Nostro Signore consegna le chiavi a San Pietro.

Vangelo

13 “Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: ‘La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?’. 14 Risposero: ‘Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti’. 15 Disse loro: ‘Ma voi chi dite che io sia?’. 16 Rispose Simon Pietro: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. 17 E Gesù gli disse: ‘Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18 E io a te dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli’. 20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo (Mt 16, 13-20).

 

Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP

La fede di Pietro, fondamento del Papato

 In un ardente impeto di fede, San Pietro anticipa gli altri Apostoli e proclama che Cristo è il Figlio di Dio. Come ricompensa a questo atto di fedeltà, Gesù lo costituisce come pietra sopra la quale edificherà la sua Chiesa.

 I – Per conoscere bene Gesù è necessario avere fede

Se analizziamo le operazioni dell’intelligenza e della volontà umana, facilmente constateremo una peculiarità che le rende molto distinte l’una dall’altra. Avvalendoci di un linguaggio figurato, possiamo dire che la prima fa sì che le cose intese vengano a sé; la seconda, al contrario, vola a loro, desiderandole. In questo senso, afferma San Tommaso che “c’è conoscenza quando l’oggetto conosciuto sta in ciò che conosce; ora l’amore quando l’amante è unito alla cosa amata”. 1 L’atto di intendere implica, pertanto, l’adeguare alle dimensioni della nostra intelligenza tutto quanto noi assimiliamo. Quando si tratta di comprendere un oggetto inferiore a noi, la nostra ragione lo arricchisce, e questo comincia a esistere nella nostra mente in modo più nobile di quello che è in se stesso.

Il maestro Johann Neudörffer e uno studente

Per esempio, dedicandosi a studiare una formica, uno scienziato è capace di analizzarla con l’ausilio di microscopi, utilizzarla per esperimenti chimici, estrarre da lei l’acido formico. Ci sarà anche chi stabilisca correlazioni tra certe caratteristiche del suo comportamento – tali come la determinazione e la tenacia nel procurarsi il cibo e trasportarlo nel formicaio, o la sua tendenza gregaria – e una serie di principi psicologici. L’intelligenza umana può, allora, incontrare nella formica valori che questa non comprenderà mai, perché è irrazionale, conferendole un’importanza che trascende quella di un semplice insetto.

Ben differente, invece, è quello che accade quando pretendiamo di conoscere esseri superiori a noi, perché siccome non riusciamo a comprendere la loro grandezza, la nostra intelligenza li diminuisce fino a che essi diventano proporzionati ai limiti di questa. Tale è, precisamente, la funzione di un buon maestro: prendere dottrine complesse e tradurle in maniera accessibile, conforme alle capacità degli alunni. Se non procede così, i suoi ascoltatori, meno preparati e saggi, non riusciranno a imparare.

Queste considerazioni ci aiuteranno a seguire meglio la Liturgia della 21ª Domenica del Tempo Ordinario, poiché esse si applicano a certi episodi dell’esistenza terrena di Nostro Signore Gesù Cristo.

 Gesù comincia la sua predicazione

In apparenza, la vita di Gesù fino a circa i 30 anni trascorse come quella di un uomo comune. Velando i reflessi della sua divinità, aiutava il padre nel suo lavoro ed era conosciuto come “il figlio del falegname” (Mt 13, 55), nozione facile da assimilare. Anche San Giuseppe, nella sua semplicità, non lasciava trasparire tutta la sublimità della sua vocazione – era padre adottivo dello stesso Dio Incarnato! – e nessuno, fuori dal seno della Sacra Famiglia, percepiva l’altissimo mistero che in essa si realizzava. Sebbene Gesù e Giuseppe fossero molto rispettabili nella piccola Nazareth, per l’onestà, perfezione e responsabilità con cui eseguivano i loro lavori, è evidente che tale apprezzamento era molto al di sotto della loro autentica dignità.

Tuttavia, ad un certo punto muore San Giuseppe e, qualche tempo dopo, Nostro Signore comincia il suo ministero, dirigendoSi in città più importanti di Nazareth, come Cafarnao, Corozaim e Betsaida. Come narrano gli evangelisti, Egli “andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Mt 4, 23). La Sua fama subito si diffuse “in tutta la regione” (Lc 4, 37), di modo che “dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno il lembo del mantello” (Mc 6, 56). Quando istruiva il popolo, “rimanevano colpiti dal suo insegnamento, perché parlava con autorità” (Lc 4, 32) e, operando miracoli, provocava stupore al punto da suscitare l’esclamazione delle moltitudini: “Non si è mai vista una cosa simile in Israele” (Mt 9, 33). Un Suo semplice ordine fece cessare la tempesta e placò il mare, impressionando così tanto i discepoli, che questi si chiedevano: “Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?” (Mt 8, 27). Tuttavia, quest’impatto da Lui causato produceva imbarazzo nei giudei. Perché?

 Essi aspettavano un Messia temporale

Non dobbiamo dimenticare che la classe più alta della società giudaica era costituita dai sadducei e farisei, due influenti partiti religiosi in contrasto fra loro. Mentre i primi, accomodati ai privilegi di cui godevano, poco si preoccupavano della venuta del Messia, i farisei incutevano un’idea errata nel popolo – di per sé molto propenso ad accettarla –, secondo la quale il principale obiettivo del Salvatore sarebbe stato quello di promuovere la supremazia politicosociale ed economica di Israele su tutte le altre nazioni della Terra.

Ora, diverse caratteristiche presentate da Nostro Signore non coincidevano con tale anelito. Se, sotto un certo aspetto, Gesù superava le aspettative messianiche, è anche vero che varie volte l’opinione pubblica si mostrava scioccata a Suo riguardo. Quando – dopo la moltiplicazione dei pani e dopo aver camminato sulle acque – annunciò l’Eucaristia, dichiarando: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6, 51), i giudei si scandalizzarono, poiché interpretarono le sue parole nel senso del cannibalismo. Addirittura, “da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui” (Gv 6, 66).

In questa stessa occasione il Maestro chiese ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?” (Gv 6, 67), come a dire: “l’opinione pubblica Mi ha abbandonato; non volete seguirla?”. E San Pietro Gli rispose: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68). Tale reazione indica che nella mentalità degli Apostoli cominciava a configurarsi un’idea più esatta riguardo al Messia, grazie alla virtù della fede che stava allargando loro gli orizzonti interiori, poiché, senza questo ausilio soprannaturale, le verità rivelate – soprattutto quelle attinenti i più alti misteri della nostra Fede – non possono essere raggiunte dalla ragione umana.

Molto diverso, invece, fu l’atteggiamento dei farisei e sadducei. Siccome non vollero accettare Nostro Signore, arrivarono ad accusarLo di esorcizzare “in nome di Beelzebùl, principe dei demòni” (Mt 12, 24), e finirono per pianificare la sua morte.

È in questa prospettiva che analizzeremo l’episodio narrato da San Matteo, accaduto circa una settimana prima della Trasfigurazione di Gesù, sul Monte Tabor (cfr. Mt 17, 1; Mc 9, 2; Lc 9, 28). La Passione era prossima ed era necessario separare definitivamente gli Apostoli dalla sinagoga – di cui erano membri ferventi –, mettendo loro in chiaro che l’istituzione che Lui veniva a fondare avrebbe portato quella alla pienezza e sarebbe stata la realizzazione di tutte le profezie dell’Antica Legge.

 II – La promessa della fondazione della Chiesa

13 “Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: ‘La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?’”.

Rovine di Cesarea di Filippo (Israele)

Partendo da Betsaida, dove aveva guarito un cieco (cfr. Mc 8, 22-26), Nostro Signore Si diresse con i discepoli a Cesarea di Filippo, città situata a circa 50 km di distanza, in un territorio di esuberante bellezza naturale, situato a nord della Palestina. Erode – detto il Grande – vi aveva edificato un tempio destinato al culto di Cesare Augusto, e più tardi, quando Filippo diventò tetrarca della regione, diede alla località il nome di Cesarea, per conquistarsi le simpatie dell’imperatore.2 È probabile che la scena descritta in questi versetti sia avvenuta alla vista di quell’edificio pagano, che si ergeva in cima a una roccia, dominando il panorama.3

Un metodo per formare gli Apostoli

Nella domanda formulata dal Divino Maestro possiamo intravvedere l’interessante metodo impiegato per formare gli Apostoli. Questi avevano verificato da soli, ascoltando le predicazioni e presenziando i miracoli, quanto Lui fosse un Maestro eccezionale. Tuttavia, se non ci fosse stata una rivelazione essi non avrebbero mai pensato che Gesù fosse Dio stesso! Nemmeno gli Angeli, nello stato di prova, sarebbero giunti a questa conclusione da soli, poiché il mistero dell’unione ipostatica è qualcosa che sfugge completamente non solo all’intelligenza umana, ma anche a quella angelica.4 I demoni non avevano, per questo, una nozione chiara riguardo alla divinità di Cristo.5

Nostro Signore con San Filippo

Inoltre, incarnandoSi nel seno purissimo di Maria, Nostro Signore fece il miracolo negativo di assumere un corpo sofferente. Al contrario, questo sarebbe stato glorioso, in intera consonanza con la sua Anima, la quale godeva della visione beatifica dal primo istante della sua creazione. In questo modo, velava agli occhi degli uomini i fulgori della sua divinità, non permettendo che essi percepissero con chiarezza chi Egli era: la Seconda Persona della Santissima Trinità, uguale al Padre e allo Spirito Santo. A tal punto che, nell’Ultima Cena, San Filippo chiese ancora a Gesù di mostrar loro il Padre, ricevendo da Lui questa risposta: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre.” (Gv 14, 9).

Essendo Lui l’Umiltà e la Prudenza, nulla disse a questo riguardo all’inizio, convocando i discepoli a seguirLo. Ora, però, una volta impregnati e pervasi di prove, il Salvatore vuole far loro conoscere questo mistero. Era il momento di introdurre gli Apostoli nella prospettiva della Sua divinità. È interessante notare che, interrogandoli sul parere popolare, Gesù non usa espressioni come “di Me” o “della mia Persona”, ma “del Figlio dell’Uomo”. Perché? Perché il popolo aveva una opinione sul Figlio dell’Uomo e non riguardo a Lui, che è Dio, della Sua Persona, che è divina. Di conseguenza, Nostro Signore vuole richiamare l’attenzione degli Apostoli alla considerazione che il popolo dava alla sua natura umana, per smuoverli da questo giudizio errato e manifestargli chi Egli è.

 Opinioni diverse ed errate

14 “Risposero: “Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”.

Gli Apostoli trasmettono le congetture del popolo: svariate versioni e molto distanti dalla realtà, ma indicative di quanto Gesù fosse reputato un uomo straordinario. E nulla più, oltre a questo. Infatti, essendo impossibile comprendere appieno la sua grandezza, tentavano di adeguarLo alla loro mente, equiparandoLo a un profeta. Nel contempo, gli Apostoli convivevano con Nostro Signore e percepivano che quei commenti non erano alla Sua altezza. Molti di loro erano stati discepoli di San Giovanni Battista e sapevano perfettamente che il Maestro non era il Precursore resuscitato, poiché lo avevano conosciuto da vicino, avendo udito dalle sue labbra: “ecco che viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di legare neppure i lacci dei sandali” (Lc 3, 16). Del resto, egli aveva indicato Gesù a Sant’Andrea e a San Giovanni Evangelista, dicendo: “Ecco l’Agnello di Dio” (Gv 1, 36). In relazione alle ipotesi che Cristo fosse Geremia risorto o Elia – che ancora ontinuava a essere vivo, secondo una consacrata tradizione –, anche loro non avevano dubbi che fossero false.

Tuttavia, timorosi di perdere la consonanza con l’opinione pubblica, gli stessi Apostoli evitavano di sollevare il problema e di chiedere sulle origini di Cristo Gesù. Sapevano che era figlio di Maria e Giuseppe, ma ignoravano dove avesse studiato, da dove provenisse tanta sapienza, come avesse ottenuto il potere di fare miracoli.

Che cosa mancava loro per distinguersi da queste opinioni e fare un passo avanti nella comprensione del Maestro? Un dono di fede. Infatti, “la fede perfeziona lo sguardo interiore, aprendo la mente a scoprire, nel corso degli eventi, la presenza operante della Provvidenza. […] la ragione e la fede non possono essere separate, senza far sì che l’uomo perda la possibilità di conoscere in modo adeguato se stesso, il mondo e Dio”.6

 Una risposta ispirata

15 “Disse loro: ‘Ma voi chi dite che io sia?’.16 Rispose Simon Pietro: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’”.

In questa seconda domanda è importante evidenziare come il Divino Maestro Si riferisca a Se stesso, poiché non dice più “il Figlio dell’Uomo”, ma indaga: “Voi chi dite che io sia?”. Commenta San Giovanni Crisostomo che questo è un modo per “invitarli a concepire pensieri più alti su di Lui e mostrargli che la prima sentenza restava molto al di sotto della sua autentica dignità”.7

San Pietro, il cui temperamento espansivo lo portava a dire tutto quanto pensava, si affrettò a rispondere: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”! Si direbbe che questa frase lapidaria fosse un’elaborazione dell’esperienza dell’Apostolo, frutto di una matura e profonda riflessione. Ora, come avrebbe potuto lui, col semplice concorso del ragionamento, arrivare alla conclusione che fosse Dio quel Maestro “esteriormente riconosciuto come Uomo” (Fil 2, 8), che Si stancava, sentiva sonno, fame e sete?

La fedeltà di Pietro all’ispirazione del Padre

17 “E Gesù: ‘Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli’”.

Gesù dichiara che Pietro è beato per esser stato messo a parte dal Padre, che gli ha rivelato una così alta verità. A proposito di questo passo osserva Sant’Ilario: “La fede vera e inviolabile consiste nel credere che il Figlio di Dio sia stato generato da Dio e abbia la stessa eternità del Padre. […] E la confessione perfetta consiste nel dire che questo Figlio ha preso Corpo e Si è fatto Uomo. Ha compreso, dunque, tutto quello che esprime la sua natura e il suo nome, in cui sta la perfezione delle virtù”.8

San Pietro è stato fedele all’ispirazione divina e, a dispetto delle impressioni umane, ha espresso la sua fede. Come premio per la sua corrispondenza alla grazia e per una così robusta fede, il Maestro ha voluto concedere all’Apostolo un tesoro, come a dire, nella bella espressione di San Leone Magno: “come mio Padre ti ha manifestato la mia divinità, così anch’Io ti faccio conoscere la tua eccellenza”.9

Ed è in questo momento che è diventata chiara per tutti gli Apostoli la missione che era loro riservata: annunciare al mondo Nostro Signore Gesù Cristo, Dio e Uomo vero.

 La promessa dell’invincibilità della Chiesa

18 “‘E io a te dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei Cieli’. 20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo”.

Altare della Cattedra di San Pietro

In aramaico non c’è distinzione di genere tra i sostantivi Pietro e pietra, essendo entrambi espressi da un’unica parola – kefa’. Ossia, Gesù ha detto che Lui avrebbe edificato la Chiesa su questa kefa’ – pietra – che è Pietro.10

Con tali parole Cristo dà a Pietro il potere divino, assoluto e incrollabile, di sostenere la Santa Chiesa. Oggi, trascorsi più di duemila anni, essa è passata per grandi tempeste e sconvolgimenti, ma continua a restare in piedi e, accada quel che accada, rimarrà salda fino alla fine del mondo. La Chiesa non corre il rischio che il suo potere sia usurpato dalle ciurme infernali, perché è fondata su questa promessa. La morte non la colpirà mai! E questo non vuol dire che la Chiesa sopravviverà alle vicissitudini in una costante agonia. Al contrario, essa è stata e sarà sempre giovane in tutte le ere storiche, sia durante le persecuzioni romane, con migliaia di martiri che sono saliti in Cielo, dal Colosseo o dal Circo Massimo; sia negli splendori del Medioevo, col fiorire glorioso delle cattedrali gotiche, illuminate dalla policromia delle vetrate e animate dal suono maestoso dell’organo; sia ai nostri giorni, in cui l’umanità giace in un relativismo e materialismo senza precedenti.

 L’infallibilità e il potere delle chiavi

In quest’occasione Nostro Signore offre a Pietro anche la garanzia dell’infallibilità, dichiarando che le sue decisioni sulla Terra saranno ratificate in Cielo. Egli sarà assistito dallo Spirito Santo per insegnare la verità, cosa che rende impossibile alla Chiesa di deviare, seguendo false dottrine. Grazie a questo carisma il Sommo Pontefice non erra quando si pronuncia excathedra, “cioè, quando, nello svolgimento del compito di pastore e dottore di tutti i cristiani, definisce con la sua suprema autorità apostolica che una determinata dottrina concernente la Fede e la morale deve esser sostenuta da tutta la Chiesa”.11 Il Papato è stato una delle istituzioni più combattute nel corso della Storia, il punto nel quale si concentra l’odio del demonio e delle forze del male e, allo stesso tempo, il fattore di stabilità del Corpo Mistico di Cristo, unico organismo a godere di questo privilegio.

Gli autori analizzano la portata del potere delle chiavi, e molti sostengono che le parole “sulla Terra” comprendono tutto quello che c’è in essa e sotto di essa, cioè, i vivi e anche i morti. Così, il Papa ha autorità per canonizzare un Beato e far sì che questi riceva una aggiunta di gloria accidentale nell’eternità; per applicare suffragi specifici ai fedeli che sono in Purgatorio e anche per scomunicare un defunto.12 Era necessario che esistesse un uomo con tali attribuzioni qui sulla Terra, affinché avessimo un collegamento diretto con il Cielo!

Anche ai Vescovi e sacerdoti, sotto il primato del Papa e in totale dipendenza da lui, è concesso il potere delle chiavi, sebbene in forma meno intensa che al Sommo Pontefice. Nel confessionale, per esempio, il prete ha la facoltà di assolvere o meno il penitente dai suoi peccati, facendo sì che le porte del Cielo si aprano per lui o rimangano chiuse. Mentre il Paradiso Terrestre – creato da Dio per gli uomini – è custodito da Cherubini, da quando Adamo ed Eva sono stati da là espulsi (cfr. Gen 3, 24), le chiavi del Paradiso Celeste, dimora degli Angeli buoni, sono state affidate a un uomo! Pertanto, San Pietro ha ottenuto da Gesù molto e molto più di quanto Adamo aveva perduto!

Si direbbe sia un pericolo porre tale tesoro nelle mani di un uomo… Sì, nel caso non fosse Dio il Donatore! Chi lo consegna a San Pietro è il Signore Gesù stesso e, in realtà, è Lui che governa la Chiesa. Se in essa ci sono stati abusi e deviazioni nel corso della Storia, sono stati da Lui permessi per provare che, anche se l’elemento umano è presente, sempre prevarrà l’elemento divino.

 Due facce in San Pietro

Nei versetti successivi, che non risultano nella Liturgia di questa domenica, Nostro Signore annuncia agli Apostoli, per la prima volta, la sua Passione (cfr. Mt 16, 21), forse per controbilanciare l’euforia in cui si trovavano di fronte a quella grandiosa notizia e impedire che in modo erroneo la prendessero come segno della realizzazione imminente del loro sogno messianico. Però, udendo la descrizione degli orrori per i quali il Maestro sarebbe dovuto passare, Pietro Lo prende in disparte (cfr. Mc 8, 32) e comincia a riprenderLo, dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai!” (Mt 16, 22). E Cristo, che poco prima aveva dichiarato che Pietro era la roccia sulla quale avrebbe costruito la Chiesa, ora lo respinge come fosse una tentazione: “Lungi da me, satana!” (Mt 16, 23). Come intendere questo?

Mancava a San Pietro una forza dello Spirito Santo che gli infondesse l’amore vero e disinteressato e lo preparasse a comprendere la Passione del Salvatore. L’Apostolo, che aveva agito così bene nella prima prova, testimoniando con coraggio la divinità di Gesù Cristo, soccombe in quest’altra dell’accettazione della croce e del dolore. Egli, che era stato interamente fedele, al punto da esser costituito la pietra sulla quale la Chiesa sarebbe stata edificata, diventa ora un ostacolo imprevisto per il Maestro, che con questa categorica reazione mirava a estirpare dai discepoli la mentalità antica della sinagoga e a prepararli allo spirito della Santa Chiesa.

Vediamo qui le due facce di San Pietro: una, ispirata dallo Spirito Santo, che gli dà la visione divina delle cose; l’altra, quella della natura decaduta per il peccato originale. Annunciando l’istituzione del Papato, Cristo cerca di imprimere bene la distinzione tra quella che è l’assistenza del Paraclito all’infallibilità e quella che è l’attuazione umana. Voler sostenere l’idea che ogni Papa è santo non corrisponde alla realtà. L’incarico petrino può servire da cammino verso la perfezione, e l’ideale è che il Papa percorra questa via, ma lui non perderà l’infallibilità, anche se la sua condotta non è virtuosa.

 III – E io, chi dico che è Gesù?

Gesù glorioso consegna le chiavi a San Pietro

Nella seconda lettura, la Liturgia coniuga con la confessione di San Pietro un bel passo della Lettera di San Paolo ai Romani, che evidenzia la sproporzione infinita tra la nostra intelligenza creata e l’Intelligenza increata, che è Dio: “O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, tanto da riceverne il contraccambio? Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen!” (Rm 11, 33-36). Così, questa meravigliosa Liturgia ci indica l’attitudine perfetta che dobbiamo avere come cattolici, in questo XXI secolo: sempre una postura di umiltà davanti a Dio, riconoscendo, con la fede, la sua grandezza straordinaria e incommensurabile, la sua onnipotenza, onniscienza e onnipresenza, e manifestando questa verità eterna che il Padre Celeste ha rivelato al Principe degli Apostoli.

La considerazione della magnifica scena contemplata nel Vangelo suggerisce ancora un esame di coscienza: chi è Gesù Cristo per me? Cosa dico io riguardo a Lui? Egli è per me quello che San Pietro ha proclamato a Cesarea e San Paolo esalta in questa lettura, cioè, mio Creatore, mio Redentore, in funzione del quale io vivo? O, a somiglianza dei giudei di quei tempi, avrò elaborato un Salvatore conforme ai miei aneliti egoisti e mondani? Nel caso io abbia abbracciato l’errore, devo oggi chiedere grazie per ritornare sul buon cammino, poiché il premio eterno è vincolato alla fede in Nostro Signore Gesù Cristo e alla totale consegna della nostra vita a Lui. È questo che ci fa amare quello che Lui ordina e sperare quello che Lui promette, come chiede la Preghiera del Giorno,13 e ci conduce alla gloria del Cielo.

1 SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.108, a.6, ad 3.

2 Cfr. FILLION, Louis-Claude. Vidade Nuestro Señor Jesucristo. 
Vida pública. Madrid: Rialp, 2000, vol. II, p.270-271.

3 Cfr. TUYA, OP, Manuel de. Biblia Comentada. Evangelios. 
Madrid: BAC, 1964, vol.V, p.368-369.

4 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., q.57, a.5, ad 1; q.58, a.5.

5 Cfr. Idem, q.64, a.1, ad 4.

6 SAN GIOVANNI PAOLO II. Fideset ratio, n.16.

7 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Omelia LIV, n.1. 
In: Obras.Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (46-90). 2.ed. 
Madrid: BAC, 2007, vol.II, p.138.

8 SANT’ILARIO DE POITIERS. Commentarius in Evangelium Matthæi. 
C.XVI, n.4-5: ML 9, 748-749.

9 SAN LEONE MAGNO. In Natali S. Petri Apostoli, hom.70 
[LXXXIII], n.1. In: Sermons. Paris: Du Cerf, 2006, v.IV, p.61.

10 Cfr. JONES, Alexander. Comentario al Evangelio de San Mateo. 
In: ORCHARD, OSB, Bernard et al. (Org.). Verbum Dei. Comentario a 
la Sagrada Escritura.Nuevo Testamento: Evangelios.Barcelona: Herder, 
1957, p.416; LAGRANGE, OP, Marie-Joseph. Évangile selon saint 
Matthieu. 4.ed. Paris: J. Gabalda, 1927, p.323-324.

11 Dz 3074.

12 Cfr. MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios 
Evangelio de San Mateo. Madrid: BAC, 1956, vol.I, p.595-596.

13 Cfr. 21ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. Preghiera del Giorno. 
In: MESSALE ROMANO. Trad. Portoghese della 2a. edizione per il 
Brasile realizzata e pubblicata dalla CNBB con aggiunte approvate 
dalla Sede Apostolica. 9.ed. São Paulo: Paulus, 2004, p.365.
 
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.