San Giovanni Battista

Vangelo

1 Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. 2 Come è scritto nel profeta Isaia: “Ecco, Io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. 3 Voce di uno che grida nel deserto: ‘preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri’”. 4 Si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5 Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6 Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico. 7 E predicava: “Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. 8 Io vi ho battezzati con acqua, ma Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo” (Mc 1, 1-8).

Fate penitenza!

Mons. João Scognamiglio Clá Dias,EP

Mons. João Scognamiglio Clá Dias,EP

L’abbigliamento e le abitudini di San Giovanni Battista stonavano molto rispetto ai costumi di quella società. Il contrasto degli uomini impuri e smaniosi, con quella figura retta, semplice, eloquente, che urlava: “Fate penitenza!”, scuoteva profondamente le coscienze.

I – Il male nell’universo creato

A mano a mano che progredisce, la scienza va svelando meraviglie insospettate nella vastità siderale. Costantemente si scoprono nuovi corpi celesti, molti dei quali di folgorante bellezza, disposti in spazi astronomici al di fuori di qualsiasi standard umano, che si muovono a velocità incredibili in una delicata e sublime armonia, riflesso della perfezione del Creatore.

Se questa constatazione ci causa un esplicabile stupore, consideriamo che Dio, nella sua onnipotenza, potrebbe aver creato infiniti universi, con infinite altre creature, e questi infiniti esseri sarebbero in sua presenza per tutta l’eternità. Dentro ognuno di questi mondi, Egli saprebbe bene come la Storia si svolgerebbe in ogni istante. Infatti, come sottolinea San Pietro nella seconda lettura (II Pt 3, 8-14) di questa domenica d’Avvento, “per il Signore, un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno” (II Pt 3, 8).

È proprio della Provvidenza Divina ordinare i mali per il bene

Ora, come concepire che Dio, essendo onnipotente e bontà in sostanza, abbia creato questo nostro universo dove il peccato ha potuto farsi presente già nella rivolta di Lucifero, prima della caduta dei nostri progenitori? Per quale ragione Egli gli ha dato la possibilità di cadere? Non sarebbe stato meglio creare un’umanità incapace di lasciarsi trascinare da deliri come la costruzione della Torre di Babele?

Domande come queste hanno afflitto uomini di tutte le epoche, e diventano pungenti, soprattutto, ai nostri giorni così segnati dall’edonismo e dall’avversione a qualsiasi sofferenza. Di fronte a queste, bisogna ricordare la dottrina di San Tommaso d’Aquino, secondo la quale “non è incompatibile con la bontà divina permettere che vi siano mali nelle cose governate da Dio”.1

Per giustificare la sua affermazione, il Dottor Angelico tra le altre ragioni espone questa: “Se il male fosse totalmente escluso dalle cose, ne seguirebbe l’eliminazione di molti beni. Pertanto, non è proprio della Provvidenza Divina escludere dalle cose tutto il male, ma ordinare a un bene i mali che si producono”.2

Con grande bellezza letteraria, padre Monsabré sviluppa questo argomento: “Il male è, di per sé, odioso, ma l’industriosa Provvidenza sa trarne profitto in favore del bene. Dallo spettacolo dell’iniquità trionfante, Ella fa nascere il desiderio di una perfezione sublime che compensa, agli occhi di Dio, le umiliazioni della nostra natura degradata; dalla persecuzione dei malvagi, Ella coglie virtù eroiche, meriti che non riusciremmo ad acquisire in una vita tranquilla, sacrifici cruenti che, uniti al Sacrificio della Croce, arricchiscono il prezioso tesoro della Redenzione; dalle aggressioni dell’errore, Ella fa sorgere mirabili manifestazioni della verità. La corruzione romana genera l’eremitismo della Tebaide; il furore dei giustizieri moltiplica i martiri; l’insolenza dell’eresia chiama al combattimento gli Irenei, gli Atanasi, gli Ilari, i Cirilli, gli Ambrogi, gli Agostini, i Girolami, tutto il battaglione sacro dei Dottori”.3

Lo stesso autore aggiunge: “Percorrete la storia delle catastrofi e in essa vedrete sempre il male condannato a favorire la causa del bene: gli errori incitando alla ricerca della verità, le eresie aprendo il campo ai dogmi, le invasioni dei barbari rinsanguando le virtù dei popoli, le rivoluzioni flagellando con grandi crimini e dando dure e salutari lezioni alla depravazione delle leggi, dei caratteri e dei costumi, le persecuzioni facendo germinare la gloriosa razza dei martiri, il prezzo del Calvario consumando la Redenzione del mondo”.4

La liberazione annunciata da Isaia

Tra i numerosi episodi dell’Antico Testamento in cui Dio suscita il bene dai mali che affliggevano il popolo giudeo, basta ricordare, per esempio, il periodo della schiavitù in Egitto (cfr. Es 1, 8-22) concluso con Mosè, o, con ancor più proprietà, l’esilio a Babilonia, al quale ci riconduce la prima lettura (Is 40, 1-5.9-11) di questa domenica. I giudei si trovavano sotto la ferula babilonese, piangendo ed espiando i peccati commessi quando, ad un certo momento, Dio provò compassione di loro ed inviò il Profeta Isaia per annunciare l’attesa liberazione: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua servitù, è stata scontata la sua iniquità” (Is 40, 1-2). Le parole del profeta indicano con chiarezza che è giunta l’ora del perdono del popolo di Dio. Egli ha preso l’iniziativa di toglierlo dalla schiavitù, imponendogli soltanto una condizione: “Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura” (Is 40, 3-4).

Si tratta qui di un linguaggio simbolico usato per significare realtà spirituali. Infatti, il Profeta invita il suo popolo ad abbattere l’orgoglio, che porta l’uomo a giudicarsi un dio; ad operare con rettitudine, correggendo le idee errate; ad eliminare le asprezze generate nell’anima dall’amor proprio e dall’egoismo. Fatto questo, saranno create le condizioni dal Creatore per manifestare la sua bontà e il suo potere.

Ma la liberazione profetizzata da Isaia travalica i limiti dell’Antica Alleanza, dovendo esser intesa nel suo senso primordialmente messianico: “Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, con il braccio egli detiene il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e i suoi trofei lo precedono. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri” (Is 40, 9-11).

Così, la prima lettura di questa domenica, di diafana e di ricchissima simbologia, prepara le nostre anime all’arrivo del Redentore.

II – La voce che grida nel deserto

San Marco

La Liturgia di oggi ci presenta l’inizio del Vangelo di San Marco, chiamato da San Giustino Memorie di Pietro,5 poiché l’Evangelista, discepolo e interprete dell’Apostolo, ha avuto una sola preoccupazione nello scriverlo: intera fedeltà a quanto aveva udito dal suo maestro.6

Per questo, commenta un autore del secolo passato: “Attraverso il suo greco ebraizzante, basandoci sulle antiche testimonianze e sull’esame interno del libro, possiamo riconoscere emozionati l’inconfondibile fisionomia di San Pietro […]. Questo è il Vangelo di Pietro, composto con semplicità da un suo discepolo, senza altra pretesa letteraria se non quella di riprodurre le predicazioni del suo maestro”.7

Molto significativo è il fatto che questo secondo sinottico sia stato redatto a Roma, per un ambiente nel quale predominavano i gentili convertiti. Infatti, come narra Eusebio di Cesarea,8 l’origine di questo manoscritto sta nelle insistenti richieste fatte a Marco dagli ascoltatori del Principe degli Apostoli. Essi lo importunarono con ogni genere di esortazioni affinché componesse un memoriale scritto della dottrina che era stata loro trasmessa a viva voce. E non lasciarono l’Evangelista in pace fino a che non riuscì a portare a termine il suo compito.

Messaggio centrale della predicazione di San Pietro

1 Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

Vivace e diretto come il suo maestro, San Marco comincia il racconto mostrando già nella prima riga l’idea centrale che orienterà e pervaderà il suo Vangelo: Cristo è vero Uomo e vero Dio.

Con l’intento di difendere davanti ai suoi ascoltatori la personalità divina di Gesù, San Pietro metteva in risalto nella sua predicazione il dominio supremo del Figlio di Dio sulle forze della natura, sui cuori e sugli stessi demoni, che tante volte i gentili veneravano come dèi. È questo il motivo per cui San Marco cita molti miracoli non riferiti negli altri sinottici, al punto che il suo libro è conosciuto come il Vangelo dei miracoli.9

Si compie l’antica profezia

2 Come è scritto nel profeta Isaia: “Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. 3 Voce di uno che grida nel deserto: ‘preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!’”

San Giovanni inizia il suo Vangelo risalendo alla generazione eterna del Verbo. San Matteo dedica i primi versetti del suo Vangelo, enumerando i predecessori del Messia secondo la carne. San Luca apre il rispettivo sinottico narrando estesamente la miracolosa concezione di Giovanni Battista, preludio dell’Incarnazione di Cristo nel seno della Vergine Santissima, per opera dello Spirito Santo.

Quello di San Marco, tuttavia, il più breve dei quattro, si apre con i preliminari del ministero pubblico di Gesù. “Era naturale che il discepolo preferito di San Pietro cominciasse il suo racconto nel punto dove il Principe degli Apostoli collocava l’inizio della predicazione evangelica”,10 osserva Fillion.

Per introdurre il tema egli proclama con solennità una delle frasi di Isaia ricordate nella prima lettura. In essa, l’Antico e il Nuovo Testamento, per così dire, si toccano riverenti. La “voce di colui che grida nel deserto” prende vita concreta nella persona del Precursore. La profezia annunciatrice della liberazione dal giogo babilonese si riveste di un senso molto più attuale e profondo: la necessità della conversione e della correzione di vita di fronte all’annuncio della Buona Novella che sta per cominciare.

Il maggiore degli uomini e dei profeti

4 Si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5 Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6 Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico.

L’abbigliamento e le abitudini del Battista stonavano molto rispetto ai costumi di quella società. Egli “rappresentava la penitenza; rappresentava, pertanto, il digiuno, la flagellazione, la solitudine nel deserto, la mortificazione. A causa di ciò il suo corpo aveva la pelle abbronzata dai mille soli ardenti del Medio Oriente. Egli era vigoroso e, nel contempo, molto magro, in tal modo i digiuni lo avevano consumato. Era anche la stessa rappresentazione della severità piena di bontà”.11

Percorrere regioni spopolate, vestire con l’aspro pelo di cammello, alimentarsi di locuste e miele selvatico, costituivano segnali inequivocabili di vita ascetica. Prima si erano già sparse “per tutta la regione montuosa della Giudea” (Lc 1, 65) le miracolose circostanze della sua nascita. Tutto questo contribuì a fissare nell’opinione pubblica la figura di una persona completamente fuori dal comune.

Non a caso, si ritirò nel deserto, luogo tante volte scelto da Dio per comunicare con gli uomini. L’isolamento offre una prospettiva di eternità molto difficile da raggiungere nelle agitazioni della vita sociale. Lo sapevano bene gli anacoreti, come Sant’Antonio, i quali fuggivano dal consesso umano e si stabilivano in luoghi solitari, in cerca di condizioni più favorevoli al contatto col soprannaturale.

La nobiltà d’animo e il disinteresse del Precursore sono messi in rilievo da questa scelta. Essendo parente del Messia – la Vergine Maria era cugina di sua madre, Santa Elisabetta –, egli sarebbe potuto perfettamente rimanere nella casa dei suoi genitori, beneficiando di un convivio più prossimo con Gesù. Ma, docile al soffio dello Spirito Santo, prese il cammino del deserto, dando uno straordinario esempio di flessibilità alla voce della grazia.

San Giovanni Battista è stato, insomma, una figura eccezionale nella storia di Israele. Il tetrarca Erode lo considerava uomo giusto e santo, e lo proteggeva. Lo temeva e gli piaceva ascoltarlo, sebbene le sue parole lo sconcertassero. I suoi ascoltatori arrivarono a chiedersi interiormente se egli non fosse il Cristo. Ma il maggiore degli elogi fatti al Precursore uscì dalle labbra divine del Signore Gesù: “Tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni” (Lc 7, 28).

Infatti, tra tutti i profeti dell’Antico Testamento, solo lui ha avuto l’incomparabile gloria di incontrare personalmente il Divino Salvatore e indicarLo in termini completamente chiari: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29). L’anima di questo messaggero doveva essere all’altezza della sua missione. Superiore ad Abramo, a Mosè e allo stesso Isaia, la Divina Provvidenza ha voluto farne l’araldo per antonomasia. “Dio vuole che egli sia grande perché la sua missione è grande, perché è stato scelto per precedere così da vicino Colui che deve venire”.12

 

Predicazione di San Giovanni Battista

Una nazione eccitata dalla predicazione di Giovanni

Incontro al Battista accorrevano, come abbiamo visto nel Vangelo di San Marco, abitanti di “tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme”. A questi si sommarono persone “dalla zona adiacente il Giordano” (Mt 3, 5) e anche galilei, come Andrea, il fratello di Simone (cfr. Gv 1, 35-42).

“Possiamo immaginare” – osserva Benedetto XVI – “la straordinaria impressione che dovettero destare la figura e l’annuncio del Battista nell’atmosfera accesa di quel momento della storia di Gerusalemme. Finalmente c’era di nuovo un profeta, qualificato come tale anche dalla sua vita. Finalmente si annuncia di nuovo un agire di Dio nella storia”.13

Mosso da un impulso soprannaturale, il popolo giudeo sentiva in quella figura austera il preannuncio di qualcosa di grandioso. Per questo accorrevano tutti a confessargli le proprie mancanze e ricevere il battesimo dalle sue mani. La predicazione di Giovanni aveva eccitato questa nazione che da circa duecento anni non sentiva la voce di un profeta e necessitava esser preparata per ricevere il Messia.

Il Precursore produceva un vero choc in quelle persone abituate a preoccuparsi esclusivamente delle cose della Terra, adoratrici del confort e della vita piacevole. Al contrario della maggioranza dei suoi ascoltatori, commenta il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, “egli è disinteressato, è una fiaccola ardente di amore di Dio. Vive soltanto per la realizzazione della missione che ha. Ha solo Dio davanti agli occhi”.14

Lo stesso autore aggiunge: “A quel popolo che aspettava un Messia temporale, un re potente, Giovanni appariva parlando del Messia, annunciato non da un guerriero, né da un potentato, ma da un penitente.

“Il contrasto degli uomini impuri e smaniosi, con quell’uomo retto, semplice, eloquente, e che urlava: ‘Fate penitenza!’, scuoteva profondamente le coscienze. San Giovanni Battista risvegliava un enorme sentimento di vergogna. Venendo a contatto con lui, le persone comprendevano che non potevano essere così. E il Precursore completava l’effetto, dicendo: ‘Raddrizzate le vie del Signore… Ecco, viene il Messia… Il giorno di Dio è prossimo.15

Si schiudono le porte della Rivelazione

7 E predicava: “Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. 8 Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo”.

Con tale affermazione, il Battista dà un’idea della forza morale, spirituale e soprannaturale di Colui che doveva venire. Allo stesso tempo mostra l’umiltà della sua anima, poiché competeva ai servi “slegare i sandali” e lavare i piedi dei visitatori.

Possiamo immaginare l’impatto prodotto da una simile asserzione nei suoi ascoltatori, abituati a vederlo affrontare con energia farisei e sadducei. “Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco” (Mt 3, 10) – li minacciava senza paura. Meravigliati, senza dubbio, per i suoi insegnamenti, i discepoli del Precursore cercavano di immaginare la grandezza di quest’altro personaggio incredibilmente superiore a lui.

Nel frattempo, mentre preparava il popolo giudeo al suo incontro con il Messia, San Giovanni Battista schiuse le porte della Rivelazione che lo stesso Figlio di Dio veniva a portare. Già in questi versetti traspare il dogma della Santissima Trinità. In essi sono in qualche modo presenti il Padre, Dio del popolo eletto, il Figlio, che veniva allora annunciato e lo Spirito Santo, qui menzionato insieme all’annuncio del Battesimo sacramentale. San Giovanni si rivela così come un uomo realmente ispirato da Dio, poiché dimostra di conoscere uno dei principali misteri della Fede, ancor prima della predicazione del Divino Maestro.

Con l’inizio della vita pubblica di Gesù, il Precursore va poco a poco scomparendo: “Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 29-30), affermerà. Subito dopo lascerà come ultimo insegnamento uno dei più bei riconoscimenti della divinità di Cristo:

“Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra. Chi viene dal Cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza; chi però ne accetta la testimonianza, certifica che Dio è veritiero. Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura. Il Padre ama il Figlio e Gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui” (Gv 3, 31-36).

III – Una dedizione che prepara  l’anima al Natale

Il tempo liturgico dell’Avvento ci porta, in qualche modo, a partecipare alle aspirazioni di quanti nell’Antico Testamento aspettavano con fedeltà la venuta del Messia, e a vivere il clima di grandiosa aspettativa alimentato dal Precursore.

Necessità di una “conversione incessante”

Sono trascorsi duemila anni da questo avvenimento storico, ma per Dio non c’è ieri né domani, ma solo un eterno “oggi”. Come dagli israeliti prigionieri a Babilonia o dai giudei dell’epoca di Gesù, Egli aspetta da noi la conversione.

Non volendo che nessuno si perda, il Creatore è paziente con noi, mentre aspetta che noi troviamo una vita “senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace” (II Pt 3, 14), come afferma San Pietro nella seconda lettura di oggi. Per questo, Dio ci invita, per così dire, in ogni ora, ogni minuto, ogni secondo, ad emendarci dalle nostre deviazioni e imperfezioni.

Alla prima conversione deve seguire una conversione incessante. Non basta dire: “Sono cristiano. Mi sono già convertito!” O, come il giovane ricco del Vangelo: “Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza” (Mc 10, 20). O magari: “Mi sono confessato e sono passato dallo stato di peccato mortale allo stato di grazia”. È necessario che ogni giorno cresca il nostro amore.

Per quanto si progredisca sulla via della virtù, ci saranno sempre punti dove è possibile migliorare. Il Signore Gesù ci invita a fissare lo sguardo costantemente nel plus ultra, nel “duc in altum” (Lc 5, 4) cioè, osando lanciare le reti sempre più lontano, con il cuore traboccante di grandi desideri per la massima gloria di Dio.

Soluzione alla portata di ognuno di noi

Analizzando le cose sotto quest’ottica, occorre chiedersi: non avremo noi qualcosa di concreto da consegnare a Gesù prima di commemorare ancora una volta, quest’anno, la sua nascita nella Grotta di Betlemme? Magari la rottura di un’amicizia sconveniente o pericolosa, a causa della quale ci siamo allontanati da Lui, o chissà, la rinuncia all’eccessivo attaccamento a un determinato bene o qualche situazione, che frequentemente finisce per condurci al peccato. La Liturgia ci ispira oggi a deporre ai piedi della Vergine Madre qualsiasi difetto capace di impedirci di ricevere con ardente devozione il Bambino Dio.

Non abbiamo forse l’obbligo di sforzarci, in quest’Avvento, di preparare nel miglior modo possibile, la “grotta” della nostra anima, affinchè Gesù non trovi in essa un ambiente più freddo e inospitale di quello della Grotta di Betlemme? Esaminiamoci attentamente per sapere cosa fare in questo senso. Ci saranno senza dubbio mancanze da sanare nel nostro modo di procedere. Quali? Deviazioni da rettificare nella nostra vita. Quali?

Se, dopo questo bilancio, il risultato ci sarà sfavorevole e non sentiremo il coraggio sufficiente per correggere questi difetti, la soluzione è alla portata di chiunque: ricorrere con filiale fiducia alla Madonna, Rifugio dei Peccatori. Lei ci otterrà dal suo Divino Figlio grazie per una completa vittoria su tutte le nostre mancanze e deviazioni. Infatti Gesù Cristo – che è voluto rimanere prigioniero per nove mesi nel suo seno purissimo, dipendendo da Lei in tutte le cose, e coronandola come Regina del Cielo e della Terra – non trascurerà di esaudire le suppliche da Lei implorate a favore dei suoi devoti.

Maria col Bambino Gesù e San Giovanni Battista

1) SAN TOMMASO D’AQUINO. Compendium Theologiæ. L.I, c.142.

2) Idem, ibidem.

3) MONSABRÉ, OP, Jacques-Marie-Louis. Le bon grain et l’ivraie. In: Conférences de Notre-Dame de Paris. Retraites Pascales 1881-1882. 6.ed. Paris: P. Lethielleux, 1905, v.V, p.25-26.

4) MONSABRÉ, OP, Jacques-Marie-Louis. L’infalibilité, la sainteté et le mal. In: Exposition du Dogme Catholique. Gouverne-ment de Dieu. Carême 1876. 9.ed. Paris: L’Année Dominicaine, 1892, v.VI, p.205-206.

5) Cfr. SAN GIUSTINO. Dialogus cum Tryphone. C.CVI, n.1: MG6, 200-201.

6) Cfr. EUSÉBIO DE CESAREIA. Historia Eclesiástica. L.III, c.39, n.15. Madrid: BAC, 1973, v.I, p.194.

7) CABALLERO, SJ, José. Introducción. In: MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios. Evangelios de San Marcos y San Lucas. Madrid: BAC, 1951, v.II, p.3.

8) Cfr. EUSÉBIO DE CESAREIA, op. cit., L.II, c.15, n.1, p.88.

9) Cfr. FILLION, Louis-Claude. La Sainte Bible commentée. Paris: Letouzey et Ané, 1912, t.VII, p.194.

10) Idem, p.197

11) CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. São Paulo, 17 nov. 1972.

12) BEATO COLUMBA MARMIÓN. Jesus Cristo nos seus mistérios. Conferências espirituais. 2.ed. Lisboa: Ora & Labora, 1951, p.122.

13) BENEDETTO XVI. Gesù di Nazaret. Dal Battesimo alla Trasfigurazione. Milano: Rizzoli, 2007, p.35.

14) CORRÊA DE OLIVEIRA, op. cit.

15) Idem, ibidem.