La chiamata dei figli di Zebedeo

Vangelo

14 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva: 15 “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. 16 Passando lungo il Mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17 Gesù disse loro: “Venite dietro a Me, vi farò diventare pescatori di uomini”. 18 E subito, lasciarono le reti e Lo seguirono. 19 Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. 20 E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a Lui (Mc 1, 14-20).

Si deve dare tempo non al tempo,  ma all’eternità

Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP

La chiamata alla conversione e l’annuncio del Regno ci collocano nella prospettiva di un “tempo abbreviato” che deve esser vissuto in funzione dell’eternità.

I – Vivere nel tempo nella prospettiva dell’eternità

  La comunicazione di Dio con l’uomo — in particolare negli episodi più salienti narrati nella Sacra Scrittura — è il punto centrale a partire dal quale si snoda la Storia. Come sarebbe auspicabile assistere a tutte le meraviglie dell’azione divina nel corso dei secoli, dal grande punto di vista dell’eternità, ottica che abbandoneremmo solo nel breve periodo tra la nascita e l’istante della morte! Ma, visto che viviamo dentro il tempo, questo non è possibile. Tuttavia facciamo anche parte della Storia, e tutto quello che è venuto prima di noi, come il presente e il futuro, ha un’intima relazione con noi. Come, allora, possiamo associarci ai passi di Dio in tutte le epoche?

La Liturgia permette di rivivere la Storia della salvezza

  Ecco la meraviglia della Liturgia! Infatti, essa ci fa partecipare non solo agli eventi celebrati, ma anche alle stesse grazie concesse in ognuno di essi, come afferma Papa Pio XII nell’Enciclica Mediator Dei: “L’Anno Liturgico, che la pietà della Chiesa alimenta e accompagna, non è una fredda e inerte rappresentazione di fatti che appartengono al passato, o una semplice e nuda rievocazione di realtà d’altri tempi. Esso è, piuttosto, Cristo stesso, che vive sempre nella sua Chiesa e che prosegue il cammino di immensa misericordia da Lui iniziato con pietoso consiglio in questa vita mortale, quando passò beneficando (cfr. At 10, 38) allo scopo di mettere le anime umane al contatto dei suoi misteri, e farle vivere per essi; misteri che sono perennemente presenti ed operanti, non […] [in] modo incerto e nebuloso”.1

  Un mese e mezzo fa si è aperto il nuovo Ciclo Liturgico con il periodo dell’Avvento, che rivive nel corso di quattro settimane — dedicate alla penitenza e alla richiesta di perdono per le nostre colpe — l’attesa dell’umanità per l’arrivo del Messia. Ci siamo legati, così, ai millenni che seguirono l’uscita di Adamo ed Eva dal Paradiso fino alla nascita del Redentore. Esultando di gioia per la certezza che un cambiamento si sarebbe verificato e le cose avrebbero assunto un’altra prospettiva, abbiamo accolto Gesù nella notte di Natale, siamo andati a farGli visita con i pastori e i Re Magi, siamo fuggiti con Lui in Egitto, e Lo abbiamo incontrato nel Tempio, separato dalla Madonna e da San Giuseppe. Più tardi abbiamo assistito al suo Battesimo, la cui commemorazione conclude le feste e introduce il Tempo Ordinario, in cui contempleremo durante i mesi seguenti, l’inizio della vita pubblica di Nostro Signore, i miracoli da Lui realizzati, l’indignazione dei farisei nel percepire la diffusione di una dottrina nuova dotata di potenza (cfr. Mc 1, 27), differente da tutto quanto insegnavano, e l’insicurezza e l’invidia che li porta a voler uccidere il Figlio di Dio.

  Tempo Ordinario significa tempo di lotta, di sforzo nel compimento del dovere, di abnegazione, di strappare le nostre vanità, misure fondamentali per la formazione del carattere. Non è per caso che in questa 3ª Domenica sentiamo il Divino Maestro dichiarare: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino”.

  Che tempo è questo? Qual è il tempo che stiamo vivendo? Avanzano senza fermarsi le lancette dell’orologio, si succedono i secondi, i minuti scorrono. La nostra vita è regolata dall’attesa de gli istanti che verranno e del domani… Che messaggio ci porta questa Liturgia quando parla della creatura tempo, mentre ci invita a entrare nel Regno di Dio?

La predicazione di Giona

Profeta Giona

  Nella prima lettura (Gn 3, 1-5.10) Dio ordina al profeta Giona, per la seconda volta, di predicare a Ninive, una missione che, come si legge nei capitoli precedenti, egli accetta a malincuore. Convinto che i suoi abitanti non si sarebbero convertiti, forse egli pensava che gli ammonimenti almeno sarebbero serviti come elemento per condannarli, e per questo partì con un impeto di distruzione, tanto più che i niniviti erano allora annoverati tra gli avversari degli Ebrei. Siccome era una città dedita ai vizi e con concezioni religiose deviate, predire il suo castigo finiva per costituire un diletto per Giona. Grande era l’estensione di Ninive, al punto che erano necessari tre giorni per percorrerla, ma il profeta non risparmiò sforzi per proclamare: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta” (Gn 3, 4).

  Ora, il re e il popolo presero sul serio la sua parola: “credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli” (Gn 3, 5). Perché agirono così? Perché il Signore mostrò loro la sua via, e la sua verità li guidò e condusse, come recita il Salmo Responsoriale (Sal 24, 4a.5a) della Liturgia di oggi. In questo modo essi acquisirono una nozione chiara della direzione da seguire, e corrisposero alla grazia, attirando la benevolenza del Cielo: “Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio Si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece” (Gn 3, 10).

  In questa domenica la Chiesa desidera che, sull’esempio dei niniviti, anche noi rispondiamo alla voce di Gesù che ci esorta: “Convertitevi e credete nel Vangelo”.

II – Il solenne annuncio del Regno:  “Convertitevi!”

14 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva: 15 “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”.

La prigione di San Giovanni Battista

  Il Divino Maestro esercitava il suo ministero in modo discreto, in concomitanza con gli ultimi mesi della predicazione del Precursore. Secondo il racconto dell’ Evangelista San Giovanni — oggetto della considerazione della Liturgia della scorsa domenica (cfr. Gv 1, 35-42) —, in questo periodo Cristo incontrò coloro che successivamente avrebbero integrato il numero dei Dodici, quando furono da Lui chiamati in maniera definitiva, come riferisce San Marco nei prossimi versetti.

  La notizia della prigionia di San Giovanni Battista costituì il segnale atteso da Gesù che era giunta l’ora determinata dal Padre per dare inizio alla sua vita pubblica, aprire le cateratte della grazia e accentuare il tono della sua voce, predisponendo le anime al suo apostolato. “Non appena consegnato Giovanni” — commenta San Girolamo — “subito Lui stesso comincia a predicare. Con la Legge in declino nasce, di conseguenza, il Vangelo”.2 A partire da questo momento non ha nessun’altra preoccupazione, che quella di compiere la missione redentrice che Gli era stata affidata e mostrare la via della salvezza. Qual è questa via?

  In virtù dell’unione ipostatica, il Signore Gesù è Dio e Uomo vero; c’è in Lui una misteriosa giunzione tra le due nature, nella Persona del Verbo, che la nostra intelligenza mai comprenderebbe senza un dono divino: la fede, in Terra, e la visione beatifica, nell’eternità. Come Uomo, Egli dirà di Se stesso: “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Gv 14, 6). Così, la richiesta di Davide, ripetuta nel Salmo Responsoriale — “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri” —, diventa in Lui pienamente realizzata. Nel formulare questo anelito mancava al re-profeta l’idea esatta, come abbiamo oggi, di quale fosse questa Via. A noi che la conosciamo, è, dunque, indispensabile una conversione.

La chiamata alla conversione e la prospettiva dell’eternità

  Convertirsi significa cambiare vita, prendere una direzione differente da quella che si era seguita, come fecero appunto i niniviti prima della predicazione di Giona. Convertirsi significa uscire da una situazione materialistica, naturalistica e umana, per assumere una postura angelica, soprannaturale e divina; dimenticare i problemi banali per fissarsi in una prospettiva nuova, non più quella del tempo, ma quella dell’eternità, cioè, quella del Regno di Dio. A chi di noi è stato rivelato il momento della morte? Neppure una persona molto giovane sa se durerà tanti anni…

  Quando riceviamo il Battesimo, passiamo dalla condizione di pure creature umane a quella di figli di Dio. Nell’istante in cui le acque battesimali sono cadute sulle nostre teste, tutti i peccati che potessimo aver commesso, se siamo stati battezzati da adulti, sono stati perdonati — anche i peggiori crimini — e la nostra anima è stata rivestita di una bianca tunica. È in questo stato che dobbiamo mantenerla durante la vita intera; e se succede che un pezzo di questa veste di innocenza rimanga impigliata in uno steccato o che sia macchiata dal fango, basta un esame di coscienza coronato da una richiesta di perdono e l’assoluzione sacramentale perché sia restaurata. L’importante è conservarla sempre candida, perché in qualsiasi momento — anche oggi stesso! — possiamo esser chiamati a render conto e, senza questa prerogativa, non saremo accettati nel Regno di Dio. Ecco quello che la Liturgia ricorda con le parole: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino”.

  Così sorge, nella 3ª Domenica del Tempo Ordinario, questa creatura di Dio: il tempo. E visto che ai suoi occhi il tempo non esiste, perché tutto è presente, in quanto figli di Dio noi siamo invitati a vivere in funzione dell’eternità.

III – Un esempio di cambiamento di vita

  Un bell’esempio di conversione ci è offerto ancora dal Vangelo, nel quale Nostro Signore convoca quattro pescatori — Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni — perché cambino vita, lavoro e situazione.

La psicologia del pescatore

16 Passando lungo il Mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori.

  È curioso osservare che la scelta sia ricaduta su dei pescatori. Gesù avrebbe potuto designare sacerdoti, sinedriti, membri delle scuole rabbiniche — le università dell’epoca — o persone qualsiasi di maggior levatura e influenza. Ma volle pescatori…

  Analizziamo le caratteristiche del pescatore. Perché abbia successo bisogna che abbia fiuto, un certo tatto, un “sesto senso” proprio della sua professione. Quando si sveglia la mattina, dal vento, dall’atmosfera, dall’odore del mare e dal tipo di onde, sa se il mare è pescoso e favorevole o se aleggia una minaccia di burrasca, rischiosa per lui stesso; sa quali i punti dove gettare la rete, e quelli invece che devono essere evitati. Egli sa che specie di pesce corrisponde a ogni stagione dell’anno, quando è giunto il periodo della deposizione delle uova e il periodo in cui i pesci salgono e distingue anche le abitudini dei più svariati banchi di pesci. Tutta questa conoscenza finisce per costituire una sua seconda natura.

  Egli si dedica alla pesca per la sua sussistenza e non per puro diletto. Inoltre, tocca al pescatore metter su un’impresa, perché si pretende da lui che adegui le arti della pesca al rapporto con la clientela, pertanto, non solo se ne intenda di pesca, ma sappia corrispondere ai desideri dei consumatori della città. Per questo la sua vita sta tra l’esercizio dell’attività e gli interessi umani, cosa che gli offre, oltre alla percezione delle acque, un fine senso psicologico. Se sarà un ottimo pescatore, ma un cattivo venditore, o il contrario, il suo mestiere si tradurrà in un disastro. Ora, è tra i pescatori che Cristo elegge i suoi. Perché?

Pescatori a Sainte-Adresse

La grazia non distrugge la natura, ma la perfeziona

17 Gesù disse loro: “Venite dietro a Me, vi farò diventare pescatori di uomini”.

  Gli Apostoli avrebbero dovuto, da quel momento in poi, pescare anime, non con lo scopo di ottenere lucro, ma per consegnarle a Dio. Egli, che “non sopprime la natura ma la perfeziona”,3 avrebbe versato le sue grazie sulle qualità umane dei discepoli al fine di trarne profitto, come evidenzia Fillion: “Le funzioni che affiderà loro, dopo averli preparati gradualmente, di certo non saranno prive di somiglianza con il mestiere in cui fino a quel momento si erano esercitati. […] In esso avevano imparato la pazienza e il lavorare con coraggio”.4 Il soprannaturale avrebbe elevato e perfezionato le attitudini e i doni dei pescatori, offrendo loro straordinarie possibilità nel compimento della loro vocazione. Non era, infatti, il caso che il Divino Maestro andasse in cerca di altri se, in quel tempo, i pescatori erano considerati tra coloro che possedevano maggior senso psicologico, maggior contatto con la natura e una stupenda visione naturale dell’opera della creazione. Gesù preferì questi perché, insomma, erano ideali per dare inizio alla formazione del Collegio Apostolico e della Chiesa.

La chiamata di Simone e Andrea

  In questo episodio riconosciamo una prova della sapienza di Dio e della sua bontà previdente: in due barchette minuscole, navigando su un piccolo lago con quattro pescatori, c’era la culla della Religione che avrebbe trasformato la Terra. Sì, “con la rete della santa predicazione tolsero gli uomini dal mare profondo dell’infedeltà, conducendoli alla luce della Fede. Questa pesca è alquanto mirabile, perché i pesci quando sono tirati su muoiono lentamente, invece gli uomini catturati dalla parola della predicazione sono vivificati”,5 afferma San Remigio. Chi avrebbe il coraggio di dire ai Greci, ai Romani o anche ai barbari dell’epoca, che questi poveri lavoratori avrebbero trionfato sulle civiltà ritenute grandiose e sulle loro rovine avrebbero costruito un impero superiore, la Civiltà Cristiana, con tutte le ricchezze e meraviglie stupende che essa avrebbe prodotto nel corso dei secoli? Sant’Agostino spiega la ragione più elevata di questo modo di procedere: “Se Dio avesse scelto un uomo saggio, forse questa elezione sarebbe stata attribuita alla sua sapienza. Il Signore Gesù, che voleva rompere il collo dei superbi, non cerca il pescatore con l’oratore, ma conquista l’imperatore col pescatore”.6

  Questo modo di agire di Gesù rivela una caratteristica delle vocazioni suscitate da Dio: hanno un aspetto generico — la sua gloria, cui la totalità delle persone è destinata — e un altro specifico. Ognuno è chiamato a una determinata missione, che nessuno svolgerà così bene quanto lui, ed è dotato di qualità umane ordinate al compimento di quell’obiettivo, per il quale è stato appositamente designato da Dio.

  L’espressione usata — “pescatori di uomini” —, tuttavia, è complessa, poiché gettare la rete in mare per pescare è cosa ben diversa dal lanciarla in una piazza per conquistare anime. Essere pescatore di uomini non rende denaro, mentre di pesci, sì, soprattutto nella società giudaica di allora, dipendente in grande misura dalla pesca e dal pascolo. Conoscitori del linguaggio analogico e parabolico di Gesù, i quattro capirono perfettamente il significato più profondo di quello che veniva detto loro.

Lunga preparazione per un reincontro definitivo

18 E subito, lasciarono le reti e Lo seguirono. 19 Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. 20 E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a Lui.

  Essendo l’Evangelista sintetico per eccellenza, San Marco non racconta i primi contatti di Nostro Signore con Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, che precedettero la scena narrata in questi versetti. Incontro di intensa emozione, incontro le cui conseguenze avrebbero avuto una portata straordinaria, un impatto incalcolabile. Sebbene sembri casuale, in realtà fu disposto da tutta l’eternità dal braccio onnipotente di Dio. È evidente che Gesù non Si limitò soltanto a dire “SeguiMi!”, poiché ci fu un processo psicologico che preparò a questa consegna quei discepoli che Lui stesso aveva già messo alla scuola di San Giovanni Battista. Si tratta, infatti, degli stessi che accompagnarono Gesù quando Egli passò per le rive del Giordano, dove il Precursore stava battezzando, come è stato contemplato nella 2ª Domenica del Tempo Ordinario. Essi credevano che Gesù fosse il Messia promesso, ma non erano divenuti suoi discepoli in modo incondizionato e definitivo, come evidenzia padre Augustin Berthe: “Dopo aver seguito per qualche tempo questo nuovo Maestro, i quattro pescatori erano tornati alle loro reti in attesa delle grandi cose che avrebbe dovuto operare il Liberatore per salvare Israele”.7

  Quanti dialoghi Egli deve aver intrattenuto con i quattro — proprio come nel giorno in cui si conobbero —, mostrando come la professione di pescatori fosse interessante; tuttavia, al posto di accontentarsi di questa, dovevano salire, perché più importante era attirare le anime a Dio, al fine di riformare la faccia della Terra. Una volta maturi, Cristo li incrocia e, mediante una semplice battuta, li spinge ad abbandonare tutto per servirLo e stabilirsi nell’apostolato, unendosi a Lui per sempre. A somiglianza di ciò che abbiamo visto nella prima lettura, essi furono assistiti da un’autentica grazia di conversione.

  Immaginiamo la sorpresa del rincontrarsi, seguita da molta gioia, e la sollecitudine di questi uomini semplici e rudi, ma di cuore ardente verso il Divino Maestro. Senza dubbio ognuno di loro Gli diede, in quel momento, una vera felicità, poiché l’istinto di socievolezza di Gesù-Uomo — sublime, perfetto, elevatissimo, totalmente assunto dalla divinità — Lo portò a commuoverSi quando Si imbatté in coloro che sarebbero stati i suoi Apostoli, i suoi figli. Che “santa invidia” dobbiamo avere di loro!

  In quell’occasione, questi eletti non furono in grado di valutare l’importanza dell’accaduto, né di capire che stavano segnando la Storia. Tuttavia, se essi avessero vissuto tale episodio dopo aver ricevuto tutte le grazie che sarebbero state versate loro più tardi, e godendo, di conseguenza, di un’altissima comprensione della Persona di Nostro Signore, quale non sarebbe stata la loro adesione di entusiasmo e la loro venerazione per il Redentore!

Consegna senza riserve

  In quell’epoca i pescatori costituivano uno status sociale che, lungi dall’essere quello inferiore del popolo, equivaleva alla classe media dei nostri giorni. Zebedeo, padre di Giacomo e Giovanni, possedeva un’impresa — in società con Simone e Andrea (cfr. Lc 5, 10) — e già aveva riunito un certo gruzzolo, come si conclude dal fatto che avesse dei servitori che lo aiutavano. Di conseguenza, rinunciare a quella posizione, lasciando il padre e le reti, era una decisione penosa; seguire Gesù non era intraprendere una carriera con un successo garantito; al contrario, era fare un salto nel buio, abbracciare un’incognita, perché avrebbero vissuto di elemosina, spostandosi incessantemente. Nessuno sapeva che futuro li aspettava, tanto più che Nostro Signore avrebbe detto di Sé: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8, 20).

  Ora, la docilità e il distacco provengono dalla carità. Gli Apostoli fanno un atto d’amore al Maestro, a partire dal quale non appartengono più a se stessi, ma a Lui: sono suoi schiavi, non hanno altra meta che Lui! Dove vanno? Non lo sanno! Neppure chiedono e pensano a questo! Atteggiamento perfetto, infatti Nostro Signore predica: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi”. Un letterato, un dottore della Legge, un fariseo o scriba avrebbe pensato: “Ah, che fiducia ingenua!”. Invece, ci tocca dire: Travolgente abbandono! Che sapienza quella di quei quattro! Che felicità aver detto sì alla grazia, alla vocazione, con questo impeto!

  In questo Vangelo, come anche nella prima lettura della profezia di Giona, vediamo che “la Parola di Dio è viva, efficace” (Eb 4, 12). Essa trasforma, converte e santifica! Più ancora, questa Parola è salvifica, poiché penetra e produce meraviglie, purché sappiamo corrispondere ad essa e siamo flessibili. Tuttavia, se le opponiamo ostacoli non daremo frutto — a meno che Dio, per una misericordia speciale, ci “faccia cadere da cavallo” come fece a San Paolo (cfr. At 9, 4) —, poiché Egli vuole la nostra collaborazione.

Quali sono le nostre “reti”?

La vocazione dei figli di Zebedeo

  Per i discepoli la conversione significò lasciare le reti. Quali saranno le nostre “reti”? Quando il Figlio di Dio ci chiama, quando ci tocca con una grazia nel fondo dell’anima, come rispondiamo a questo appello? In tutte le circostanze della vita Egli ci sta invitando ad maiora. Qual è la nostra reazione?

  Le nostre cerchie sociali, determinate relazioni di amicizia, le faccende quotidiane, a volte ci portano lontano dal vero obiettivo, suggerendoci un sogno naturalista e mondano che non considera l’eternità. Capricci, manie, visioni errate, egoismi, cattive inclinazioni devono esser combattuti e respinti immediatamente, perché “il Regno di Dio è vicino”. L’esempio che ci dà il Vangelo ci spinge ad ascendere ad un livello diverso. In che cosa consiste? A partire dal momento in cui siamo stati elevati al piano della grazia col Battesimo, non possiamo più obbedire ai dettami del mondo, né avere come motore delle nostre azioni interessi personali, vanità e orgoglio. Dobbiamo vivere dei Sacramenti, della preghiera, di tutto quello che ci aiuta nel compimento della nostra vocazione individuale e abbandonare la “rete” che ci lega alle cose terrene, perché la nostra esistenza è diventata un’altra! Siamo “angelizzati”!

IV – Il messaggio paolino:  “il tempo si è fatto breve”

  Nella seconda lettura (I Cor 7, 29-31) dice San Paolo: “il tempo si è fatto breve” (I Cor 7, 29). I bambini hanno l’impressione che il tempo ci metta molto a passare; un mese, è interminabile. Invece, avanzando con l’età, un anno sembra un batter d’occhio… I giorni scorrono rapidamente, e per chi ha esperienza della vita diventano sempre più brevi, consumandosi in un conteggio accelerato regressivo. Infatti, quando si parte da questo mondo il tempo è nulla! E per quanto si venga a scoprire una pillola capace di prolungare la longevità umana fino a 120 o 240 anni, cosa sarebbe in confronto all’eternità?

  Per questo prosegue l’Apostolo: vivano “quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo” (I Cor 7, 30-31). La sua intenzione, in questi versetti, è mostrare che, essendocene motivo, è bene che versiamo lacrime, che siamo contenti, che acquistiamo beni, che usiamo delle cose del mondo che, di per sé, sono lecite; tuttavia, non riponiamo in questo la nostra speranza, né lasciamoci affascinare al punto da dimenticarci di Dio. Giunta l’ora della morte il corpo riposerà nel tumulo e l’anima si troverà davanti a Lui per essere giudicata. Allora, a cosa varrà il tempo? Sappiamo che “passa la figura di questo mondo”. Che giovamento avrà chi è caduto in peccato? In fondo, ecco il messaggio paolino: “Tutto ciò che è legittimo può esser fatto, ma che nessuno ponga in questo il suo cuore. Al contrario, faccia come se non esistesse e abbia gli occhi fissi nell’eternità”.

Lasciamo tutto per abbracciare la santità

  È necessario meditare sul giorno del Giudizio, quando tutti i nostri pensieri verranno a galla. Se corrispondiamo all’invito della Liturgia di questa domenica, confermando il proposito di unirci maggiormente al Salvatore ed essere un esempio di bene, di verità e di virtù per il prossimo, questa buona disposizione peserà sulla sentenza di ognuno di noi.

  Sicuri della bontà del Maestro, supplichiamoLo di darci forza per superare le difficoltà, poiché la via del Cielo non è facile. Convinciamoci che a ogni passo dobbiamo cercare di essere più perfetti e conformare le nostre anime con la sua, per il principio infallibile per cui o progrediamo o diventiamo freddi. Nella vita spirituale non restiamo mai stagnanti: chi non avanza, retrocede!

  Chiediamo, dunque, a San Paolo, San Pietro, Sant’Andrea, San Giacomo e San Giovanni che ci ottengano da Nostro Signore Gesù Cristo la grazia che essi hanno ricevuto: lasciare tutto per abbracciare la via della santità, sia essa in famiglia o in una vocazione religiosa, con coraggio e pieni di fiducia!

1) PIO XII. Mediator Dei, n.150

2) SAN GIROLAMO. Comentario a Mateo. L.I (1,1-10,42), c.4, n.3. In: Obras Completas. Comentario a Mateo y otros escritos. Madrid: BAC, 2002, v.II, p.43.

3) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.1, a.8, ad 2.

4) FILLION, Louis-Claude. Vida de Nuestro Señor Jesucristo. Vida pública. Madrid: Rialp, 2000, v.II, p.22-23.

5) SAN REMIGIO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. Catena Aurea. In Marcum, c.I, v.16-20.

6) SANT’AGOSTINO. In Ioannis Evangelium. Tractatus VII, n.17. In: Obras. Madrid: BAC, 1955, v.XIII, p.239.

7) BERTHE, CSsR, Augustin. Jesus Cristo, sua vida, sua Paixão, seu triunfo. Einsiedeln: Benziger, 1925, p.114.

Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.