In quel tempo, 26 Gesù diceva [alla folla]: “Così è il Regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28 Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29 e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”. 30 Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il Regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”. 33 Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa (Mc 4, 26-34).
La forza trionfante della Chiesa
Il dinamismo esistente in un seme non è che un pallido simbolo dell’intima, energica e perseverante azione dello Spirito Santo sui fedeli. Di conseguenza, la forza trionfante di quella che fu chiamata ad essere il Regno di Dio – la Santa Chiesa – dovrà ad un certo momento conquistare il mondo intero.
I – Il Maestro per eccellenza
“Mai un uomo ha parlato così” (Gv 7, 46) – fu la risposta delle guardie ai sinedriti, quando costoro, dopo averli inviati a catturare Gesù, li interrogarono: “Perché non Lo avete condotto qui?” (Gv 7, 45). Infatti, che maestro è esistito nella Storia all’altezza dell’unico e vero Maestro? Se il Signore Gesù è il Bene, la Verità e la Bellezza assoluta, per quale motivo non dovrebbe essere anche la Didattica in essenza? Non possiamo dimenticarci che Egli è Dio, in quanto Seconda Persona della Santissima Trinità, pertanto, la sua didattica non può che essere anche sostanziale.
Inoltre, l’Anima di Gesù fu creata nella visione beatifica, possedendo dunque, la conoscenza conferita a coloro che contemplano tutto l’ordine della creazione nello stesso Dio. Se questo non bastasse, ricordiamoci che a Lui fu concessa anche la scienza infusa nel suo grado più elevato, oltre che, in aggiunta a queste insuperabili meraviglie, anche la conoscenza sperimentale. Tutti questi tesori fanno, di chi li possiede, il Maestro per eccellenza. Così, il Signore Gesù insegnava la verità come nessun altro e con eminenti qualità pedagogiche che nessun altro ha avuto fin dai tempi di Adamo, né avrà fino alla fine del mondo. Ne consegue che gli stessi soldati che andarono a catturarLo, per ordine del Sinedrio, si trovarono in un complesso dilemma: disobbedire agli ordini ricevuti o essere obbligati ad agire contro la propria coscienza. Tale era la grandezza manifestata dal Signore nel suo insegnamento, che i soldati furono costretti a optare per il rischio di perdere il posto e addirittura di esser gettati in prigione.
Questa era la luce che si irradiava dalle predicazioni del Divino Maestro, abbracciando anche coloro che, in quella circostanza, erano al servizio del male.
Semplicità ed efficacia del metodo
A monte di qualsiasi altro motivo, dobbiamo affermare che Gesù, per il fatto di essere il migliore di tutti i maestri, avrebbe potuto optare soltanto per il più efficiente dei mezzi di insegnamento e per quanto incredibile possa sembrare, questo Maestro elesse per istruirci forse il più semplice dei metodi, esente da orpelli ed esagerazioni. Nessuna destrezza, né sinuosità, né inutili iperboli. Sprovvisto degli squilibri di retoriche mal concepite, questo suo metodo ridondava delle più chiare e benefiche spiegazioni.
Nonostante Gesù Si basasse sui fatti quotidiani e correnti della vita di allora, essi non persero mai la loro attualità, e così permarranno fino alla fine dei tempi, poiché nelle sue parole si realizza il “veritas Domini manet in æternum – la fedeltà del Signore dura per sempre” (Sal 116, 2). La verità insegnata da Cristo era Lui stesso, pertanto, eterna. Non soltanto per quanto riguarda la sua origine, ma anche per la sua proiezione nel tempo, nei secoli dei secoli. Inoltre, le metafore impiegate dal Divino Maestro sono utili come elementi storici per elaborare una ricostruzione di come era la vita di quei tempi.
Un tema fondamentale: il Regno di Dio
La preoccupazione del Signore non era centrata nel formare grandi letterati, né geni in materia di scienza e neppure artisti eccezionali. Il suo impegno essenziale era rendere ben chiara la dottrina che dava fondamento al Regno di Dio, il quale, nella sua essenza, è costituito dalla stessa Chiesa Cattolica e Apostolica: un Regno militante qui sulla Terra, unito a un Regno sofferente e l’altro ricchissimo e trionfale.
Le parabole di Cristo avevano, infatti, un obiettivo essenziale, oltre ad altri secondari. Tutte, praticamente, si svolgevano intorno a un tema fondamentale: il Regno di Dio. Proprio questo afferma Papa Benedetto XVI: “Il contenuto centrale del Vangelo è: il Regno di Dio è vicino. […] Questo annuncio infatti rappresenta il centro della parola e dell’attività di Gesù”.1
La Chiesa si identifica con il Regno di Dio
È comune e corrente tra i commentatori e gli studiosi, evidenziare il fenomeno che si verifica con i fondatori: se, dopo la loro morte, la loro opera si mantiene tale e quale è stata durante la loro vita, oppure si sviluppa maggiormente, questo è un segnale molto significativo dell’esistenza di un autentico soffio dello Spirito Santo sulla loro persona e la loro attuazione. Si tratterà, in questo caso, di un manifesto desiderio della Provvidenza Divina, di promuovere la fissazione e l’espansione di quell’opera.
Ora, nessuna istituzione ha avuto tanto successo nel corso dei millenni, e più ancora ne avrà in futuro, come la Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Si può ritrovare nell’ordine della creazione qualcosa che possa servire da perfetta analogia a questo grandioso fenomeno? Per questo, sarà insufficiente la vitalità contenuta nel seme e nel grano di senape, oggetto della predicazione del Signore racchiusa nel Vangelo di questa domenica. Sarà ancora più insufficiente se consideriamo i trionfi della Santa Chiesa fino al giorno del Giudizio Finale.
Mai si potrà comparare il potenziale dinamismo che esiste in un seme – se non come un pallido simbolo della realtà – con l’intima, energica e perseverante azione dello Spirito Santo sui fedeli. Non esiste alcun ostacolo che impedisca la forza trionfante della Chiesa, poiché essa si identifica con il Regno di Dio per questo dovrà ad un certo momento conquistare il mondo intero.
Questo fatto è stato già registrato in certi periodi della Storia, ma molto di più lo sarà quando per volontà di Dio tutti conosceranno lo splendore della realizzazione delle parole di Nostro Signore: “le potenze degli inferi non prevarranno su di essa” (Mt 16, 18). Ancora una volta, si dovrà riconoscere in questa occasione quanto è patente la divinità del suo Fondatore.
II – La parabola del seme
Nel Vangelo dell’11ª Domenica del Tempo Ordinario, Gesù propone due parabole per mostrare il miracoloso sviluppo della sua Chiesa e la grande efficacia della Parola di Dio che, gettata nelle anime, germina e cresce spontaneamente, producendo abbondanti frutti.
La prima di queste, molto breve, risulta soltanto nel Vangelo di San Marco, essendo omessa da San Matteo e San Luca; il suo senso, pertanto, è profondo e pervaso di ricchezze.
In quel tempo, 26 Gesù diceva [alla folla]: “Così è il Regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno…”
Nell’autorevole opinione dei Santi Padri, presentata e commentata da Maldonado,2 il Regno di Dio è, nella sua essenza, la Chiesa. Per quanto concerne il seme, essi la interpretano come facente parte della predicazione della Parola di Dio. La terra, a sua volta, rappresenta chi ascolta, con una piccola differenza in relazione alla parabola del seminatore, narrata poco prima: in questa sono contemplati soltanto i buoni ascoltatori, quelli che mettono in pratica l’insegnamento evangelico, ottenendo una considerevole raccolta.
Infine, l’uomo che getta il seme è lo stesso Cristo, venuto al mondo “per dare testimonianza alla verità” (Gv 18, 37), come Egli stesso affermerà davanti a Pilato. Tuttavia, data l’intima unione del Signore Gesù con i suoi ministri, e con tutti coloro che col Battesimo diventano figli di Dio, quest’uomo della parabola rappresenta anche coloro che, in nome di Gesù, si dedicano all’annuncio del Vangelo.
Efficacia della Parola di Dio
27 “…dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa”.
Dio ha creato le cose materiali in modo che, analizzando la loro simbologia, l’uomo potesse elevarsi fino ai più alti piani della creazione. Così, il dinamismo che esiste nei vegetali è una bella immagine dell’azione di Dio nelle anime, molte volte silenziosa e impercettibile, come afferma San Gregorio Magno: “il seme germina e cresce senza accorgersene, perché, sebbene ancora non possa notare la sua crescita, la virtù, una volta concepita, cammina verso la perfezione, e la terra di per sé fruttifica, perché, con la grazia, l’anima dell’uomo si eleva spontaneamente alla perfezione del bene operare”.3
Non dimentichiamoci che, secondo quanto scrive Maldonado, “l’obiettivo di tutta la parabola è dimostrare la grande efficacia della Parola di Dio, la quale, per il semplice fatto di cadere nella terra, come è detto nella parabola precedente, anche se non si faccia altro, subito sboccia di per sé, cresce e produce frutto”.4
Più avanti, il dotto gesuita completa: “Proponendo questa parabola, sembra che Cristo avesse l’intenzione non soltanto di dimostrare la grande forza innata della Parola di Dio per germinare di per sé, ma anche di togliere agli Apostoli ogni occasione futura di vanagloria”.5 Il che equivale a dire, con le parole dell’Apostolo: “Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere” (I Cor 3, 7).
Necessità della nostra libera cooperazione
La forza latente in un seme per far germinare la pianta è immagine del vigore stesso della grazia e dei carismi, quando operano nell’anima umana. Ma affinché questo seme nasca e dia frutto, è necessaria la nostra libera cooperazione.
Su questo, afferma il Cardinal Gomá: “Questa terra, commenta Crisostomo, è la nostra libera volontà, perché il Signore non fa tutto nell’opera della nostra salvezza, ma la affida alla nostra libertà, in modo che l’opera sia spontanea. È vero che senza Dio non possiamo fare nulla nell’ordine soprannaturale, ma è certo anche che Egli non ci salverà senza la nostra libera cooperazione. Il frutto della vita eterna è del seme e della terra, di Dio e dell’uomo”.6
In modo analogo, non possono i predicatori non preoccuparsi dei fedeli nei quali hanno seminato: “Tuttavia, qualcuno chiederà: forse Cristo ha voluto insegnare che i predicatori del Vangelo possano rimanere tranquilli, una volta che abbiano gettato nelle anime il seme della Parola di Dio? Assolutamente no. Devono, al contrario, esortare, animare e rafforzare con frequenza coloro che hanno udito la Parola di Dio, in modo che conservino quello che già hanno e non accada che un altro riceva la sua ricompensa o che il demonio estirpi il seme”.7
Interessante è notare, infine, il problema sollevato da Maldonado sull’apparente assenza del seminatore principale, che simbolizza Cristo: “Qualche lettore potrebbe avere dei dubbi su come intendere il ruolo di Cristo in questa parte della parabola, poiché, essendo Lui il principale seminatore della Parola di Dio, se, dopo averla seminata, non facesse nulla nell’animo degli ascoltatori – irrigando loro con la sua grazia, ecc. –, essa non germinerebbe mai più ne darebbe frutto. La parabola si compie in Cristo in certo qual modo, giacché è Egli stesso che, come Uomo, semina e, come Dio, la fa fruttificare. In quanto Uomo, getta il seme, come dopo hanno fatto gli Apostoli, e in quanto Dio, la fa crescere con la sua grazia, come se irrigasse l’anima con una pioggia continua”.8
Le tappe della vita spirituale 28
“Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga…”
Ricca di simbolismo è anche la crescita della pianta. Dopo una lenta germinazione, spunta dalla terra lo stelo, tenero e gracile all’inizio, ma già alla ricerca del Sole. A poco a poco esso va crescendo e sorge una spiga, nella quale si formano i chicchi, frutto desiderato dal seminatore.
Alcuni autori – tra i quali San Beda9 e San Gregorio Magno10 – interpretano questa parte della parabola come un’allusione alle varie tappe della vita spirituale. Simile al grano appena germinato, l’anima, nel momento in cui sboccia la vocazione, è avida di insegnamento e di dottrina, incantata da quello che la conduce al Cielo. Frattanto, la radice necessaria a dar solidità ai buoni propositi ancora non si è formata in lei; soltanto dopo aver affrontato coraggiosamente le tempeste e i venti delle difficoltà, diventerà capace di produrre il frutto gradevole delle buone opere.
San Girolamo, a sua volta, così sintetizza sulla base di questo passo le tre età della vita interiore: prima la pianta, “cioè, il timore, perché l’inizio della saggezza è il timor di Dio (cfr. Sal 110, 10). ‘Poi la spiga’, che significa, la penitenza che piange. ‘E per ultima il grano nella spiga’, ossia, la carità, perché la carità è la pienezza della Legge (cfr. Rm 13, 10)”.11
Le due venute di Cristo
29 “…e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”.
In questo versetto, il proprietario della piantagione entra nuovamente in scena. In realtà, non si era assentato, ma continuava a vegliare sui chicchi che aveva seminato, come indica Maldonado: “Cristo non smette di prendersi cura del campo già seminato, ossia, noi. Al contrario, ci difende con la sua grazia, perché non accada che satana porti via il seme della Parola di Dio in noi concepita”.12
Pertanto, soltanto in due momenti della Storia diventa palese e manifesta la presenza del Padrone della Messe: la prima volta, per seminare il grano del Vangelo, quando è venuto per salvare e non per condannare (cfr. Gv 3, 17), la seconda, quando apparirà “il Figlio dell’Uomo nella sua maestà” (Mt 25, 31) per giudicare i vivi e i morti; allora Egli getterà la sua falce affilata sopra la messe della Terra, e questa sarà falciata (cfr. Ap 14, 14-16).
III – La parabola del granello di senape
Se nella parabola del seme Gesù ha voluto sottolineare il dinamismo intrinseco della Parola di Dio, alimentata dalla grazia, in quella del granello di senape è posto in rilievo il suo grande potere trasformatore.
Padre Manuel de Tuya così commenta: “Si stabilisce qui la comparazione tra ‘il minore’ che diventerà ‘il maggiore’. Succederebbe allo stesso modo con il Regno: all’inizio, è minimo, sono poche le persone che si uniscono a lui, ma diventerà così grande che in lui ci staranno moltitudini”.13
Aggiunge il Cardinal Gomá: “L’obiettivo della parabola è dimostrare la forza di espansione del seme del Regno di Dio, che Gesù ha portato al mondo. Se, secondo la prima parabola, si salva appena una parte di questi semi, e anche questi, conforme la parabola del loglio, mescolati con i semi cattivi, che cosa resterà del Regno di Dio? Con questa parabola [del granello di senape], Gesù rimuove ogni timore: la forza del seme è immensa e vincerà tutti gli ostacoli, nonostante sia piccola”.14
Un piccolo grano di mirabile potenza vegetativa
30 Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il Regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno…”
Gesù Si serve di una immagine legata alla terra molto comune in Israele e in tutto l’Oriente. La piccolezza del grano di senape era proverbiale tra i Giudei, non a caso il Divino Maestro lo ha scelto come raffigurazione del Regno di Dio, in modo da rendere ancora più pregnante l’esempio proposto.
Sebbene piccolo, questo seme possiede una mirabile potenza vegetativa. Negli orti della Palestina, come spiega Fillion,15 la senape era frequentemente coltivata, per le sue proprietà medicinali e il Talmud descrive le sue piante, veri e propri alberi capaci di raggiungere, a volte, tre metri di altezza e di sopportare il peso di un uomo, senza rischio che si spezzassero i rami.
Il simbolismo del granello di senape è interpretato in diversi modi dai commentatori. Secondo il Cardinal Gomá, esso “simbolizza Gesù, che il Padre ha inviato al campo di questo mondo nella figura di un servo, ‘rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente’ (Sal 21, 7)”.16 Nello stesso senso si pronuncia San Pietro Crisologo: “Cristo è il Regno dei Cieli che, come granello di senape piantato nel giardino di un corpo virginale, Si è propagato per tutto l’orbe nell’albero della Croce, e fu veramente grande il sapore del suo frutto che si consumò con la Passione, affinché ogni vivente lo degusti e con esso si alimenti”.17
Sant’Ambrogio aggiunge: “Lo stesso Signore è un granello di senape. Egli era lungi da ogni tipo di colpa, tuttavia, come nell’esempio del granello di senape, il popolo, per il fatto di non conoscerLo, non ha avuto contatto con Lui. E ha preferito esser triturato, in modo da poter dire: ‘Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo’ (II Cor 2, 15)”.18
Triturato, il grano espande la sua forza
32a “…ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto…”
Il granello di senape è anche simbolo della predicazione evangelica e della Chiesa, iniziata da Gesù Cristo, continuata dai discepoli nella Giudea e poi nel mondo intero.
Chi avrebbe mai creduto che quel pugno di uomini semplici che seguivano Gesù, sarebbe stato sufficiente a render nota, amata e praticata in tutta la Terra la nuova dottrina che il Maestro aveva loro insegnato? Soltanto un’audacia divina sarebbe capace di concepire questo piano e di infondere nelle anime dei suoi seguaci il coraggio per eseguirlo.
La Chiesa sarebbe nata tale quale il seme che, nel dividersi dà luogo all’albero. Gesù Cristo aveva profetizzato ai suoi discepoli difficoltà, sofferenze e persecuzioni.
Afferma Sant’Ambrogio: “Senza dubbio, il granello di senape è qualcosa di vile ed esiguo, ed espande la sua forza solamente quando è triturato. Così anche la fede: all’inizio sembra una cosa semplice, ma, messa alla prova dalle avversità, dilata la grazia del suo valore al punto di inebriare col suo profumo tutti coloro che ascoltano o leggono qualcosa a suo riguardo”.19 Con letteraria bellezza è indicata da un autore francese del secolo XVIII la necessità che ha ogni anima di soffrire: “Questo granello non ha forza mentre rimane intero. Quando, però, è macinato o schiacciato, acquista una viva e piccante acredine. Ecco un bel simbolo del cristiano in questa vita: quando egli non ha nulla da soffrire, costuma non aver forza né vigore; ma quando è perseguitato, oppresso, calpestato sotto i piedi, quando soffre, quando è umiliato e ridotto a polvere, ecco allora la sua fede diventa più viva, il suo amore più ardente, il suo cuore più infiammato dal fuoco dello Spirito Santo, nel quale egli si è arroventato – questo è che gli dà nuovo vigore”.20
L’albero della Chiesa, riposo per i saggi
32b “…e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”.
Collocando questo bel dettaglio alla fine della parabola, Gesù prevedeva la vittoria della sua dottrina anche tra i più potenti. I geni, i filosofi e i saggi, rinunciando alla vanità della loro scienza, sarebbero andati a riposare all’ombra della parola del Vangelo, l’unica che illumina e porta la pace della coscienza.
Su questo, scrive Teofilatto: “Molto breve è, di fatto, la parola del Vangelo: ‘Credi in Dio e sarai salvo’. Predicata nella Terra, frattanto si è dilatata e aumentata in tal modo che gli uccelli del cielo – cioè, gli uomini contemplativi e dotati di vero intendimento – sarebbero venuti ad abitare alla sua ombra. Quanti saggi, abbandonando la saggezza dei pagani, hanno trovato nel Vangelo il loro riposo!”.21
Pittorescamente, il Cardinal Gomá completa: “Gli uccelli sono golosi del seme di questo arbusto e si posano tra i suoi rami per mangiarlo. […] Rappresentano, questi uccellini, i popoli del mondo intero, che vengono a posarsi nell’albero della Chiesa per ricevere i suoi benefici”.22
IV – Sforzatevi di raggiungere le cose del Cielo
33 Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Dio rispetta ciò che ha creato; così, avendo dato all’uomo la libertà, non gliela toglie,imponendogli i suoi disegni. Proprio al contrario, gli permette sempre di aderire al bene, senza costringerlo in nulla. È chiaro che, se l’uomo rifiuta le vie del bene e opta per quelle del male, perde la sua libertà. Dio procede in questo modo affinché sia possibile premiarlo con i suoi doni e benefici.
Questa è una delle ragioni essenziali che hanno portato il Signore Gesù ad insegnare attraverso le parabole, invece di usare un linguaggio diretto e coercitivo. Di fronte alla parabola, facilmente qualcuno potrà dare un’interpretazione differente da quella reale, e con questo non si renderà così condannabile quanto lo sarebbe se rigettasse in maniera categorica un invito di Dio. La parabola è il miglior mezzo per permettere l’uso meritorio della libertà che Egli ha concesso all’uomo.
Per questo Nostro Signore parlava a tutti attraverso metafore, aiutando l’intelligenza degli Apostoli nell’intimità, spiegando loro il significato più profondo di quanto aveva detto. Così, rafforzati dalla grazia da Lui creata e infusa nel fondo delle loro anime, si trovavano con maggiori possibilità di aderire virtuosamente a tutti gli inviti che Cristo faceva in forma molto generica e insinuata all’opinione pubblica che Lo ascoltava.
Chi, analizzando queste due parabole sotto il punto di vista meramente umano, non salisse fino al loro significato più alto, circoscriverebbe la sua capacità di relazionarsi con Dio e sarebbe più preoccupato per le cose “di quaggiù” che non per quelle “di lassù” (Gv 8, 23). Rimarrebbe, pertanto, al di fuori del consiglio che ci dà San Paolo: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della Terra”. (Col 3, 1-2).
Molte volte, contemplare un bell’edificio riflesso nelle placide acque di un lago potrà incantare chi in questo fissi la sua attenzione. Ma questo stupore ha il suo fondamento nel fatto che l’immagine è un riflesso di qualcosa di reale; se, per assurdo, ci fosse appena la sua proiezione, l’incanto non esisterebbe, poiché l’uomo avrebbe la nozione chiara che, muovendo le acque, quella bellezza svanirebbe. Pertanto, trattandosi di una realtà specchiata nelle acque, queste possono esser mosse senza che in nulla soffra l’originale che vi è proiettato, l’edificio continuerebbe ad esistere inalterato.
Questo è proprio il ruolo dei simboli a cui Gesù pone mano per istruire i suoi ascoltatori, che sia quello dei semi o quello del seminatore. Per quanto smettessero di esistere, il loro Creatore è eterno, niente potrà modificarLo. Non ci può essere nulla di più benefico nella contemplazione dei bei riflessi, che quello di elevare il nostro sguardo a Colui che è la causa efficiente, formale e finale di tutto l’universo.
1) BENEDETTO XVI. Gesù di Nazaret. Dal Battesimo alla Trasfigurazione. Milano: Rizzoli, 2007, p.70 2) Cfr. MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios. Evangelios de San Marcos y San Lucas. Madrid: BAC, 1951, v.II, p.98 3) SAN GREGORIO MAGNO. Homilías sobre Ezequiel. L.II, hom. 3 [XV], n.5. In: Obras. Madrid: BAC, 1958, p.418. 4) MALDONADO, op. cit., p.98. 5) Idem, p.101. 6) GOMÁ Y TOMÁS, Isidro. El Evangelio explicado. Años primero y segundo de la vida pública de Jesús. Barcelona: Rafael Casulleras, 1930, v.II, p.274. 7) MALDONADO, op. cit., p.100. 8) Idem, p.101. 9) Cfr. SAN BEDA. In Marci Evangelium Expositio. L.I, c.4: ML 92, 172. 10) Cfr. SAN GREGORIO MAGNO, op. cit., p.418. 11) SAN GIROLAMO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. Catena Aurea. In Marcum, c.IV, v.26-29. 12) MALDONADO, op. cit., p.99. 13) TUYA, OP, Manuel de. Biblia Comentada. Evangelios. Madrid: BAC, 1964, v.V, p.654. 14) GOMÁ Y TOMÁS, op. cit., p.276-277. 15) Cfr. FILLION, Louis-Claude. Vida de Nuestro Señor Jesucristo. Vida pública. Madrid: Rialp, 2000, v.II, p.188. 16) GOMÁ Y TOMÁS, op. cit., p.277. 17) SAN PIETRO CRISOLOGO. De parabola grani sinapsis. Sermo XCVIII: ML 52, 475. 18) SANT’AMBROGGIO. Tratado sobre el Evangelio de San Lucas. L.VII, n.179. In: Obras. Madrid: BAC, 1966, v.I, p.438-439. 19) Idem, n.178, p.438. 20) PERDOUX, Eugène; PACCORI, Ambroise. Épîtres et Évangiles avec des explications. Paris: Jean Mariette, 1727, t.I, p.246. 21) TEOFILATTO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., v.30-34. 22) GOMÁ Y TOMÁS, op. cit., p.277.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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