Vangelo
1 Un sabato era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarLo. 7 Osservando poi come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola: 8 “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te, 9 e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: ‘Cedigli il posto!’ Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10 Invece quando sei invitato, và a metterti all’ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: ‘Amico, passa più avanti’. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11 Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. 12 Disse poi a colui che l’aveva invitato: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. 13 Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. 14 e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti” (Lc 14, 1.7-14).
Antidoto per la vanagloria?
Ripetute volte il Divino Maestro ci mette in guardia contro l’orgoglio, ai cui effetti, purtroppo, siamo tutti vittime. Come combatterlo con efficacia? In che cosa consiste la vera umiltà? Molti, equivocando, la confondono con la mediocrità.
I – Scontro tra due modi di essere
In questa Terra d’esilio, uno dei modi migliori di comunicare con Dio e, così, pregustare in qualche modo la visione beatifica è quello di contemplare i simboli del Creatore posti nell’universo, poiché “le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità” (Rm 1, 20). Ossia, a patto che lo vogliamo, ci è dato discernere l’Invisibile nel visibile, l’Infinito nel finito, il Creatore nelle creature.
“Ecco l’Agnello di Dio”
Per questo, la Divina Provvidenza ha disposto nella natura un’abbondanza di simboli di grande espressione, alcuni dei quali sono stati applicati allo stesso Figlio di Dio, affinché possiamo conoscerLo meglio e amarLo di più. Egli stesso Si presenta come la vite i cui rami producono molti frutti (cfr. Gv 15, 1-5), o come il Buon Pastore, che dà la vita per le sue pecore (cfr. Gv 10, 11-16). È il Messia chiamato anche Leone della tribù di Giuda (cfr. Ap 5, 5), e come tale Si manifesta rimproverando severamente i farisei (cfr. Mt 23, 13-33) ed “espellendo coloro che nel Tempio vendevano e compravano” (Mc 11, 15).
Nel corso della sua vita e, soprattutto, nell’ora suprema della sua Passione e Morte, Gesù è stato prevalentemente il Divino Agnello. Non senza motivo, durante la Celebrazione Eucaristica, memoriale del Sacrificio del Calvario, il sacerdote presenta ai fedeli l’Ostia consacrata, prima della Comunione, dicendo: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati dal mondo”. Tra tutti i numerosi simboli del Signore Gesù, la Santa Chiesa ha scelto proprio questo come il più significativo per un così sacro momento.
Umiltà e mansuetudine
La liturgia adesso commentata mette in rilievo questo aspetto dell’Anima del Signore, e l’acclamazione del Vangelo ci invita ad imitarLo: “Imparate da Me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29).
Ora, Egli è molto più di questo, poiché queste virtù, che l’uomo lotta per praticare, la Seconda Persona della Santissima Trinità le possiede in essenza: Gesù è l’umiltà e la mansuetudine.
Chi è veramente umile, è anche mansueto, ha flessibilità di spirito, è disposto a servire o ad obbedire a suo fratello, si preoccupa più degli altri che di se stesso, accetta qualunque umiliazione o maltrattamento con gioia, e quando nota un difetto nell’atteggiamento dell’altro, prega per lui e cerca di non far trasparire ciò che ha percepito. Pratica, così, un’elevata e nobile forma di carità verso il prossimo.
In senso contrario, all’orgoglioso piace assumere una posizione di superiorità, tende a disprezzare gli altri e si lascia trasportare dall’invidia quando capisce una qualità negli altri. Col suo temperamento difficile e attaccabrighe, finisce per rendersi una persona dalla frequentazione problematica, evitata da tutti.
Tale era il caso dei farisei del Vangelo che commentiamo. Presuntuosi esecutori di numerosi precetti formali, utilizzavano l’Antica Legge per avanzare ed occupare i primi posti nella società. Tra loro e il resto del popolo c’era un vero abisso, tutto fatto di discriminazione e disdegno.
II – “Chi si umilia, sarà elevato”
Un sabato precedente all’episodio riferito in questo brano del Vangelo, o forse in questo stesso giorno, il Signore Gesù aveva ridato la salute a una donna che “procedeva curva e non poteva assolutamente ergersi” (Lc 13, 11) da diciotto anni. Questa guarigione aveva prodotto tra i farisei un vero scalpore, poiché, nella loro concezione, Gesù avrebbe disprezzato la Legge, violando il riposo sabbatico.
Il Divino Maestro, però, diede loro una risposta che li mise in difficoltà: “Ipocriti! Non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi?” (Lc 13, 15). Il popolo, al contrario, si entusiasmava alla vista dei miracoli da Lui realizzati (cfr. Lc 13, 17).
Cresceva, di conseguenza, in tutta la Palestina, il prestigio di Gesù di Nazaret, e molti Lo consideravano un grande profeta, finalmente sorto dopo quattrocento anni di silenzio del Cielo.
Invito malintenzionato
1 Un sabato era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarLo.
Questo brano del Vangelo ci presenta Nostro Signore che va a pranzare in casa di uno dei capi dei farisei, certamente su richiesta di costui. Rispettoso in apparenza, l’invito era stato fatto, però, con l’obiettivo di poter analizzarLo più da vicino per prepararGli un agguato. “Essi Lo tenevano sott’occhio insidiosamente, nella speranza di trovare qualcosa di riprovevole nelle sue parole o nel suo modo di procedere: Lo invitano come per renderGli onore, e Lo spiano come un nemico”,1 nota il Cardinale Gomá.
Ben diverso fu l’atteggiamento dell’Agnello di Dio: accettò l’invito, mosso dal desiderio di far loro del bene. Conosceva fin dall’eternità la scena che si sarebbe svolta e non vedeva l’ora che arrivasse il momento per poter indicare a queste anime accecate dall’orgoglio la vera via per il Regno dei Cieli.2 Come sottolinea padre Duquesne, “Gesù ebbe la tenera compiacenza di comparire, con l’intenzione di approfittare dell’opportunità per edificare, istruire, convincere e, se possibile, conquistare alla verità coloro con cui avrebbe mangiato”.3
Delirio farisaico per i primi posti
7a Osservò poi come gli invitati sceglievano i primi posti…
In quei banchetti si disponevano i tavoli in forma di “u”, per facilitare il servizio, e i commensali si accomodavano lungo la parte esterna. Il posto principale, bene al centro, era riservato all’autorità o alla persona che si desiderava festeggiare. Alla sua destra si sedeva l’anfitrione, alla sua sinistra, il primo degli invitati, così via, si andavano sistemando i commensali in ordine decrescente d’importanza, fino alle estremità del tavolo.
Naturalmente, nessuno scriba o fariseo voleva occupare questi ultimi posti; al contrario, si disputavano senza inibizione e con avidità i posti d’onore. I problemi di precedenza erano talmente vivi tra loro che il Signore Gesù era giunto a redarguirli pubblicamente per questo difetto: “Guai a voi, farisei, che avete cari i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze!” (Lc 11, 43).
Per illustrare l’esacerbata ansia di prestigio che li dominava, Fillion riferisce un curioso episodio estratto dallo stesso Talmud: “Un giorno, il re asmoneo Alessandro Gianneo dava un banchetto per vari satrapi persiani, e tra gli invitati c’era il rabbino Simeone ben Shetach. Entrato nel salone, andò a sedersi nel posto d’onore, tra il re e la regina. Quando venne ripreso per questa arrogante intrusione, rispose prontamente: ‘Non è scritto nel libro di Sirac: Onora la saggezza e lei ti onorerà?’ A questo punto arrivava l’infatuazione dei dottori israeliti in quell’epoca!”.4
Ora, essendo gli invitati di questo banchetto membri della setta dei farisei, arrivando, cominciarono subito a fare le loro manovre per restare il più vicino possibile all’anfitrione, al fine di soddisfare il loro incontenibile orgoglio. Presi dal delirio di apparire, si disputavano tra loro la precedenza, senza la minima prudenza, adducendo ciascuno a suo favore criteri come l’età, la rilevanza del loro lignaggio o la propria saggezza, come abbiamo visto sopra. Non si preoccupavano affatto di ascoltare un insegnamento o ammirare chiunque fosse; l’unico criterio che interessava loro era di essere oggetto degli elogi e della considerazione dei presenti.
Offuscati così dall’egoismo, era passata loro inosservata nella sala del banchetto la presenza di Uno che, in quanto uomo, era di stirpe reale, discendente di Davide e, in quanto Dio, era il Creatore del Cielo, della Terra, del cibo che stava per essere servito e anche degli stessi commensali.
Cristo, intanto, Si sedette senza pretese a tavola, senza esigere in nessun momento una manifestazione del rispetto dovuto alla sua Persona.
Modo delicato di rimproverare
7b …disse loro una parabola: 8a “Quando sei invitato a nozze da
qualcuno…”
Può darsi che si sia di fatto verificata, in questo banchetto, una scena simile a quella descritta poco prima nella parabola, ragion per cui Gesù preferì parlare in teoria, facendo riferimento a un’ipotetica festa di matrimonio; in questo modo, evitava obblighi verso gli altri invitati. Così pensa il Cardinale Gomá, il quale qualifica come “delicata maniera di riprendere i farisei”5 l’uso di questo ricorso letterario.
Secondo Sant’Ambrogio, il Salvatore li ammonì “con dolcezza, affinché la forza della persuasione riuscisse a mitigare l’asprezza della correzione, e con l’obiettivo anche che la ragione aiutasse la persuasione, e l’ammonimento correggesse l’orgoglio”.6 Analizzando sotto un altro punto di vista il fatto, osserva Fillion: “Gesù immagina di proposito la scena in una festa di nozze perché in tali circostanze, nelle classi abbienti, si osserva più rigorosamente l’etichetta”.7 Aggiunge padre Tuya: “Il banchetto di nozze al quale Gesù fa menzione è il Regno Messianico […]. Lì, i primi posti sono riservati a quelli che sono stati più umili”.8
“Chi si eleva sarà umiliato”
8b “…non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato
più ragguardevole di te, 9 e colui che ha invitato te e lui venga
a dirti: ‘Cedigli il posto!’ Allora dovrai con vergogna occupare
l’ultimo posto”.
Per sottolineare gli inconvenienti dell’orgoglio, Nostro Signore comincia col mostrare ai farisei quanto l’ansia di occupare i primi posti fosse controproducente per loro, anche dal punto di vista meramente naturale. Perché, come insegna San Cirillo d’Alessandria, “l’elevarsi prontamente a onori che non meritiamo, denota che siamo temerari e rende le nostre azioni degne di vituperio”.9
Intenderemo meglio questa parabola se consideriamo che non erano ancora in vigore nel convivio sociale i principi di cortesia introdotti dalla benefica influenza del Cristianesimo. In quell’epoca, l’assenza di bontà si faceva sentire nelle relazioni umane, rette dai principi della legge del taglione: “Occhio per occhio, dente per dente”. Il tratto tra gli uomini era, pertanto, segnato dall’egoismo e dalla durezza, cercando ognuno soltanto i suoi propri interessi.
Se l’invitato della parabola avesse, per precauzione, scelto l’ultimo posto, sarebbe stato onorato dall’anfitrione, ma la ricerca imprudente della vanagloria, gli procurò di essere pubblicamente umiliato. Inoltre, in questo senso, è interessante notare, con il Cardinale Gomá, “il contrasto tra colui che scende, coperto di vergogna, e quello che sale, pieno di onore; e tra le dure parole dette al primo e le soavi con cui il secondo è invitato ad occupare un posto migliore”.10
Molto al di là delle norme di cortesia terrena
10 “Invece quando sei invitato, và a metterti all’ultimo posto,perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: ‘Amico, passapiù avanti’. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali.11 Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.
Osserva giustamente Fillion che, sicuramente, Gesù non ha voluto dare con questa parabola semplicemente “una regola di cortesia mondana e di buone maniere, basata su motivi egoistici, ossia, sostituire una vanità grossolana con un orgoglio raffinato”.11
Per il Venerabile Beda, sotto l’involucro della parabola si rileva un chiaro avvertimento: “Chiunque, invitato, venga alle nozze di Gesù Cristo e della Chiesa, unito dalla Fede ai membri della Chiesa, non si esalti come se fosse superiore agli altri, né si vanti per i suoi meriti, ma ceda il suo posto a colui che, invitato dopo, è più degno e ha progredito di più nel fervore di quelli che seguono Gesù Cristo, e occupi con modestia l’ultimo posto, riconoscendo che gli altri sono migliori di lui in tutto quanto si credeva superiore”.12
Avvolti, molte volte, in un linguaggio figurato, gli insegnamenti del Divino Maestro oltrepassano di gran lunga le semplici norme di cortesia terrena, come sottolinea questo santo monaco benedettino: “Perché non tutti coloro che si esaltano davanti agli uomini sono umiliati, e neppure tutti coloro che si umiliano in loro presenza sono da loro esaltati; ma chi si esalta per i suoi meriti, sarà umiliato dal Signore, e chi si umilia per i suoi benefici sarà esaltato da Lui”.13
“Chi si umilia sarà elevato”. Il miglior esempio di questo era lì davanti ai farisei, e li trattava con la soavità di un agnello: Colui che “apparso in forma umana, umiliò Se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce. Per questo Dio L’ha esaltato e Gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2, 8-9). “Chi si esalta, sarà umiliato”. Tuttavia, coloro che, per orgoglio, gareggiavano per i primi posti e cercavano di tendere tranelli al Signore, correvano il rischio di essere umiliati già in questa vita, o, peggio ancora, nell’Eternità, dal giusto Giudizio di Dio.
III – Cercare la ricompensa nello stesso Dio
12 Disse poi a colui che l’aveva invitato: “Quando offri un pranzo
o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi
parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro
volta e tu abbia il contraccambio”.
Dopo aver corretto l’orgoglio dei farisei, Gesù si rivolge all’anfitrione per dargli un consiglio. Questi aveva invitato, senza dubbio, solo coloro da cui avrebbe potuto trarre poi un qualche profitto. Anche l’invito a Nostro Signore sarebbe stato fatto, secondo Eutimio, con il desiderio di presentarsi come “diverso da quei farisei che sembravano volerGli male”.14 Inoltre, come spiega padre Truyols, la presenza di Gesù di Nazaret in quella casa dava prestigio all’anfitrione di fronte al popolo, data l’alta considerazione di cui godeva a quel tempo il Divino Maestro.15
Il Signore, intanto, insegna al padrone di casa a non procedere in relazione agli altri mosso da calcoli pragmatici e interessati. Qualsiasi azione l’uomo faccia con lo scopo di soddisfare appena il proprio egoismo, riceve la ricompensa in questo mondo, ottenendo il plauso o l’approvazione degli altri e perde qualsiasi merito per la vita eterna.16
Per questo, ben ci consiglia San Giovanni Crisostomo: “Non ci turbiamo, dunque, quando non riceviamo una ricompensa per i nostri benefici, ma piuttosto quando la riceviamo; perché se la riceveremo qui, non riceveremo poi nulla; ma se gli uomini non ci pagano, Dio ci pagherà”.17
13 “Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi,
zoppi, ciechi. 14 e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.
Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”.
Incoraggiando questo capo dei farisei a invitare “poveri, storpi, zoppi e ciechi”, Nostro Signore lo redarguisce con ogni soavità per il suo egoismo. Più ancora, stabilisce il principio che, per ricevere la ricompensa nel Regno dei Cieli, è necessario esser generoso col prossimo su questa Terra, senza aspettarsi da lui la restituzione del beneficio fatto.18
Praticare il bene mirando ad una retribuzione, trasforma il rapporto umano in mero negozio retto dai principi degli antichi contratti romani pagani: do ut des – dò perché tu mi dia –, o do ut facias – dò perché tu faccia. Infatti, si chiede padre Duquesne: “Che cos’è la liberalità esercitata dai mondani? Una liberalità interessata: si dà solo per ricevere, si dà solo a chi sa pagare con la stessa moneta. Una liberalità abituale che con frequenza porta a mormorare chi a lei si vede obbligato, nella quale non entra alcun motivo di carità o di religione; insomma, una liberalità di piacere e ostentazione”.19
Al contrario, quando facciamo del bene ad un altro senza aspettarci un pagamento, il premio ci sarà dato da Dio stesso, e Lui non Si lascia mai vincere in generosità.
Durissima risultava questa dottrina per quegli uomini materialisti, orgogliosi e opportunisti, ma avevano dinanzi a sé, come esempio vivo, Colui che l’avrebbe praticata fino agli ultimi momenti, accettando come agnello i patimenti della Passione e lasciandosi crocifiggere senza un lamento da quel popolo a cui tanto bene aveva fatto e in favore del quale tanti miracoli aveva realizzato.
IV – Umiltà e ammirazione
Creando gli uomini con l’istinto della socievolezza, Dio desiderava che essi si appoggiasseromutuamente nella pratica del bene, rendendo il convivio sociale una continua fonte di infervoramento spirituale. Così, in una società tutta rivolta alla pratica della virtù, gli inferiori avrebbero ammirato e venerato i loro superiori e questi li avrebbero ricambiati con affetto e tenerezza. Avrebbero regnato tra tutti l’unione, l’armonia e la pace.
Ora, il peccato originale ha introdotto nell’uomo una virulenta tendenza alla superbia, la quale sta alla radice di tutti i peccati, e quando questa inclinazione non è combattuta, il rapporto tra gli uomini decade al livello di una fiera di vanità e di egoismi, vera valanga di disprezzi, come quella che vediamo ritratta nel banchetto descritto in questo passaggio del Vangelo.
Sottile forma di orgoglio
Per capire bene in che cosa consista la pratica della virtù dell’umiltà, qui raccomandata dal Signore, sono necessari alcuni chiarimenti, poiché non è raro trovare persone che, in nome di una modestia male interpretata, diventino mediocri, non facendo fruttificare i talenti ricevuti da Dio.
L’umiltà consiste nel “procedere in verità”,20 scrisse Santa Teresa di Gesù. Ora, “procediamo in verità” quando ci sottomettiamo a Dio con spirito di religione, Gli siamo grati, riconoscendo la nostra totale dipendenza dal Creatore e comprendendo che tutto quanto abbiamo di buono ci è stato dato da Lui. Infatti se da un lato, purtroppo, ci sono in noi difetti colposi o semplici limitazioni della natura, dall’altro, è sicuro che la Divina Provvidenza non ha lasciato nessuno sprovvisto di qualità e doni, ora maggiori, ora minori.
A tal proposito, ci insegna San Tommaso che non esiste opposizione tra l’umiltà e la magnanimità: “L’umiltà reprime l’appetito, affinché esso non cerchi grandezze oltre la retta ragione, mentre nel contempo la magnanimità lo stimola per ciò che è grande, secondo la retta ragione. Risulta chiaro, pertanto, che la magnanimità non si oppone all’umiltà ma, al contrario, entrambe coincidono nel fatto che agiscono secondo la retta ragione”.21 Sono virtù complementari.
Non cadiamo, pertanto, in una sottile forma d’orgoglio che si traduce nel presentarsi come l’ultimo degli uomini, un essere incapace di realizzare qualsiasi azione di valore… San Tommaso afferma che questo costituisce una falsa umiltà, denominata da Sant’Agostino come “grande superbia”, perché, in verità, con questo tipo di finzione, la persona pretende di ottenere una gloria superiore.22 Inoltre, è anche un segno di ingratitudine in relazione ai doni ricevuti da Dio. Al contrario, accettiamo con mansuetudine e coraggio quello che realmente siamo, analizziamoci con piena obiettività e non ribelliamoci davanti ad eventuali avversità o anche ingiustizie, ma sappiamo utilizzarle come mezzo per riparare le nostre colpe.
Uno dei mezzi migliori di praticare l’umiltà
Un modo molto efficace e poco insegnato di combattere l’amor proprio consiste nell’ammirare quello in cui gli altri sono superiori a noi, riconoscendo in queste qualità riflessi della divina perfezione. Essendo ogni uomo superiore agli altri sotto una determinata angolatura, unica e personalissima, cercare di ammirare queste qualità degli altri è uno dei mezzi migliori e più efficienti per combattere l’amore sregolato verso se stessi e la vanagloria.
Chi agirà in questo modo, praticherà in una maniera eccellente la virtù dell’umiltà e, allo stesso tempo, il Primo Comandamento della Legge di Dio, poiché l’amore verso tutto ciò che è superiore, è nel fulcro della pratica della virtù della carità.
Per questo, chi vuole essere mansueto di cuore, ammiri le qualità degli altri; chi vuole essere distaccato, ammiri la generosità degli altri; chi vuole esser santo, ammiri la virtù degli altri. Insomma, ammiriamo tutto quanto è ammirabile: avremo già la ricompensa della pace dell’anima su questa Terra e la beatitudine eterna nel Cielo!
L’ammirazione, ecco la grande lezione di questo Vangelo.
1) GOMÁ Y TOMÁS, Isidro. El Evangelio explicado. Año tercero de la vida pública de Jesús. Barcelona: Rafael Casulleras, 1930, v.III, p.272. 2) Non essendo inclusi in questa Liturgia, non commenteremo qui i versetti da 2 a 6,che narrano la guarigione dell’idropico. Ma merita notare come Gesù, anche quando dà questa magnifica prova del suo potere divino, mantiene la soavità dell’Agnello nel suo tratto con quei farisei. Invece di sgridarli, come ha fatto in precedenti occasioni, parla loro in questa circostanza con un linguaggio interrogativo, quasi come chi chiede consiglio. 3) DUQUESNE. L’Évangile médité. Lyon-Paris: Perisse Frères, 1849, v.III, p.92. 4) FILLION, Louis-Claude. Vida de Nuestro Señor Jesucristo. Vida pública. Madrid:Rialp, 2000, v.II, p.394. 5) GOMÁ Y TOMÁS, op. cit., p.273. 6) SANT’AMBROGIO. Tratado sobre el Evangelio de San Lucas. L.VII, n.195. In: Obras. Madrid: BAC, 1966, v.I, p.449-450. 7) FILLION, op. cit., p.395. 8) TUYA, OP, Manuel de. Biblia comentada. Evangelios. Madrid: BAC, 1964, v.V,p.864. 9) SAN CIRILLO DI ALESSANDRIA, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. Catena Aurea. In Lucam, c.XIV, v.7-11. 10) GOMÁ Y TOMÁS, op. cit., p.274. 11) FILLION, op. cit., p.395. 12) SAN BEDA, apud SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit. 13) Idem, ibidem. 14) EUTIMIO, apud MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios. Evangelios de San Marcos y de San Lucas. Madrid: BAC, 1951, v.II, p.637. 15) Cfr. FERNÁNDEZ TRUYOLS, SJ, Andrés. Vida de Nuestro Señor Jesucristo.2.ed. Madrid: BAC, 1954, p.447-448. 16) Su questo argomento, si vedano i commenti dello stesso autore: O centro deve estar sempre ocupado por Deus. In: Arautos do Evangelho, São Paulo. N.98 (Feb.,2010); p.11-18; Commento al Vangelo di Mercoledi dell Cenere, nel Volume VII di questa colezione. 17) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit.,v.12-14. 18) Si noti, comunque, che “non si proibisce, in questa parabola, di assolvere ai doveri della famiglia o dell’amicizia” (GOMÁ Y TOMÁS, op. cit., p.274). D’altro lato,“cadrebbe in un singolare errore chi cercasse di interpretare alla lettera tutte le circostanze. Gesù non aveva in mente l’idea di alterare le relazioni sociali in quello che queste hanno di legittimo” FILLION, op. cit., p.395). 19) DUQUESNE, op. cit., p.96. 20) SANTA TERESA D’AVILA. Castillo Interior. Moradas sextas, c.X, n.7. In: Obras Completas. 3.ed. Burgos: El Monte Carmelo, 1939, p.617-618. 21) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. II-II, q.161, a.1, ad 3. 22) Cfr. Idem, ad 2.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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