Vangelo
Un giorno, 18 mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con Lui, pose loro questa domanda: “Chi sono Io secondo la gente?” 19 Essi risposero: “Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto”. 20 Allora domandò: “Ma voi chi dite che Io sia?” Pietro, prendendo La parola, rispose: “Il Cristo di Dio”. 21 Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. 22 E aggiunse: “Il Figlio dell’Uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno”. 23 Poi Gesù disse a tutti: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24 Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (Lc 9, 18-24).
La Croce, quando interamente abbracciata, ci configura a Cristo
Al culmine della fama e della popolarità di Nostro Signore, tutti si aspettavano in breve la sua acclamazione come un leader politico senza precedenti. Gesù, però, smonta questa erronea aspettativa con l’annuncio della sua Passione.
I – La tentazione della terza posizione
È difficile per l’uomo, nella relazione con il prossimo o con Dio, agire secondo le esigenze della sua coscienza, della morale e della verità. Assumere un atteggiamento deciso e definitivo costituisce una scelta ardua, poiché, da un lato, nell’intimo dell’anima, lo chiama la voce delle cattive inclinazioni provenienti dal peccato e, dall’altro, l’invito alla rettitudine, alla perfezione e alla santità fatto dalla grazia. Optare per una di queste sollecitazioni implica serie conseguenze, scatenandosi a partire da qui una lotta che lo accompagna per tutta la vita fino al momento del giudizio personale, fatto che spiega la nota affermazione di Giobbe: “La vita dell’uomo sulla terra è una battaglia” (7, 1). Non c’è un’età a partire dalla quale sia possibile considerarla conclusa; al contrario, le battaglie spirituali diventano sempre più impetuose con il passar del tempo. Lo conferma l’agiografia, che mostra la lotta presente nel percorso terreno dei santi, fino al loro ultimo sospiro. Celebre è l’esclamazione di San Luigi Maria Grignion de Montfort, nell’ora della morte, indicativa del suo costante sforzo per mantenersi fedele alla Legge divina, della quale si riteneva un esecutore molto imperfetto: “Sono arrivato al termine della mia carriera: non peccherò più!”1
Tuttavia, quando non è giusto, l’uomo si scoraggia in questa lotta ascetica e cerca di trovare un mezzo per riposare, desiderando ottenere la ricompensa eterna senza compiere sforzi. Tale è la ragione per cui non esiste una corrente con maggior quantità di adepti quanto la cosiddetta terza posizione. Si tratta del partito più numeroso esistente al mondo, dalla fuoriuscita di Adamo e Eva dal Paradiso, perché la tendenza dell’uomo non è cedere al male in quanto male – infatti esser cattivo è scomodo e implica sempre lottare, esige capacità di lotta –, ma fuggire dal dolore. La nostra esistenza comporta sempre patimenti, poiché è impossibile vivere senza soffrire, anche quando si è innocenti. Neppure l’Innocenza in Se stessa, Nostro Signore, nemmeno l’Innocente per eccellenza, la Madonna, sono stati liberi dal dolore, essendo inconcepibile un’esistenza terrena, per quanto eccelsa essa sia, esente da avversità.
San Luigi Maria Grignion de Montfort, nella sua Lettera circolare agli amici della Croce, ha trattato questa lotta interiore mostrando il glorioso cammino degli eletti: “La conoscenza pratica del mistero della croce è data solo a poche persone. Per salire al Calvario e lasciarsi crocifiggere con Gesù, fra il suo stesso popolo, l’uomo bisogna essere valente, un eroe, uno deciso, un uomo unito a Dio; che disprezzi il mondo, l’inferno, il suo corpo e la propria volontà; un uomo deciso a sacrificare tutto, a intraprendere tutto e a patire tutto per Gesù Cristo. Sappiate, cari Amici della Croce, che quelli tra voi che non possiedono questa disposizione vanno soltanto con un piede, volano con una sola ala e non meritano di stare in mezzo a voi, perché non meritano di chiamarsi Amici della Croce, che dobbiamo amare, con Gesù Cristo, corde magno et animo volenti – con cuore grande e animo generoso (cfr. II Mac 1, 3)”.2 Non esiste una terza via nella quale uniamo i vantaggi e la gloria dell’obbedienza a Dio con il piacere e le fruizioni del peccato. La battaglia della nostra vita spirituale, pertanto, consiste nel prendere fervidamente la prima posizione, senza lasciarci ingannare dalla falsità della terza. Come aprire, allora, le nostre anime all’ardua via della sofferenza, unico modo per rispondere alla chiamata del Divino Maestro? È quello che ci insegna Nostro Signore in questo Vangelo della 12ª Domenica del Tempo Ordinario.
II – L’esempio del Salvatore
Il passo presentato per questa domenica si situa nel periodo aureo della vita pubblica di Gesù, quando la sua fama nel mondo ebraico si avviava all’apogeo e si celebravano i suoi fatti ovunque. La notizia dei miracoli realizzati si era già sparsa per Israele, e non c’era un solo angolo dove non si commentasse l’ascesa di quel Maestro pieno di influenza e poteri soprannaturali. Fillion commenta l’importanza del momento storico e delle affermazioni di Cristo ora contemplati: “Arriviamo a parole e avvenimenti di altissima importanza. […] ecco qui avvenimenti straordinari, pur all’interno di una vita così straordinaria come è stata quella di Nostro Signore. Questa vita, di per sé così sublime, salirà in regioni ancora più elevate prima di scendere a quella che molto giustamente è stata chiamata valle profonda del dolore e dell’umiliazione. Se da qui in poi Gesù si occupa meno di istruire il popolo e lo vediamo più raramente in contatto con lui, consacra, in cambio, più attenzione al piccolo gruppo dei suoi Apostoli, ai quali rivelerà i segreti della sua origine e missione. Così penetreremo sempre più nel cuore del Vangelo”.3
Infatti, l’episodio di questa domenica è ritenuto come uno dei punti più alti del convivio del Salvatore con i discepoli, e un cippo importante dell’istituzione della Chiesa docente. Gli evangelisti San Matteo e San Marco raccontano che Gesù Si trovava, quel giorno, in prossimità di Cesarea di Filippo, città situata in territorio pagano, incastonata in una regione isolata e di grandiosa bellezza. San Luca, sebbene non offra precisi dettagli geografici, registra un prezioso particolare che ha preceduto la confessione di Pietro e il primo annuncio della Passione: il Maestro stava pregando.
La preghiera dell’Uomo-Dio
Un giorno, 18a mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a
pregare e i discepoli erano con Lui…
La preghiera di Gesù costituisce un appassionante mistero menzionato in diverse occasioni nel corso dei Vangeli. Dei quattro evangelisti, San Luca si mostra più attento a questo dettaglio, riferendolo con una certa frequenza. I grandi episodi della vita di Cristo sono preceduti da periodi di preghiera. L’evangelista menziona undici occasioni nelle quali Gesù prega il Padre, sebbene non sempre si soffermi sul contenuto di tali colloqui.4
Questa volta Nostro Signore cerca un luogo solitario e, senza congedare quelli che Lo seguivano, Si discosta un po’ da loro e Si abbandona ad una raccolta preghiera. La nostra pietà, stimolata dalla grandezza dell’atto – il quale, già di per sé, basterebbe a redimere l’umanità –, ci porta a formulare alcune domande: se Egli è Dio, chi pregava? È il destinatario della preghiera e, allo stesso tempo, colui che prega? La penna dei teologi non riesce ad esprimere appieno la sublimità del fatto. Essendo Dio e Uomo, e possedendo, per tale ragione, due nature distinte unite nella Persona Divina del Verbo, in Cristo si trova l’onnipotenza unita all’umanità, senza che quest’ultima perda una sola delle sue caratteristiche, tali come intelligenza, volontà, sensibilità, memoria, immaginazione e altre facoltà. La sua preghiera, pertanto, parte dalla natura umana e si rivolge alla Trinità, la cui Seconda Persona è Lui stesso. Il Padre ha voluto, per un decreto di infinita sapienza, che certe grazie non ci fossero concesse se non attraverso questa preghiera, perché l’espressione della volontà umana di Gesù, deliberata e assoluta, è l’intercessione perfetta e deve esser esaudita. Quanto insondabile e profonda è la preghiera del Maestro! Non conosceremo mai in questa vita – ma solo in Cielo – la forza impetratoria di una sua richiesta, come nella commovente frase “io ho pregato per te” (Lc 22, 32), in virtù della quale ha perseverato non soltanto San Pietro, ma anche ognuno di noi.
L’eccellenza della preghiera e del raccoglimento
Grande è l’apprezzamento di Nostro Signore per la preghiera, tanto che ha voluto servirSene per spargere grazie sul mondo. Quello che era in suo potere concedere direttamente come Dio, ha preferito chiedere in quanto Uomo, indicando all’umanità una via infallibile e in armonia con i disegni divini. Agendo in questo modo, insegna San Cirillo di Alessandria, “si costituiva a modello per i suoi discepoli”.5
Cornelio a Lapide, a sua volta, tesse le seguenti considerazioni a proposito del valore e degli effetti della preghiera: “Non c’è luogo né tempo in cui non dobbiamo pregare. La preghiera è la colonna delle virtù, la scala della divinità, delle grazie e degli Angeli per scendere sulla Terra, e degli uomini per salire alla montagna eterna. La preghiera è la sorella degli Angeli, il fondamento della fede, la corona delle anime […]. La preghiera è una catena d’oro che lega l’uomo a Dio, Dio all’uomo, la Terra al Cielo; essa chiude l’inferno, incatena i demoni; previene i crimini e li elimina… La preghiera è l’arma più forte; essa offre un’incrollabile sicurezza, è il maggior tesoro; essa è il porto sicuro della salvezza; è il vero luogo di rifugio”.6 Infatti, la preghiera fa dell’uomo un essere più spiritualizzato, nel quale prevale la grazia di Dio e si acquietano le passioni sregolate.
Il Salvatore ancora ci offre un altro toccante esempio in questa scena. RitirandoSi a pregare, insegna a non limitarci unicamente alla preghiera collettiva, come la partecipazione all’Eucaristia o ad altri atti liturgici. Senza disdegnare la preghiera collettiva, alla quale è legata la promessa della sua presenza – “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20) –, Egli mostra che è molto benefico pregare da soli, lontano dagli assembramenti.
Raccontando che Egli si trovava in compagnia soltanto dei discepoli – particolare che secondo Benedetto XVI denota quanto essi “sono inclusi in questo suo star solo, nel suo riservatissimo stare con il Padre”7 –, l’Evangelista ha voluto mostrare la relazione tra la preghiera del Divino Maestro e la domanda fatta da Lui subito dopo.
Gesù interroga i discepoli sulla sua Persona
18b … pose loro questa domanda: “Chi sono Io secondo la gente?”
19 Essi risposero: “Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per
altri uno degli antichi profeti che è risorto”.
Rivolgendosi agli Apostoli, Nostro Signore li interroga riguardo a quello che sentono dire su Se stesso. La domanda possiede chiaramente una finalità didattica, lasciando intendere che è l’anticipazione di un’altra più importante. Possiamo immaginare Gesù che ascolta con interesse le più svariate e calorose ripercussioni offerte dai Dodici, i quali, nel contatto diretto con le moltitudini, hanno potuto raccogliere ogni tipo di impressioni, per offrire al Maestro un sostanzioso resoconto dei commenti popolari. Senza avere la necessità di una tale testimonianza – che conosceva già da tutta l’eternità –, Egli ha proceduto in questo modo per far emergere l’opinione generale, prima di fissare quella vera, di gran lunga superiore. Sarebbe risultata evidente agli occhi dei discepoli, pertanto, l’inadeguatezza dell’affermazione ammessa e la necessità di possedere a suo riguardo una visione perfetta.
Tutto indica che questa conversazione è stata più estesa della sintetica narrazione degli evangelisti, i quali, nell’affermazione di San Giovanni Crisostomo, “sono soliti di riassumere fatti e parole, mossi per il desiderio di essere brevi e succinti”.8 Saranno affiorate opinioni diverse, più o meno corrette, e tra queste, con certezza, avranno potuto essere incluse le osservazioni invidiose fatte dai farisei. Alcuni mossi da cattiveria e orgoglio, altri da ignoranza, il fatto è che il parere generale su Gesù non andava al di là del considerarLo come un uomo notevole o un profeta pieno di doni e abilità taumaturgiche, da cui tutti potevano trarre molto profitto, individualmente e socialmente. Sintetizzando il parere dei Giudei nel parallelo con le figure di Giovanni Battista, Elia e Geremia (cfr. Mt 16, 14), gli Apostoli trasmettono quella che era la voce corrente. Ciò nonostante, Gesù era la Seconda Persona della Santissima Trinità, Dio fatto Uomo che era venuto ad operare guarigioni corporali, sanare le anime e, mediante il sacrificio cruento del Calvario, estirpare la piaga del peccato e aprire le porte del Cielo. Infine, era giunto il momento di quest’altissima rivelazione!
La confessione di Pietro
20 Allora domandò: “Ma voi chi dite che Io sia?” Pietro,
prendendo la parola, rispose: “Il Cristo di Dio”. 21 Egli allora
ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.
Dopo aver ascoltato con attenzione quello che gli Apostoli avevano da dire, Nostro Signore li interroga, a sua volta, su questa stessa questione. Ora importa sapere il loro pensiero, visto che sono in condizioni privilegiate per emettere un giudizio. Non vedono Gesù soltanto da lontano, nelle piazze o nel Tempio, Lo seguono tutti i giorni, si sono consegnati al suo servizio e sono i depositari della sua massima fiducia. Era opportuno che esprimessero la propria opinione, dal momento che potevano vedere e sapere molto di più? “Qui” – dirà San Tommaso d’Aquino – “è la fede dei discepoli ad essere esaminata”.9 Nel formulare la domanda, separandoli dal resto delle persone – “e voi?” –, il Maestro lascia intravvedere che si aspetta dai suoi seguaci una risposta differente perché i commenti del popolo non corrispondevano alla piena verità. Per questo, insegna San Cirillo: “Quanto discreto è questo ‘voi’! Li distingue dagli altri affinché anche rifuggano dalle loro opinioni e così non abbiano un’idea indegna di Lui”.10
Sulla didattica impiegata da Nostro Signore nell’incitarli a un parere, il Dottor Angelico insegna che Egli ha agito in questo modo perché desiderava dare loro il merito della fede.11 Toccherà a Pietro, l’Apostolo veemente, deciso e loquace, la gloria di essere il primo a proclamare che Gesù era il Figlio di Dio incarnato, la Seconda Persona della Santissima Trinità. La sua percezione, tuttavia, non si potrebbe attribuire alla sua mera perspicacia naturale, quanto invece a una grazia speciale per apprendere quello che l’intelligenza non riusciva, per il fatto che si trattava di uno dei principali misteri della nostra fede: “Quando Gesù ha chiesto a loro qual era il parere del popolo, tutti hanno parlato; ora che desiderava conoscere la loro opinione personale, Pietro precede tutti ed esclama: ‘Tu sei il Cristo’”.12 Con questa così solenne confessione, passa dal campo implicito a quello esplicito, con un carattere ufficiale, quello che un’elevata ispirazione ha dettato nell’intimo di Pietro, come riconosce il Salvatore: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16, 17). Un magnifico passo verso l’esaltazione di Nostro Signore è compiuto, poiché esso doveva essere fatto dai suoi più prossimi.
A seguire c’è stata l’istituzione del Papato, episodio che fa vibrare l’anima cattolica, nonostante sia omesso nella versione di San Luca (cfr. Mt 16, 18-19). Viene detto, però, che Gesù ha proibito severamente di trasmettere a terzi quello che era stato appena detto, impedendo con divina autorità che una dichiarazione di tale gravità valicasse i confini di quell’ambito. Non è difficile intuire che lì aleggiava una grazia che favoriva l’entusiastica accettazione della verità. Inoltre, è altrettanto naturale prevedere l’esplosione di collera che quest’atto di fede avrebbe causato, nel caso fosse giunto all’orecchio delle autorità religiose di Israele. C’era un altro motivo in più – come analizzeremo a seguire – per sconsigliare, in quel momento, la diffusione della vera identità del Signore.
Attesa di un falso Messia
Gli Apostoli, come tutti in Israele, attendevano con impazienza l’avvento del Messia promesso da Dio e annunciato dai profeti. Una santa aspettativa orientava la vita di ogni giudeo, facendo convergere su questo essere mitizzato tutte le sue aspirazioni di felicità. In se stesso, tale impulso deve esser ritenuto non solo come legittimo, ma anche come una reazione salutare alla paganizzazione della società di quel tempo e segno di fedeltà alle promesse della Scrittura. Nel caso non avessero proceduto così, gli ebrei avrebbero dato mostra di una riprovevole debolezza. Era Dio che, nella sua mirabile Provvidenza, li preparava all’arrivo del suo unto. Erano passati già cinque secoli dalla morte di Malachia, e dopo di lui più nessun profeta aveva fatto sentire la sua voce tra i figli di Abramo. Questo silenzio, unito alle vicissitudini storiche che hanno avuto come scenario la Palestina, in questo ampio quadro storico, concorreva a persuaderli dell’importanza e necessità di tale uomo.
Ma, un travisamento si era consolidato nella mentalità del popolo eletto – e, di conseguenza, in quella degli Apostoli – riguardo l’indole della missione di questo inviato. Il Messia, il Cristo di Dio, non era per loro se non colui che sarebbe venuto a stabilire la dominazione dei Giudei sugli altri popoli, a risolvere tutti i problemi politici, sociali e, soprattutto, finanziari del paese; egli avrebbe portato, prima di qualsiasi altra cosa, una felicità umana. Ossia, sarebbe stato il compendio di una sorta di super Mosè, di super Davide e di super Salomone, personaggi che avevano portato la nazione israelita ad un sommo grado di gloria e avevano fatto tremare gli stranieri. A fianco di un così formidabile potere, pensavano loro, il Messia sarebbe stato anche un uomo giusto, esecutore della Legge e timoroso di Dio, come i maggiori esponenti del giudaismo. Avrebbe coniugato una religiosità esemplare con il dispotismo dei cesari, il rispetto della Torah con l’irriverenza verso i gentili: in una parola, sarebbe stato l’imperatore della terza posizione. Questo Messia ci sarebbe stato uno che, insomma, avrebbe portato tutti i benefici e avrebbe estirpato tutti i mali di Israele. Che immensa vittoria! Per questo, Nostro Signore fa loro una nuova rivelazione subito dopo la dichiarazione di Pietro, per tutti inattesa. Prima Egli stabilisce riservatezza sulla sua origine, come se dicesse: “Non vi venga mai in mente di insegnare che Io sono questo Messia a cui state pensando. Sì, sono il Messia, ma non quello che voi sentite e volete. Il Cristo che dovrete annunciare è quello che Io stesso vi rivelerò”.13 Dopo, per estirpare l’errore e formarli adeguatamente, Gesù, secondo le parole di Louis Veuillot, “non lasciando che essi si formassero un’ idea piacevole della gloria che li aspettava, ha strappato il velo del futuro, e ha mostrato loro il Calvario”.14
Sofferenza: il marchio del Salvatore
22 E aggiunse: “Il Figlio dell’Uomo deve soffrire molto, essere
riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser
messo a morte e risorgere il terzo giorno”.
“Quanto il cielo domina la Terra, tanto è superiore alla vostra la mia condotta e i miei pensieri oltrepassano i vostri” (Is 55, 9). Poche volte le parole di Isaia sono state tanto vere come quando applicate alla situazione dei Giudei. Mentre il popolo aspettava un Messia terreno, Nostro Signore veniva a portare il riscatto del debito infinito contratto con il Padre con il peccato, cosa che nessun uomo, per quanto santo e perfetto fosse, avrebbe potuto fare. Non c’è termine di paragone per esprimere la superiorità della Redenzione davanti al più splendido degli imperi umani e, pertanto, di quello che il Messia portava ai Giudei, comparato con il regno materiale che essi attendevano.
Ciò nonostante, per il pieno compimento di una così alta missione, era necessaria l’espiazione in Croce, l’immolazione del Figlio di Dio. Questa dichiarazione – che d’impatto contraddice i sogni ad occhi aperti degli Apostoli – è fatta da Gesù con tutto il suo realismo. Sant’Ambrogio riconosce la difficoltà dei Dodici ad ammettere il preannuncio della Passione e commenta: “Forse perché il Signore sapeva che era difficile credere nel mistero della Passione e Resurrezione, pur trattandosi dei suoi discepoli, ha voluto essere Lui stesso l’annunciatore”.15 Già i vaticini dei profeti dell’Antico Testamento indicavano un Messia sofferente, fatto che nessuno voleva ricordarsi. Nostro Signore, risvegliandoli da una profonda letargia, mostra che sarebbe stato disprezzato dal potere vigente, da coloro senza la cui approvazione – pensavano gli Apostoli –, non si sarebbe stabilito il regno messianico. Egli spezza, in questo modo, il sostegno psicologico depositato in uomini di falsa sapienza, indicando che erano precisamente questi coloro che avrebbero tramato la sua morte.
Allora Gesù, il Maestro, sarebbe stato ucciso! Sì, “è necessario stabilire per sempre la vera natura della salvezza tratta da Cristo; essa è operata con le sue sofferenze e con la sua morte”.16 L’impressione prodotta è stata così forte che gli Apostoli sembrano non prestare attenzione all’annuncio della Resurrezione nel terzo giorno. Forse è stato questo sbigottimento che ha fatto loro omettere nuove domande su come sarebbe avvenuto questo olocausto. Senza dubbio, era giunto il momento di conoscere il piano di Dio nell’inviare suo Figlio Unigenito, visto che il Padre desiderava conferirGli ogni onore e ogni gloria, tanto più che essi erano a pochi mesi da questo avvenimento culminante.
“Christianus alter Christus”
23 Poi Gesù disse a tutti: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24 Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà”.
DirigendoSi alla moltitudine, che fino a questo momento si era mantenuta a rispettosa distanza dal piccolo gruppo, Nostro Signore rivolge anche a lei la parola. L’insegnamento di questi versetti nasce dall’audace annuncio dei suoi patimenti, e indica che, sebbene non fosse il momento di parlare pubblicamente della Passione, Egli considera opportuno istruire i suoi seguaci sul vero discepolato e sull’adeguamento degli spiriti alla realtà della Croce.
“Se uno mi vuol seguire …”. L’invito è esplicito, rispettoso, tuttavia, del libero arbitrio, senza imporsi a nessuno con la forza. È necessario che i buoni abbiano il merito della libertà ben impiegata, e la loro adesione al Divino Maestro deve basarsi sull’incanto, mai sulla coercizione. Il gran numero di persone lì radunate non era stato obbligato a seguire Gesù a Cesarea di Filippo. Anche gli Apostoli avevano abbandonato le reti e i lavori per un libero assenso personale.
Ebbene, per arrivare alla piena adesione a Nostro Signore, sono indispensabili nuove rinunce, che sempre devono esser fatte per mezzo di un generoso sì da parte di ognuno. La maggiore di queste, senz’ombra di dubbio, è quella che riguarda se stessi, e per questo costa di più all’uomo privo del dono dell’integrità. Tale squilibrio, imposto dalle conseguenze del peccato, genera nell’anima un apprezzamento smisurato per la propria persona, portandola, quando non è santa, ad amarsi e ad esaltarsi in maniera peccaminosa. Ora, il perfetto amore a Dio non si raggiunge per mezzo della condiscendenza con questa cattiva inclinazione, ma con la dedizione totale del proprio essere a Colui che ci ha creato. La rinuncia di se stessi a beneficio della gloria di Dio diventa un’esigenza della fedeltà a Lui.
Abbracciare la croce significa assumere con radicalità il compimento della vocazione specifica, ricevuta dal Battesimo. È facile accedere alla chiamata divina quando questo invito emerge dentro di noi spinto dal vento favorevole delle consolazioni. Con l’inizio delle difficoltà di ogni giorno, nell’aridità, nei patimenti fisici o morali, nella persecuzione o le seduzioni del mondo, si rende necessario abbracciare l’ideale e seguirlo per amore, tale come l’esempio di Nostro Signore nel caricare la Croce, portandola con gioia, malgrado fosse immerso in un oceano di amarezza. I suoi dolori, sommati a quelli di Maria Santissima, sono stati incomparabilmente maggiori dei nostri, poiché Gesù non ci chiede nulla che Egli stesso non abbia patito prima, in grado molto maggiore.
Sono stati ampi i commenti dei teologi riguardo l’interpretazione di questo impressionante versetto 24, dove risulta chiaro che il valore della vita eterna supera quello della vita terrena, meritando, anche, l’alto prezzo del martirio. Tuttavia, possiamo sottolineare che “guadagnarsi la vita” significa anche avere un’esistenza ritmata dai Comandamenti, avendo come obbiettivo la santità. Nella nostra epoca, nella quale gli uomini pagano qualunque tributo per percorrere una carriera brillante e costruirsi un nome di prestigio, trarrebbe molto profitto chi meditasse su questo passo, poiché nell’ansia di ottenere un successo mondano – peggio se è a costo del peccato – ci si può incamminare verso l’inferno.
III – La croce, fonte di felicità
In sintesi, il Vangelo di queste 12ª Domenica del Tempo Ordinario ci offre elementi per un esame di coscienza: qual è stato il nostro atteggiamento di fronte alla Croce con la quale Nostro Signore Gesù Cristo passa davanti a noi e ci invita a seguirLo? Abbiamo una grandezza d’animo adatta ad entrare nelle fila dei suoi seguaci di spirito, o ci lasciamo meravigliare dalla sublimità del suo insegnamento e, allo stesso tempo, siamo ingannati dal miraggio delle cose peccaminose, sull’esempio dei figli delle tenebre? Saremo annoverati tra coloro che cercano la terza posizione, armonizzando il bene con il male, in una unione illegittima?
La Liturgia di oggi ci indica la soluzione per uno dei maggiori mali dell’angosciante secolo in cui viviamo, nel quale l’umanità utilizza tutti i mezzi tecnologici, medici e sociali per evitare il dolore, e patisce, come mai, angosce inenarrabili. A prima vista, sembra un mistero il fatto che non siano mai esistite tante possibilità di benessere e, contemporaneamente, siamo flagellati da ogni specie di catastrofi. Questo si deve al fatto che fuggiamo dalla croce per non riconoscere l’immensa felicità che ci offre quando è abbracciata con gioia. Nella misura in cui adeguiamo tutto il nostro modo di essere, prospettive, immaginazioni, desideri, pensiero, dinamismo, attività e tempo in funzione di Nostro Signore, siamo invasi da una pace interiore che a nulla può esser comparata. Scendono le benedizioni dall’Alto e si operano le meraviglie della grazia. A ragione afferma il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira: “La grazia dell’estasi per le cose celesti, per le cose di Dio, offre a una persona il coraggio di caricare grandi croci come se fossero piccole. Cioè, questo amore latente per Dio, per la Madonna, per le grandezze del Cielo agisce con tale profondità nell’uomo che, per un atto di consenso libero, cosciente – e allo stesso tempo subcosciente, cosa che sembra paradossale, ma è vera –, egli si lascia trasformare. E l’amore della Croce è il sintomo di questo cambio di mentalità”.17 Così, uniformati al Divino Redentore, saremo in grado non solo di riconoscerlo come il vero Messia, confessando con San Pietro: “Tu sei il Cristo di Dio”, ma diremo anche con il capo della Chiesa, questa volta con un timbro di autenticità che solamente la croce è capace di offrire: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene” (Gv 21, 17).
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