In quel tempo, Gesù apparve agli Undici 15 e disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. 16 Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17 Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18 prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno”. 19 Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in Cielo e sedette alla destra di Dio. 20 Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con i segni che la accompagnavano (Mc 16, 15-20).
Saliremo al Cielo in virtù dell’Ascensione!
L’Ascensione di Gesù ci dà la certezza che avremo lo stesso destino se seguiremo il mandato che Egli ci ha dato in questo giorno.
I – La missione di trasmettere il non trasmissibile…
Papa San Pio X, pur fra innumerevoli occupazioni inerenti alla sua condizione di Pastore Universale della Santa Chiesa, aveva preso l’impegno di dare lezioni di catechismo, tutte le settimane, a bambini delle parrocchie di Roma che si preparavano alla Prima Comunione, alle quali partecipavano anche numerosissimi fedeli.1 E affermava qualcosa d’impressionante: per fare un’ora di lezione di catechismo sono necessarie due ore di studio. In modo analogo, un buon predicatore, incaricato di dirigere esercizi spirituali per il periodo di cinque giorni, ha bisogno di dedicarne almeno quindici per organizzarli, selezionare argomenti adeguati e adattarsi alla psicologia del pubblico, al fine di ottenere i frutti desiderati. Identico processo compete a professori, conferenzieri e a tutti coloro che hanno la missione di insegnare, dato che il principio generale è invariabile: sempre quando ci tocca formare altri, dobbiamo apprendere molto più di quello che trasmetteremo e impregnarci del suo contenuto.
È quello che è successo agli Apostoli: Dio li ha scelti affinché fossero testimoni e diffusori del Vangelo nel mondo intero, e per questo era indispensabile che diventassero profondi conoscitori di tutto quanto erano stati chiamati a comunicare. Tuttavia, quello che hanno scritto o detto era una percentuale infima in comparazione con quello che hanno visto e vissuto.
Il fuoco dell’Apostolo: frutto dell’esperienza mistica
Esempio convincente di ciò è la figura di San Paolo. Da dove ha attinto tutto quanto dichiara nelle sue dense lettere? In primo luogo, ha ricevuto una grazia di conversione – quella che produce gli effetti per cui è stata creata (cfr. At 9, 1-19; 22, 4-16; 26, 10-18; Gal 1, 13-17). Egli andava a catturare cristiani nella regione di Damasco quando, ancora in cammino, Nostro Signore lo fece “cadere da cavallo” e gli chiese: “‘Saulo, Saulo, perché Mi perseguiti?’. Rispose: ‘Chi sei, o Signore?’. Ed Egli: ‘Io sono Gesù, che tu perseguiti. Ma tu alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare’” (At 9, 4-6). In quel momento gli fu concesso il dono della fede, per credere alla voce che lo interpellava; in caso contrario, si sarebbe alzato arrogantemente, sfidando Dio.
A partire da quel momento, il Divino Maestro ha lavorato a fondo la sua anima e ha cominciato a prepararlo a essere il propagatore per eccellenza del Vangelo. Il ritiro fatto da lui nel deserto dell’Arabia (cfr. Gal 1, 17-18) ha avuto un ruolo enorme in questa trasformazione, poiché nel corso di questo periodo, secondo rivelazioni personali, ha goduto della compagnia dell’ Uomo-Dio in Corpo glorioso.
E forse più clamorosa è stata l’estasi in cui San Paolo, rapito al terzo Cielo, “udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare” (II Cor 12, 4). Tali prerogative lo portarono a intraprendere un annuncio della Buona Novella più efficace di quello dei Dodici (cfr. I Cor 15, 10). Potremmo comparare la predicazione dell’Apostolo alla situazione di uno che andasse a raccontare alle persone di una civiltà ipotetica esistente sotto terra quello che succede alla luce del Sole. In questo caso forse ci sarebbe una certa proporzione tra un mondo e l’altro, ma quello che fu concesso a San Paolo di intravvedere è talmente al di sopra di quello che conosciamo, che lui è riuscito appena a dire: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che Lo amano” (I Cor 2, 9).
Simile difficoltà affrontano coloro che, contemplati con grazie mistiche che fanno sentire nel loro intimo chi è Dio, non trovano termini adeguati nel vocabolario umano per spiegare la loro esperienza: “La ragione umana viene meno di fronte a tali incomprensibili misteri, ma i cuori illuminati sentono e sperimentano, già in questa vita, tale realtà ineffabile che non può essere espressa con parole né con concetti e, meno ancora, con sistemi umani. Quello che queste anime riescono a balbettare sconcerta le nostre deboli valutazioni: esse moltiplicano i termini che sembrano più esagerati, senza ancora esser soddisfatte di ciò, poiché vedono sempre che rimangono al di qua, che la realtà è incomparabilmente maggiore di quanto possa esser detto”.2
Il segreto della profondità degli scritti paolini
La Lettera agli Efesini – dalla quale la Liturgia trae un brano per una delle opzioni per la seconda lettura (Ef 1, 17-23) – è chiarificatrice in questo senso. Più che una missiva, essa è quasi un trattato nel quale San Paolo s’impegna a trasmettere quello che gli è stato manifestato riguardo a Nostro Signore e alla gloria eterna che ci è riservata. Le sue affermazioni dimostrano fin troppo bene che lui ha visto più di quello che ha scritto: “il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di Lui” (Ef 1, 17). San Paolo desidera istruire su qualcosa che a tal punto sfugge agli interessi umani, materiali e immediati, che senza lo spirito della sapienza di Dio non può esser assimilato. Insomma, com’è possibile discorrere su ciò che nessuno vede? In che modo trattare di una realtà al di sopra di ogni possibile pensiero umano? Come parlare di quello che dipende da un fenomeno mistico? Per intendere è necessaria una rivelazione proveniente dal Cielo, ed è a questo che egli si riferisce, come indica la costruzione della sua frase in greco: “i due genitivi ‘di sapienza e di rivelazione’ […], dipendenti dal sostantivo ‘spirito’, si completano mutuamente e qui significano una conoscenza intima e profonda di Dio e dei suoi piani di salvezza, alla quale l’uomo, con le proprie forze, non può arrivare”.3 Per questo motivo insiste, chiedendo a Nostro Signore che “possa Egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i Santi” (Ef 1, 18).
La nostra speranza si fonda sul potere di Dio
La speranza! Questa virtù teologale ci fa possedere, per anticipazione, le meraviglie inimmaginabili che riceveremo in pienezza alla fine dello stato di prova e che l’Apostolo indica nella sua lettera.
Dio ci ha predestinato alla salvezza da tutta l’eternità e, prima ancora di essere creati, aveva già deciso la via di santificazione di ognuno, pregustando il momento in cui saremmo nati e avremmo cominciato a percorrerla. Alimentando la nostra speranza in mezzo ai dolori della vita, Egli agisce con noi come chi, avendo costruito un palazzo per noi in un luogo di difficile accesso, ci conduce a lui per un sentiero in mezzo a un bosco, pieno di rovi e stagni atti a causare apprensione. E anela a condurci quanto prima fino a una radura da dove possa mostrare, a distanza, l’edificio, per incoraggiarci a continuare il cammino.
Più avanti, San Paolo menziona “la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza” (Ef 1, 19). Infatti, se la salvezza fosse soggetta ai nostri sforzi noi non andremmo in Cielo, come mostra l’episodio del giovane ricco che, chiamato da Nostro Signore, si rifiutò di abbandonare tutto per seguirLo, cosa che portò Gesù a dire: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio” (Mc 10, 25). L’affermazione sorprese gli Apostoli, che “ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: ‘E chi mai si può salvare?’. Ma Gesù, guardandoli, disse: ‘Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio’” (Mc 10, 26-27). Sì, grazie al suo potere progrediamo nella via della perfezione e, soprattutto, perseveriamo fino al termine della nostra peregrinazione terrena. Ecco la principale ragione che deve muoverci a porre in Lui tutta la nostra speranza. Ma, ci sarà una garanzia che essa sarà ricompensata?
L’Ascensione di Gesù è fonte di speranza
San Paolo risponde a questa questione nei versetti seguenti, alludendo all’evento grandioso commemorato in questa Solennità: Dio “manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei Cieli, al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro” (Ef 1, 20-21).
Con l’Ascensione, magnifico mistero della nostra Fede ricordato in uno degli articoli del Credo – “è salito al Cielo e siede alla destra del Padre” –, Nostro Signore Gesù Cristo ha cominciato a occupare il suo posto alla destra del Padre come Uomo, poiché in quanto Dio già Si trovava presso di Lui da tutta l’eternità.4 EssendoSi unito alla natura umana con l’Incarnazione, desiderava che questa natura, da Lui rappresentata, fosse introdotta nella gloria. Fino ad allora nessuno aveva varcato le soglie del Cielo, inaccessibile agli uomini in conseguenza del peccato originale; solo Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo e i suoi Angeli vi abitavano. Le anime dei giusti rimanevano nel Limbo in attesa della Redenzione e anche lì hanno goduto della visione beatifica, essendo visitati da Nostro Signore nell’istante della sua Morte.5 Ma solo quando Gesù ascese al Cielo questi eletti vi sono penetrati,6 occupando i posti vuoti lasciati da Lucifero e dai suoi seguaci. Preceduta da Nostro Signore Gesù Cristo, quella miriade di anime sante entrò nella gloria, a cominciare da San Giuseppe, suo padre adottivo, seguito da Adamo ed Eva, dai profeti, patriarchi, martiri dell’Antica Legge e una milizia di uomini e donne, che costituivano “un popolo così numeroso tra questa razza giustamente condannata, che viene a occupare il posto vacante lasciato dagli angeli [decaduti]. E, così, questa Città amata e sovrana, lungi dal vedersi defraudata nel numero dei suoi cittadini, si rallegra nel riunire un numero forse maggiore”.7
Essendo Gesù Cristo il “Capo della Chiesa, la quale è il suo Corpo” (Ef 1, 22-23) – come dichiara l’Apostolo, con molta chiarezza e senso teologico –, e visto che il Corpo non può sussistere distaccato dal Capo, anche noi, in quanto suoi membri, entreremo nella Dimora Celeste.8 La sua Ascensione è per noi una prova che seguiremo lo stesso cammino: nel giorno del Giudizio Finale riprenderemo il nostro corpo in stato glorioso e saliremo al Cielo, “incontro al Signore nell’aria” (I Ts 4, 17). La realizzazione di questa promessa è una questione di tempo. Tuttavia, se il tempo esiste per noi nella vita presente e ci fa sentire l’attesa, esso scompare dopo la morte e, di fronte all’eternità, tale intervallo non significa neppure un “battito di ciglia”. Sia questo destino motivo di contentezza ed entusiasmo per noi, secondo la richiesta della Colletta: “Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al Cielo la nostra umanità è innalzata accanto a Te, e noi, membra del suo Corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro Capo, nella gloria”.9
II – L’Ascensione indica il nostro fine e i mezzi per raggiungerlo
Molti sarebbero gli aspetti degni di analisi nella ricca Liturgia di questa Solennità, ma fissiamo l’attenzione su alcuni di loro ancora non commentati in altre occasioni.10 Nel passo degli Atti degli Apostoli scelto per la prima lettura (At 1, 1-11), San Luca, avendo già narrato la vita pubblica di Gesù nel suo Vangelo, si dispone a storicizzare lo sviluppo della Chiesa primitiva, cominciando da alcuni episodi avvenuti nel periodo di quaranta giorni che Gesù passò nella Terra in seguito alla Resurrezione. Delle sue apparizioni ci sono rimasti i racconti fatti dagli evangelisti, tra cui quelli dello stesso San Luca; tuttavia, è certo che non furono le uniche, poiché non sarebbe ragionevole che Egli risorgesse così gloriosamente e Si manifestasse soltanto le scarse volte riportate nella Scrittura.
Sono note le narrazioni contenute in rivelazioni particolari – alle quali, malgrado non appartengano al deposito della Fede, si può dar credito, poiché illustrano legittimamente la nostra pietà –, come quelle della Venerabile Suor Maria di Gesù di Agreda o della Beata Anna Caterina Emmerick.11 Secondo quest’ultima, il Divino Maestro apparve rifulgente e silenzioso a Simone di Cirene, che lo meritava per averLo aiutato a caricare la Croce, e a diverse persone di Betlemme e di Nazareth, con cui Lui o sua Madre Santissima ebbero più contatti. Gesù rimase anche per lungo tempo con gli Apostoli, i discepoli e le Sante Donne – che erano tristi perché capivano che era prossimo l’istante della separazione –, per trasmettere gli ultimi insegnamenti prima di partire.
Secondo San Luca, alcuni Apostoli chiesero se fosse arrivata l’ora della restaurazione del
regno di Israele (cfr. At 1, 6). Sebbene fossero testimoni di un miracolo portentoso come la Resurrezione, insistevano in una visione politica e naturalista di Nostro Signore, volendo sapere se, alla fine, avrebbero visto la conquista della supremazia del popolo giudeo su tutti gli altri. E Gesù rispose: “Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi” (At 1, 7-8). In seguito, Si elevò alla loro vista, probabilmente circondato da una luce straordinaria.
E dopo l’Ascensione?
Immaginiamo la gioia nel Cielo, il grande omaggio della Santissima Trinità a Cristo-Uomo e a tutti i giusti dell’Antico Testamento che, coi meriti infiniti della Passione, entravano nella Patria Celeste. Mentre le schiere angeliche erano colte da giubilo, intonando canti, sulla Terra i discepoli manteneva no gli occhi fissi su quel punto che andava scomparendo, fino a che una nuvola coprì Nostro Signore (cfr. At 1, 9). Sorsero allora due Angeli, latori di un messaggio: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in Cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in Cielo” (At 1, 11).
La promessa – “verrà” – forse gli ha dato l’idea che il ritorno sarebbe stato il giorno seguente o di lì a una settimana. Però ormai si sommano quasi duemila anni che Gesù Cristo è salito avvolto in gloria e ancora non è tornato… Sant’Agostino spiega come questo succederà, nel giorno del Giudizio: “‘Questo Gesù verrà allo stesso modo in cui lo avete visto andare in Cielo’. Cosa significa verrà allo stesso modo? Che sarà Giudice nella stessa forma come fu giudicato. Visibile non solo ai giusti, visibile anche ai perversi, verrà per essere visto da giusti e malvagi. I cattivi potranno vederLo, ma non potranno regnare con Lui”.12 In questa prospettiva, ci conviene mantenere l’attenzione focalizzata sugli ultimi avvenimenti della nostra vita – morte, giudizio, inferno o Paradiso –, secondo il consiglio del Siracide: “In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato” (7, 36).
Se oggi ricevessimo la notizia che andremo in viaggio in un paese lontano entro un mese, cominceremmo a organizzare la partenza con anticipo, adottando provvedimenti per quanto riguarda il vestiario, medicine, denaro, documenti… Invece, il viaggio è più lungo! Da questo non torneremo! Pertanto, è indispensabile prepararlo in maniera adeguata. Agiamo come insensati quando ci preoccupiamo soltanto dei problemi concreti che terminano in questa vita e non ci interessiamo di ottenere un buon posto nell’altra. È normale che chi intraprenda un viaggio voglia conoscere l’hotel nel quale alloggerà. Ricordiamoci, senza dubbio, che esiste un alloggio eterno chiamato inferno, molto più scomodo di qualsiasi situazione terribile che possiamo attraversare sulla Terra. Così, contemplando l’Ascensione di Gesù, intravvediamo orizzonti e cerchiamo di meritare un’eternità felice, come ammonisce Papa Benedetto XVI: “Per il ‘tempo intermedio’ ai cristiani è richiesta, come atteggiamento di fondo, la vigilanza. Questa vigilanza significa, da una parte, che l’uomo non si rinchiuda nel momento presente dandosi alle cose tangibili, ma alzi lo sguardo al di là del momentaneo e della sua urgenza”.13 Di conseguenza, apriamo l’anima agli ultimi insegnamenti del Figlio di Dio registrati da San Marco e raccolti dalla Liturgia di oggi.
Che cos’è evangelizzare?
15 “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”.
Cosa intendiamo per “proclamate il Vangelo”? Sappiamo che Nostro Signore Gesù Cristo non lasciò nulla di scritto, neppure un biglietto, quando avrebbe potuto redigere testi di straordinario valore. Che sarebbe l’opera di un Dante Alighieri, un Camões o un Calderón de la Barca vicino alla sua divina letteratura? Nei Vangeli risulta che Egli scrisse soltanto una volta e sulla sabbia (cfr. Gv 8, 6.8), poiché uno dei suoi obiettivi era costituire un’opera e, ben oltre qualsiasi libro, avere modelli, tipi umani per realizzare un’azione diretta, da persona a persona. È quello che Lui ha fatto: ha fondato la Chiesa, istituzione immortale che si basa molto più sull’apostolato personale e sull’azione di presenza che attraverso una produzione intellettuale. È importante la dottrina, ma essa, in sé, non è sufficiente a convertire le anime, perché “la lettera uccide, lo Spirito dà vita” (II Cor 3, 6). Dunque, essa deve esser diffusa “in tutto il mondo”, mediante l’involucro del Vangelo, cioè, i principi diventati vita.
Inoltre, San Marco è l’unico degli evangelisti a sostenere che Nostro Signore ha dato il mandato di portare la Buona Novella “ad ogni creatura”, il che comprende non solo gli uomini, ma anche i minerali, vegetali, animali e anche gli Angeli. A prima vista crederemmo che il Vangelo sia destinato soltanto agli esseri umani, infatti come predicarlo, per esempio, a una grata, a un panorama o a uno stormo di uccelli? L’universalità dell’annuncio si lega al fatto che tutto è stato concepito in funzione dell’Uomo-Dio. Il Verbo è la causa efficiente, la causa esemplare e la causa finale di tutta la creazione (cfr. Col 1, 16-17). Da Lui parte e a Lui deve volgersi la sua opera. In questo modo, la nostra azione, in quanto battezzati, deve avere come obiettivo disporre ogni cosa avendoLo come centro. Predicare, allora, il Vangelo a una grata implica farla bella e allo stesso tempo funzionale, affinché dia gloria a Dio per il fatto di esistere. La bellezza è uno dei riflessi più salienti e penetranti dell’esistenza di Dio e chi contempla qualcosa di splendido facilmente si eleva fino a Lui. Per portare il Vangelo a ogni creatura è necessario abbracciare la via pulchritudinis, uno dei mezzi più efficaci di diffondere le meraviglie tratte al mondo da Cristo. Questo significa sacralizzare i gesti, il modo di comportarsi o di eseguire qualsiasi compito, dal coltivare la terra in modo da ottenere frutti dall’aspetto attraente all’erigere edifici secondo i modelli ispirati nel Vangelo. In una parola, è volere che la Terra si trasformi in un vero Paradiso.
Chiamati a esser modello per il prossimo
La Solennità dell’Ascensione ci pone davanti alla responsabilità ricevuta nel giorno del Battesimo: quella di essere veri apostoli, poiché non siamo creature indipendenti dall’ordine dell’universo, ma “siamo dati in spettacolo al mondo, agli Angeli e agli uomini” (I Cor 4, 9). Viviamo in società, in un rapporto costante con altre persone, con la nostra famiglia e gli amici, nell’ambiente di lavoro e dove ci muoviamo. Per questo, tanto nella famiglia quanto in una comunità religiosa, ci accompagna l’obbligo serissimo, sublime e grandioso di essere modello per gli altri. Ognuno è chiamato a rappresentare qualcosa di Dio che non spetta a nessun’altra creatura, sia Angelo o uomo. Predicare il Vangelo non è solo insegnare, è anche dare il buon esempio, molto più eloquente di qualsiasi parola. Nella vita religiosa o in seno alla famiglia, tutti devono cercare di vincere le loro cattive inclinazioni ed edificare il prossimo, cercando la propria santificazione.
Come San Paolo desiderava risvegliare negli efesini la speranza che un giorno avrebbero raggiunto la gloria, così la Chiesa, attraverso la Liturgia, vuole che sentiamo nel fondo dell’anima quanto Dio ha preparato per godere nell’eternità, conquistato da Nostro Signore Gesù Cristo nel giorno dell’Ascensione. A che valgono le afflizioni terrene su cose transitorie? A che giova godere i piaceri che il mondo può offrire? Accumulare onori, applausi, benefici, e giunta l’ora di partire, lasciare tutto e presentarci con le mani vuote davanti a Dio? Approfittiamo di questa Solennità per affermare il proposito di abbandonare qualsiasi attaccamento al peccato che ci allontana da quest’obiettivo e non ci fa comprendere “a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i Santi” (Ef 1, 18). A questo riguardo, conviene ricordare il consiglio di Sant’Agostino: “Pensa a Cristo seduto alla destra del Padre; pensa che verrà per giudicare i vivi e i morti. È quello che indica la fede; la fede si radica nella mente, la fede sta nelle fondamenta del cuore. Guarda chi è morto per te; guardaLo quando ascende e amaLo quando soffre; guardaLo ascendere e afferrati a Lui nella sua Morte. Hai una garanzia di una grandissima promessa fatta da Cristo: quello che Lui ha fatto oggi – la sua Ascensione – è una promessa per te. Dobbiamo avere la speranza che resusciteremo e ascenderemo al Regno di Dio, e lì stare mo per sempre con Lui, in una vita senza fine, gioendo senza alcuna tristezza e vivendo senza nessuna infermità”.14
Che la fede e la speranza alimentino la nostra anima nell’arduo cammino del cristiano dei nostri giorni, e con questa fiamma sempre accesa affronteremo le avversità. Il mandato di evangelizzare ci invita a salire misticamente con Nostro Signore alla Patria Eterna, dove andremo in corpo e anima dopo la resurrezione. Chiediamo per mezzo di Colei che fu assunta al Cielo, Maria Santissima, di essere condotti là, a celebrare esultanti questo mistero.
1) Cfr. DAL GAL, OFMCap, Girolamo. Beato Pio X, Papa. Padova: Il Messaggero di S. Antonio, 1951, p.402. 2) GONZÁLEZ ARINTERO, OP, Juan. Evolución mística. Salamanca: San Esteban, 1989, p.41-42. 3) TURRADO, Lorenzo. Biblia Comentada. Hechos de los Apóstoles y Epístolas paulinas. Madrid: BAC, 1965, v.VI, p.569. 4) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.57, a.2. 5) Cfr. Idem, q.52, a.4, ad 1; a.5, ad 3. 6) Cfr. Idem, q.57, a.6. 7) SANT’AGOSTINO. De Civitate Dei. L.XXII, c.1, n.2. In: Obras. Madrid: BAC, 1958, v.XVI-XVII, p.1627. 8) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., q.57, a.6. 9) SOLENNITA’ DELL’ASCENSIONE DEL SIGNORE. Preghiera Colletta. In: MESSALE ROMANO. Riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa Paolo VI. 2.ed. Città del Vaticano: L. E. Vaticana, 2000, p.230. 10) Per altri commenti su questo tema, si veda: CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. A Ascensão do Senhor. In: Arautos do Evangelho. São Paulo. N.65 (Mag., 2007); p.1219; Commento al Vangelo della Solennità dell’Ascensione – Anni A e C, nei Volumi I e V di questa collezione, rispettivamente. 11) Cfr. MARIA DI GESÙ DI AGREDA. Mística Ciudad de Dios. Vida de María. P.II, l.VI, c.28, n.1496. Madrid: Fareso, 1992, p.1088; BEATA ANNA CATERINA EMMERICK. Visiones y revelaciones completas. Visiones del Antiguo Testamento. Visiones de la vida de Jesucristo y de su Madre Santísima. Buenos Aires: Guadalupe, 1954, t.IV, p.242. 12) SANT’AGOSTINO. Sermo CCLXV/F, n.3. In: Obras. Madrid: BAC, 1983, v.XXIV, p.720. 13) BENEDETTO XVI. Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione. Città del Vaticano: L. E. Vaticana, 2011, p.319. 14) SANT’AGOSTINO. Sermo CCLXV/C, n.2. In: Obras, op. cit., v.XXIV, p.704.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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