna: “In questo Sacramento possiamo considerare tre aspetti: quello che è il segno sacramentale, ossia, il pane e il vino; quello che è realtà e segno sacramentale, ossia, il vero Corpo di Cristo; e quello che è soltanto realtà, cioè, l’effetto di questo Sacramento. […] L’agnello pasquale prefigurava questo Sacramento sotto i tre aspetti. Quanto al primo, perché era mangiato con pane azzimo, conforme la prescrizione: ‘Mangerete la carne con pane senza lievito. Quanto al secondo, perché era immolato nel quattordicesimo giorno del mese da tutta la moltitudine dei figli di Israele: in questo raffigurava la Passione di Cristo che per la Sua innocenza è chiamato agnello. Quanto all’effetto, perché col sangue dell’agnello pasquale i figli di Israele erano stati protetti dall’angelo devastatore e liberati dalla schiavitù dell’Egitto”.5
Il pane senza lievito, con il quale i giudei dovevano mangiare la carne dell’agnello, rappresentava anch’esso l’integrità del Corpo di Cristo, concepito nel seno purissimo di Maria, senza macchia alcuna di peccato, e che, dopo la morte, non sperimentò la corruzione del sepolcro, come aveva annunciato Davide: “non lascerai che il Tuo Santo veda la corruzione” (Sal 16, 10).
Per questo il Salvatore ha scelto la notte della Pasqua, la più importante fra le feste giudaiche, per lasciare all’ umanità il Suo lascito d’amore, dando ad intendere che Egli stesso è l’Agnello immacolato, che si è consegnato alla morte per togliere i peccati del mondo, col cui sangue sarebbe stata allontanata la sentenza di condanna che su di noi pesava in seguito al peccato di Adamo ed Eva.
Quella offerta che gli israeliti, riuniti a Gerusalemme, immolavano all’ombra di una figura profetica, il Signore, circondato da un piccolo gruppo di discepoli, la portava alla perfezione, nell’esiguo ambiente del Cenacolo. Pertanto, quello che le circostanze obbligavano Gesù a realizzare nell’oscurità, gli Apostoli avrebbero dovuto, al momento propizio, dirlo alla luce del sole e predicarlo sui tetti (cfr. Mt 10, 27), in modo che il Sacrificio della Nuova Alleanza sostituisse definitivamente gli antichi sacrifici e fosse celebrato quotidianamente su tutti gli altari della terra. Si sarebbe così compiuta la parola dello Spirito Santo pronunciata per bocca di Malachia: “Poiché dall’oriente all’occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eserciti” (Ml 1, 11).
Riguardo a questo passo profetico, così commenta Alastruey: “Questi, sono, dunque, i caratteri del nuovo culto vaticinati da Malachia: universalità assoluta di tempi e luoghi; purezza obiettiva della vittima in sé, incapace di esser macchiata da indegnità alcuna dell’offerente; eccellenza insigne, dalla quale risulterà una grande glorificazione di Dio tra i popoli”.6
Alimento che recuperava le forze e dava vigore
Un’altra immagine di grande eloquenza è quella della manna, alla quale lo stesso Gesù fa
allusione nel sermone sul Pane della Vita, riferito nel capitolo sesto di San Giovanni. Questo alimento bianco e sottile come la brina (cfr. Es 16, 14), contenente in sé tutti i sapori (cfr. Sp 16, 20), che ha nutrito il popolo eletto durante il lungo viaggio nel deserto, è simbolo anche del Pane del Cielo, pegno della resurrezione futura, che alimenta ogni cristiano, dandogli le grazie e la forza necessarie per attraversare il deserto di questa vita e giungere alla Terra Promessa, ossia, alla Patria Celeste.
“La manna – commenta ancora San Pietro Giuliano Eymard – che Dio faceva cadere ogni mattina sopra l’accampamento israelita, conteneva tutti i gusti e proprietà; faceva recuperare le forze, dava vigore al corpo ed era un pane molto soave. Anche l’Eucaristia, prefigurata nella manna, contiene ogni genere di virtù; è rimedio contro le nostre infermità, forza contro le nostre fiacchezze quotidiane, fonte di pace, di piacere e felicità“.7
La mensa rivestita d’oro
Troviamo infine, sempre nell’Esodo, un’altra prefigurazione di questo divino Sacramento, nell’ordine dato da Dio a Mosè di fare un tavolo di legno rivestito di oro puro, dove sarebbero stati collocati permanentemente davanti al Signore il pane sacro o pane dell’offerta.
Quel pane, “porzione santissima” (Lv 24, 9) che soltanto ai sacerdoti era permesso mangiare, esigeva la purezza rituale dei corpi (cfr. I Sm 21, 4-5) e doveva esser consumato “in un luogo santo” (Lv 24, 9). Da noi, se vogliamo approssimarci alla mensa dell’Eucaristia, si esige una purificazione molto superiore a quella prescritta dalla Legge mosaica: la nostra anima – animata da una retta intenzione e con il fermo proposito di incamminarci per le vie della perfezione – deve essere libera dal peccato mortale. Altrimenti, questo ineffabile Sacramento sarà per noi causa di condanna: “Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.” (I Cor 11, 27-29).
D’altro canto, se il pane dell’offerta era riservato esclusivamente ad Aronne e ai suoi discendenti, Nostro Signore Gesù Cristo, il vero Pane dell’offerta, Si offre come alimento a tutti i fedeli, senza eccezione alcuna, dando agli uomini un privilegio del quale agli angeli, a causa della loro natura, non è dato godere. “Cosa mirabile! I poveri, i servi e gli umili mangiano il loro stesso Signore” – si canta nell’inno Sacris Solemnis, anche questo composto da San Tommaso d’Aquino per la festa del Corpus Domini.
La mensa d’oro sulla quale si trovava il pane racchiude un altro simbolismo molto elevato: essa prefigura la Madre di Dio, nel cui seno è stato formato il Corpo di Gesù. Così commenta il padre Jourdain: “Maria è la mensa mistica magnificamente ornata e fatta di legno incorruttibile, che Dio ha preparato per quelli che si compiacciono nella meditazione delle cose divine. Essa è la mensa santa e sacra, che porta il Pane della Vita, Gesù Cristo Nostro Signore, il sostegno del mondo”.8
Molti altri indizi del Sacramento dell’Eucaristia nell’Antico Testamento potrebbero essere menzionati: Abramo che offre suo figlio Isacco in sacrificio (cfr. Gen 22, 1-13); il pane cucinato sotto la cenere, col quale Elia ha recuperato le forze per camminare quaranta giorni e quaranta notti fino a giungere all’Oreb, Monte di Dio (cfr. I Re 19, 5-8); la moltiplicazione dei pani operata dal profeta Eliseo per alimentare cento persone (cfr. II Re 4, 42-44); etc.
Preparazione prossima per la rivelazione dell’Eucaristia
Già nel Nuovo Testamento troviamo tre illustri segnali con i quali il Salvatore ha preparato le anime per il grande mistero la cui manifestazione aveva riservato per la vigilia della Sua Passione.
Primo, la trasformazione dell’acqua in vino, nelle nozze di Cana di Galilea, il cui effetto ci è riferito da San Giovanni: “manifestò la Sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui” (Gv 2, 11). Più tardi, la moltiplicazione dei pani, con la quale Gesù saziò più di cinquemila persone che Lo avevano seguito fino al deserto (cfr. Mt 14, 15-21). A questo secondo miracolo ne succedette un altro, poche ore dopo: stando i discepoli nella barca, in mezzo al mare agitato, videro Gesù approssimarSi a loro camminando sopra le acque (cfr. Mt 14, 24- 33). Attraverso questi prodigi, il Divino Maestro ha voluto dimostrare il potere assoluto che possedeva sul vino e il pane, come pure sul Suo proprio Corpo.
Tali begli esempi ci mostrano come il Creatore, in quanto divino Pedagogo, andò passo a passo preparando le mentalità per la rivelazione del Sacramento dell’Eucaristia, eterna testimonianza del Suo amore e del Suo desiderio di rimanere tra noi.
Inginocchiamoci davanti al Tabernacolo!
Quali devono essere la nostra attitudine e i nostri sentimenti d’animo nel considerare l’estrema bontà di Dio fatto Uomo che, essendoSi incarnato, non ha abbandonato la creatura riscattata col Suo Sangue, ma Si mantiene presente, assistendo e proteggendo tutti coloro che a Lui vogliano approssimarsi?
Inginocchiamoci davanti al Tabernacolo o, meglio ancora, davanti all’Ostensorio, affidiamo a Gesù Sacramentato tutto il nostro essere – il nostro corpo con tutte le sue membra e organi, la nostra anima, con la sua potenza, le sue qualità e anche le proprie miserie – e offriamo a Dio Padre il divino Sangue di Suo Figlio, sparso nella Croce a riparazione delle nostre colpe.
In modo analogo ai raggi del sole che, incidendo sul volto, lo rendono colorito e scuro, così pure, davanti al Santissimo Sacramento la nostra anima riceve una rinnovata infusione di grazie, invitandoci all’abbandono totale nelle mani di Gesù, per mezzo di Maria. Così, le nostre anime si trasformeranno verso la santità alla quale Dio ci chiama.
Se in qualche momento, le difficoltà della vita ci fanno provare scoraggiamento o aridità, ricordiamoci di queste toccanti parole de padre Faber:
“Molte volte, quando l’uomo è preso dalla disperazione ed è assalito da domande, dubbi, disanimo e incertezze, nel considerare la sua vita, e si sente accerchiato da nemici, che gli ululano intorno, come bestie feroci, allora un impulso, che è una grazia, lo porta ad inginocchiarsi davanti al Santissimo Sacramento e, senza che faccia alcuno sforzo, ecco che tutti quei clamori sprofondano nel silenzio. Il Signore è con lui: le ondate si calmano, la tempesta si calma e direttamente, senza ostacoli, il viaggio terminerà nel punto desiderato. Non è stato necessario niente di più che guardare il volto di Gesù, e le nuvole si sono dissipate e la luce si è fatta. Lo splendore del Tabernacolo riappare come il sole”.9 (Rivista Araldi del Vangelo , Giugno/2009, n. 74, p. 24 – 31
Loda, Sion, il Salvatore
Uno dei punti culminanti dell’anno liturgico, la festa del Corpo di Cristo celebra il dono ineguagliabile del Santissimo Sacramento
Mons. João Clá Dias, EP
Quello stesso Gesù che guariva, perdonava e praticava il bene nelle piazze e dovunque passasse, si trova a nostra disposizione nell’Eucaristia. Concentriamo la nostra attenzione su alcuni punti che riguardano la Sacra Eucaristia.
Come è nata la celebrazione di “Corpus Christi”
La festa liturgica in onore al Santissimo Sacramento fu istituita nel 1264 da Urbano IV. Essa avrebbe dovuto segnare i tempi futuri della Chiesa, avendo come finalità il cantare a Gesù Eucaristico, ringraziandoLo solennemente per aver voluto rimanere con noi fino alla fine dei secoli sotto forma di pane e vino. Nulla di più adeguato della festa della Chiesa per celebrare questo dono incomparabile.
Già nei primi secoli, il Giovedì Santo aveva assunto il carattere eucaristico, secondo quando dimostrano i documenti che sono giunti a noi. L’Eucaristia era il centro ed il cuore della vita soprannaturale della Chiesa. Tuttavia, al di fuori della Messa, non si faceva alcun culto pubblico a questo sacramento. Il pane consacrato soleva rimanere custodito in una sorta di sagrestia e, più tardi, gli fu riservata una nicchia in un angolo buio del tempio, in cui si poneva una pisside a forma di colomba, sospesa sull’altare, prevedendo l’eventuale necessità di accudire qualche infermo.
Ma durante il Medioevo, i fedeli furono sempre più attrati dalla sacra umanità del Salvatore. La spiritualità passò a considerare in modo particolare gli episodi della Passione. Si creò per questo motivo un clima propizio affinché si sviluppasse la devozione alla Sacra Eucaristia. L’ultima spinta venne dalle visioni di Santa Giuliana di Mont-Cornillon, una suora agostiniana belga, a cui Gesù chiese l’istituzione di una festa annuale per ringraziare il sacramento dell’Eucaristia. La religiosa trasmise questa richiesta all’arcidiacono di Liegi, il quale, essendo stato eletto Papa 31 anni dopo, assunse il nome di Urbano IV.
Poco tempo dopo, questo Pontefice istituiva la festa di Corpus Christi, che divenne, poco a poco, uno dei punti culminanti dell’anno liturgico in tutta la Cristianità.
Il “Lauda Sion”
La sequenza della Messa di Corpus Christi è costituita da un bellissimo inno gregoriano, intitolato Lauda Sion. Bellissimo grazie alla sua melodia ricca e soave, e ancor più, per il suo testo, esso canta la grandezza del dono di Dio fatto a noi e la presenza reale di Gesù in Corpo, Sangue, Anima e Divinità, nel pane e nel vino consacrato.
La stessa origine di questo cantico è avvolta in qualcosa di meraviglioso tipicamente medievale.
Urbano IV si trovava a Orvieto, quando decise di stabilire la celebrazione del Corpus Christi. Per coincidenza si trovavano in quella città due dei più noti teologi di tutti i tempi: San Bonaventura e San Tommaso d’Aquino. Il Papa li convocò, insieme ad altri teologi, e commissionò loro un inno per la sequenza della Messa di questa festa.
Si racconta che, terminato il lavoro, si recarono tutti dinanzi al Papa, dove ciascuno avrebbe presentato la propria composizione.
Il primo fu San Tommaso d’Aquino, che presentò i versi del Lauda Sion.
Dopo quella lettura, San Bonaventura bruciò la propria pergamena, sorprendendo San Tommaso che gli chiese “perché”? Il santo francescano, con grande umiltà, gli spiegò che la sua coscienza non l’avrebbe lasciato in pace se egli avesse causato un qualsiasi ostacolo, benché minimo, ad una rapida diffusione della magnifica Sequenza scritta dal domenicano.
Sintesi teologica in forma di poesia
Ciò che San Tommaso insegnò nei suoi trattati di Teologia riguardo la Sacra Eucaristia, fu da lui esposto magistralmente sotto forma di poesia nel Lauda Sion.
Si tratta di una vera perla di letteratura, che risplende grazie alla profondità del contenuto e alla bellezza della forma, all’elevazione della dottrina, all’accurata precisione teologica e all’intensità del sentimento. Il ritmo fluisce in modo soave persino nelle strofe più didattiche. La melodia – il cui autore è sconosciuto – si accorda molto bene al testo. L’unzione è inesauribile.
San Tommaso si rivela filosofo e mistico, come teologo della mente e del cuore, realizzando la sua propria esortazione: “Lode piena e risonante, gioia nobile e serena sgorghi oggi dallo spirito”.
Sion, loda il Salvatore, la tua Guida, il tuo Pastore con inni e cantici
Le parole del sottotitolo appena citato costituiscono il primo verso del Lauda Sion. È l’espansione del cuore di un santo, avvolto dalla grazia mistica di incanto verso il Santissimo Sacramento, che chiede a Sion, cioè, al popolo eletto dal Nuovo Testamento, che inizi a lodare il Salvatore. Egli, il più grande teologo della storia della Chiesa – “il più saggio dei santi, e il più santo dei saggi” – era un così fervoroso devoto di Gesù Eucaristico che nelle ore in cui sentiva difficoltà nei suoi studi, poneva la testa dentro ad un sacrario, procurando di essere illuminato da Dio stesso, e li rimaneva finché non avesse trovato la soluzione.
Da questo primo verso fino alla fine della quinta strofa, San Tommaso condensa tutta l’infinita lode al Santissimo Sacramento dell’Altare.
Egli continua ad esortare i fedeli a “lodare la guida e il pastore con inni e cantici”. Ma come lodare in modo adeguato questo santo sacramento? Come lodare in modo sufficiente Dio stesso? È il sacramento più elevato e sostanzioso di tutti, poiché in esso è presente l’Uomo-Dio stesso, in Corpo, in Sangue, in Anima e Divinità. Non vi sono parole, non vi sono gesti, non vi è nulla che possa essere offerto degno di Lui.
Per questo motivo San Tommaso pare quasi gemere nel dire: “Impegna tutto il tuo fervore: egli supera ogni lode, non vi è canto che sia degno”.
E spiega quale sia il compito che ha ricevuto dal Papa: “Pane vivo, che dà vita: questo è tema del tuo canto, oggetto della lode”.
“Veramente fu donato agli apostoli riuniti in fraterna e sacra cena. Lode piena e risonante, gioia nobile e serena sgorghi oggi dallo spirito”.
Il santo si preoccupa di incentivare nella nostra anima una lode, la più perfetta di cui siamo capaci, affinché possiamo avvicinarci al Santissimo Sacramento e adorare Gesù, che si trova dietro il “velo” del pane e del vino.
Perché celebriamo il giorno solenne che ci ricorda l’istituzione di questo banchetto
A partire da questo verso, fino alla decima strofa, San Tommaso inizia a indicare l’istituzione dell’Eucaristia nella festa liturgica stabilita dal Papa.
“E il banchetto del nuovo Re, nuova, Pasqua, nuova legge; e l’antico è giunto a termine”. Il rito della Chiesa Cattolica Apostolica Romana aveva posto fine a quello dell’Antica Legge, che era una prefigurazione di esso. Perciò completa San Tommaso:
“Cede al nuovo il rito antico, la realtà disperde l’ombra: luce, non più tenebra”.
Sì, una volta essendo venuto al mondo colui che era simbolizzato, non ha più alcun senso celebrare il simbolo. Il culto della Sinagoga nell’Antico Testamento era rivolto all’attesa del Salvatore, ed i suoi riti Lo simbolizzavano. Nel nuovo rito, nella celebrazione Eucaristica, Nostro Signore Gesù Cristo in persona si immola. Ora, essendo presente colui che è simbolizzato, perché il simbolo? Qual è il senso dell’immolare un agnello? Il rito nuovo rifiuta quello vecchio…
“Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo”
Qui San Tommaso ricorda le parole di Gesù nella cena del Giovedì Santo: “Fate questo in memoria di me“.
“Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza“.
San Tommaso, sacerdote, poteva dire con molta proprietà, “obbedienti al suo comando”. È un riferimento al Sacramento dell’Ordine, che conferisce a colui che lo riceve la grande gloria di poter dare in prestito la propria laringe e lel proprie mani al Divino Maestro. Affinché sull’altare si operi il più grande dei miracoli – e il più frequente di essi – della Storia dell’umanità: la transustanziazione. Cioè, la sostanza del pane e del vino cede il posto alla sostanza del Corpo, del Sangue, dell’Anima e della Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo.
È dogma di Fede per i cristiani che il pane si converte nella carne e il vino nel sangue del Salvatore
A partire da questo punto, in dieci strofe, l’autore dà in dettaglio, in una meravigliosa sintesi, la dottrina cattolica sul Sacramento dell’Altare. Egli continua:
“Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura“.
Realmente, attraverso la nostra intelligenza non potremmo mai arrivare a penetrare in questo mistero così sacro. E neppure i demoni, che nonostante decaduti sono di natura angelica, e pertanto superiore alla nostra, riescono a discernere nelle apparenze del pane e del vino l’Uomo-Dio. Soltanto la Fede ci fa penetrare in questo mistero sacro.
“È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi“.
San Tommaso insiste nell’idea che i “veli” del vino e del pane nascondano realtà divine.
“Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie.”
Questa è una verità di Fede, che la Teologia ci spiega. Guardando il vino e l’ostia consacrati, potremmo essere portati a immaginare che la carne sta soltanto nell’eucaristia pane, e il vino soltanto nell’eucaristia vino. Tuttavia, la dottrina ci dice e la nostra Fede lo assimila che il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Cristo si trovano pienamente tanto nell’ostia quanto nel vino consacrati.
“Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide: intatto lo riceve“.
Un’altra delle impressioni erronee che possono pervadere un’anima è questa: nel vedere il ministro dividendo un’ostia si può pensare che Nostro Signore non sia più intero in ciascuna delle parti. Non è vero; da un mistero sacro, Nostro Signore Gesù Cristo si trova in modo integrale in tutte le frazioni visibili.
“Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato“.
Un’altra verità di Fede: se um milione di persone comunicassero allo stesso tempo, come è già accaduto in alcune Messe presiedute dal Santo Padre nei suoi viaggi per il mondo, tutti riceveranno uno soltanto e lo stesso Gesù, senza qualsiasi frazione del suo Corpo, del suo Sangue, della sua Anima e della sua Divinità. Tutti Lo ricevono per intero. Ed ecco ancora un mistero: nel ricevere Nostro Signore Gesù Cristo, non possiamo consumarLo, poiché, quando si disfano le specie sacre nel nostro organismo, Egli lascia il nostro corpo senza toccarlo, santificando la nostra anima e concedendoci vigore persino nella salute.
Colui che comunica in stato di grazia, riceve un influsso di vita e di forza spirituale e persino corporale. Tuttavia, poveri coloro che si avvicinano a questo Sacramento in stato di peccato mortale”. L’odore della morte si impadronisce ancor più dell’anima e dell’organismo stesso. Quanta cura dobbiamo avere al fine di non avvicinarci all’Eucaristia senza essere completamenti preparati. Cerchiamo prima il confessionale, che si trova a nostra disposizione, sappiamo inginocchiarci con umiltà e chiediamo perdono dei nostri errori.
“Quando spezzi il sacramento non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, quanto nell’intero. È diviso solo il segno non si tocca la sostanza; nulla è diminuito della sua persona”.
San Tommaso riprende ciò che aveva già insegnato prima, per solidificare nelle anime la dottrina cattolica riguardo l’Eucaristia.
” Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini”
Il santo ricorda in queste frasi che il Sacramento dell”Altare è la realizzazione di antichi segni: “Vero pane dei figli: non dev’essere gettato. Con i simboli è annunziato, in Isacco dato a morte, nell’agnello della Pasqua, nella manna data ai padri”.
Le ultime strofe lodano il Buon Pastore che ci nutre e ci custodisce, e ci fa futuramente partecipi del Banchetto Celestiale. In questo passaggio finale, testo e melodia si uniscono in una somma bellezza, di irresistibile dolcezza:
“Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi”. “Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi. Amen. Alleluia“.
(Rivista Arautos do Evangelho, Giugno/2002, n. 06, p. 6 a 10)
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