Ingresso di Cristo a Gerusalemme

Vangelo della Processione

1 Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli, 2 dicendo loro: “Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un’asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a Me. 3 Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: ‘Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito’”. 4 Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta: 5 “Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo Re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma”. 6 I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: 7 condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8 La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. 9 La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava: “Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei Cieli!” 10 Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: “Chi è costui?” 11 E la folla rispondeva: “Questi è il Profeta Gesù, da Nazaret di Galilea” (Mt 21, 1-11).

Vangelo della Santa Messa

[11]In quel tempo. Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l’interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose «Tu lo dici». [12]E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. [13]Allora Pilato gli disse: «Non senti quante cose attestano contro di te?». [14]Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore.

[15]Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. [16]Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. [17]Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?». [18]Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.

[19]Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». [20]Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. [21]Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!». [22]Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!». [23]Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!».

[24]Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!». [25]E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». [26]Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.

La corona di spine

[27]Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. [28]Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto [29]e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: «Salve, re dei Giudei!». [30]E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. [31]Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo.

La crocifissione

[32]Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui. [33]Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio, [34]gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere. [35]Dopo averlo quindi crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sorte. [36]E sedutisi, gli facevano la guardia. [37]Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: «Questi è Gesù, il re dei Giudei».

[38]Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.

Gesù in croce deriso e oltraggiato

[39]E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: [40]«Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!». [41]Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: [42]«Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. E’ il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. [43]Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!». [44]Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.

La morte di Gesù

[45]Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. [46]Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». [47]Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». [48]E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. [49]Gli altri dicevano: «Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!». [50]E Gesù, emesso un alto grido, spirò.

[51]Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, [52]i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. [53]E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. [54]Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!». (Mt 27, 11-54).

Mons. João Scognamiglio Clá Dias,EP

La congiuntura dell’entrata trionfale del Divino Redentore a Gerusalemme e delle sofferenze della sua dolorosa Passione ci ricordano che la prospettiva della croce è sempre accompagnata dalla certezza della gloria futura.

I – Trionfo che preannuncia la gloria della Resurrezione

Considerando nella Domenica delle Palme l’entrata trionfale di Nostro Signore Gesù Cristo a Gerusalemme, dobbiamo tener presente che la Liturgia non è soltanto una rievocazione di fatti storici ma, soprattutto, un’occasione per ricevere le stesse grazie create da Dio in quel momento, e distribuite al popolo giudeo che vi si trovava. Per questo la Chiesa Cattolica stimola i fedeli a ripetere simbolicamente questa cerimonia, in modo da iniziare la Settimana Santa con l’anima ben preparata.

Nell’Antichità, i grandi eroi militari e gli atleti vincitori erano salutati con rami di palma, per onorarli per il trionfo ottenuto. Pertanto, Gesù volle che la sua Passione, il cui apice si svolse nel Calvario, fosse già al suo inizio marcata dal trionfo, anticipando la gloria della Resurrezione che sarebbe venuta dopo.

Di fronte a questo contrasto possiamo rimanere sorpresi: come fa la Chiesa a combinare questi due aspetti in tale circostanza? Invece, questo non ci deve causare stupore, giacché, all’estremo opposto, essa contempla la Resurrezione in un modo simile. Quando, tra pochi giorni, staremo celebrando il magnifico rito della Veglia Pasquale, nel quale tutto sarà giubilo, sentiremo nel cantico del Annuncio note relative ai tormenti e alla Morte di Cristo: “Egli ha pagato per noi all’eterno Padre il debito di Adamo, e con il sangue sparso per la nostra salvezza ha cancellato la condanna della colpa antica. Questa è la vera Pasqua, in cui è ucciso il vero Agnello, che con il suo sangue consacra le case dei fedeli. […] O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio! Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!”.1 Anche nella bellissima Sequenza Victimæ Paschali laudes, corrispondente alla Messa del Giorno di Pasqua, sarà detto: “Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa”.2 Così, la Domenica delle Palme e della Passione del Signore, portico della Settimana Santa, contiene anche il trionfo.

Madonna dei Dolori – Granada (Spagna)

Questo primo aspetto della celebrazione di oggi ci insegna quanto sia imperfetto concepire la Redenzione operata da Nostro Signore centrandoci solo sul dolore.

Essa comporta anche, e forse principalmente, il gaudio della Resurrezione, poiché, se i patimenti di Gesù si sono prolungati dalla notte del giovedì fino all’ora nona di venerdì, e la sua Anima si è separata dal Corpo per circa trentanove ore – come si può dedurre dalle narrazioni evangeliche –, il periodo di gloria si è prolungato per quaranta giorni, qui sulla Terra, e permane per tutta l’eternità nel Cielo.

È questa la nozione mancata agli Apostoli quando hanno visto il Divino Maestro rattristarSi, sudare Sangue e lasciarSi catturare da vili soldati; di conseguenza, Lo hanno abbandonato. In verità, non si ricordavano già più dei reiterati annunci che Egli aveva fatto loro a proposito della sua Morte e Resurrezione al terzo giorno (cfr. Mt 17, 21-22; 20, 18-19). La Madonna, al contrario, sebbene piena di dolore e col cuore trafitto da una spada (cfr. Lc 2, 35), non svenne, perché custodiva nel fondo dell’anima la certezza che suo Figlio sarebbe risorto. E quando Egli è uscito dal tumulo, nella pienezza della sua maestà, sicuramente Lei è stata la prima persona a cui Gesù è apparso, come abbiamo già avuto occasione di commentare.3

Una chiave per considerare la Passione del Signore

Contempliamo la Liturgia di oggi in questa prospettiva, rivivendo quei momenti di piacere in cui Gesù entra nella Città Santa, per poi passare per le angosce della Passione e per le gioie della Resurrezione. Che le grazie versate su tutti i partecipanti a questa prima processione, nella quale era presente il Redentore, scendano su di noi e colmino le nostre anime, facendoci comprendere bene il ruolo della sofferenza nella nostra vita di cattolici apostolici romani, come mezzo indispensabile per giungere alla gloria finale e definitiva. Dolore e trionfo si trovano qui magnificamente intrecciati. Per crucem ad lucem! – È attraverso la croce che otteniamo la luce!

Essendo impossibile, nel ridotto spazio di un articolo, tessere un commento dettagliato di ognuno dei Vangeli che la Chiesa propone per questa giornata, comporremo una riflessione, avendo in mente tutti i testi.

II – Il contrasto tra la Bontà increata e la cattiveria umana

Il Signore Gesù avrebbe potuto, con ogni giustizia, esaltare Se stesso, senza incorrere in peccato alcuno – al contrario, sarebbe stato un grande atto di virtù, poiché Lui è degno di ogni lode –, ma ha rinunciato a ciò per darci l’esempio. Sebbene le acclamazioni che Egli ha consentito (cfr. Lc 19, 39-40) ai suoi discepoli e al popolo, la Domenica delle Palme, costituiscano, forse, una eccezione a questa regola… quanto scarse sono in rapporto a quello che realmente Egli merita!

Forse, per questo, niente è più significativo, per quanto riguarda il contrasto tra la cattiveria umana e la bontà di Dio – Bontà che è Lui in essenza –, del fatto che la terribile Passione del Salvatore sia avvenuta poco dopo questa ovazione trionfale.

La bontà divina manifestata nella Passione

Per salvare l’umanità, la Seconda Persona della Santissima Trinità ha voluto incarnarSi, rendendoSi uguale a noi in tutto, eccetto che nel peccato (cfr. Eb 4, 15). E, sebbene una lacrima, un gesto o anche un desiderio dell’Uomo-Dio fosse sufficiente a redimere un numero illimitato di creature, Egli ha umiliato Se stesso, facendoSi obbediente fino alla morte in Croce, come afferma San Paolo nella seconda lettura di questa domenica (Fl 2, 6-11). Colui che, con un semplice atto di volontà, avrebbe potuto impedire l’azione di quelli che hanno promosso la sua morte – bastava, per esempio, smettere di sostenere il loro essere, facendoli tornare al nulla –, ha accettato tutti gli oltraggi descritti da San Matteo nel Vangelo della Messa.

Sperimentiamo qui la misericordia di Dio, infinitamente sollecito nel perdonarci. Se uno solo di noi fosse incorso in una mancanza e tutti gli altri fossero innocenti, Egli avrebbe patito uguale martirio per riscattare questo unico reo! Come indica padre Garrigou- Lagrange, nel mistero della Redenzione “le esigenze della giustizia finiscono per identificarsi con quelle dell’amore, ed è la misericordia che trionfa, perché è la più immediata e profonda espressione dell’amore di Dio per i peccatori”.4

La cattiveria umana si vendica del bene ricevuto Di fronte a tanta benevolenza, vediamo il popolo contento, riconoscendo autenticamente e sinceramente che lì, di fatto, c’è il Messia. Tuttavia, non in forma profonda, ma superficiale e priva di radici… Se oggi Gesù è stato ricevuto con onori – “Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei Cieli!” –, entro alcuni giorni questa stessa moltitudine sarà nella piazza, davanti al Pretorio, preferendo Barabba a Colui che prima aveva accolto con giubilo, e gridando “Sia crocifisso!” come leggiamo nel testo della Passione.

Scene della Passione di Nostro Signore

La regalità di Gesù Cristo proclamata nel suo solenne ingresso a Gerusalemme sarebbe diventata, in seno a questa città, pretesto per la sua condanna. Erode Lo ha schernito con blasfeme irriverenze; Pilato ha constatato la sua innocenza, impaurendosi, tuttavia, davanti agli accusatori, Lo ha consegnato “alla loro volontà” (Lc 23, 25). Con maestoso silenzio, il Salvatore ha sopportato la flagellazione, le ingiurie dell’incoronazione di spine (cfr. Mt 27, 26-31; Mc 15, 15-20; Gv 19, 1-5) ed è salito al Golgota con la Croce sulle spalle. Era talmente pesante – il peso dei nostri peccati! – che, a metà strada, hanno obbligato Simone di Cirene ad aiutar-Lo a portare un così ignominioso fardello. I capi Lo hanno schernito, i soldati Gli hanno offerto aceto, uno dei malfattori, crocifisso al suo fianco, Lo ha insultato.

Perché? Per l’odio di coloro che non vogliono accettare l’invito per un cambiamento di vita. Infatti, Gesù predicava una nuova prospettiva del Regno di Dio, molto differente da quella che essi tanto desideravano, per questo è stato rifiutato. Quanti miracoli! Quanti benefici! Paralitici che camminano, sordi che sentono, ciechi che vedono, morti che resuscitano… tutto realizzato da quelle mani adorabilissime che presto sarebbero state attraversate da chiodi orribili! Ecco la legge della natura umana concepita nel peccato, quando rifiuta la grazia di Dio! In sé, essa è volubile. Ora applaudirà, ora si vendicherà delle sue stesse acclamazioni.

Miracoli di Nostro Signore – Cattedrale di Gloucester (Inghilterra)

Non dobbiamo riporre la nostra speranza nel mondo

Così, la Passione del nostro Divino Redentore lascia una lezione per noi: quelli che, per principi mondani, hanno come ideale ottenere il plauso, collocando la loro speranza nell’approvazione degli uomini, sbagliano, perché commettono la pazzia di scegliere per sé una situazione instabile. Mancando la pratica della virtù, facilmente le acclamazioni si trasformano in odio.

La Passione del Signore ci mostra, in maniera eloquente, quanto sia necessario mettere il nostro impegno nel servirLo, curandoci poco se ci attaccano o ci elogiano, se ci ricevono o ci ripudiano ma, questo sì, se Gli piacciamo con il nostro modo di procedere. Quando siamo stati battezzati, ci siamo impegnati – sia da noi stessi, sia nella persona dei nostri padrini – a rinunciare al demonio, al mondo e alla carne, e siamo stati marcati dal segno del combattimento. Non abbiamo fissato, in nessun momento, il proposito di appoggiarci al plauso degli altri. E così, celebrando la Domenica delle Palme dobbiamo ricordarci di queste promesse di lotta, che esigono da parte nostra la determinazione ad affrontare tutte
le battaglie che tali nemici, da noi rifiutati nel Battesimo, ci presenteranno. E questo significa, sull’esempio di Gesù, accettare e portare la croce posta sulle nostre spalle dalla Provvidenza.

La Croce: da segno d’ignominia a simbolo di gloria

La Santa Croce di Nostro Signore Gesù Cristo! Quando quegli uomini malvagi e senza pietà passavano davanti a Lui, crocifisso, Lo guardavano e dicevano: “Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla Croce!”. “O lingua avvelenata, parola di malizia, espressione perversa!” – esclama San Bernardo di Chiaravalle – “[…] Infatti, che coerenza c’è a dover scendere, se è Re di Israele? Non è più logico che salga? […] O ancora, poiché è Re di Israele, che non abbandoni il titolo del regno, non deponga lo scettro quel Signore il cui impero sta sulle sue spalle […]. Al contrario, se scende dalla Croce, non salverà nessuno”.5

Croce processionale

Infatti, a un re non spetta scendere ma salire sempre. Ed è questo che ha fatto Nostro Signore. Egli non è sceso, ma è salito ed è risorto, come ci dice ancora una volta l’ispirata voce di San Bernardo: “Se la generazione malvagia e adultera cerca ancora un prodigio, non gliene sarà dato nessuno se non quello del profeta Giona: non segno di discesa, ma di resurrezione. […] È uscito dal tumulo chiuso Colui che non ha voluto scendere dal patibolo. […] Per questo, con ragione Egli è la primizia di coloro che resuscitano, perché in tal modo Si è elevato che non tornerà mai a cadere, avendo già ottenuto l’immortalità”.6

Sì, Egli è Re, ed è seduto sul suo trono. Che trono è questo? La Croce, segno d’ignominia, poiché costituiva il peggior castigo, il supplizio più orribile di quei tempi, considerato dai giudei come una “maledizione divina” (Dt 21, 23) e dai romani come infamante, a tal punto che non era applicato a un cittadino dell’Impero, essendo riservato soltanto agli schiavi e ai criminali più abbietti.7 Tuttavia, questo Re è così potente che, posto su questo piedistallo di umiliazione, Egli lo trasforma in trono di gloria! Oggigiorno, ostentare la Croce al petto è un onore, e la possiamo ammirare sulle corone dei re, nelle grandi decorazioni o nell’alto delle cattedrali e degli edifici ecclesiastici: è l’esaltazione della Croce!

Ora, essendo partecipi della vita divina, con la grazia, siamo chiamati a percorrere la stessa via del Re dei re, ossia, senza mai scendere, salire per giungere in Cielo, le cui porte ci saranno aperte, non per i nostri meriti, ma per quelli del nostro Redentore.

Tenendo in mano, oggi, la palma come simbolo di trionfo, dobbiamo credere che nel Giudizio Finale tutta la cattiveria sarà giudicata e, entrando nell’eternità, la Storia diverrà ben definita: o il piacere della visione beatifica o il fuoco che arderà senza mai estinguersi. Non esiste una terza possibilità.

III – “Per crucem ad lucem!”

Contrariamente alla chimera suggerita da una certa mentalità molto diffusa, non è possibile abolire la croce dalla faccia della Terra, poiché, in genere, ogni essere umano soffre. Soltanto nelle produzioni cinematografiche e altre fantasie del genere – coronate sempre dall’happy end – troviamo figure irreali di persone immuni da qualsiasi disturbo fisico o morale, che hanno successo in tutte le loro iniziative e non incontrano difficoltà nei rapporti sociali, non avendo nemmeno i piccoli fastidi e le delusioni della quotidianità.

Per quanto si fondino ospedali, per quanto si aprano asili o si costruiscano ospizi per gli anziani, il dolore è un nostro compagno e smetterà di esistere solo nel Paradiso Celeste. È imprescindibile per l’uomo, pertanto, comprendere il vero valore della sofferenza, poiché un’impostazione sbagliata davanti a questo, porta alcuni a cadere nell’abbattimento, altri a ribellarsi contro la Provvidenza, altri – forse la maggioranza – a voler schivare il carico della propria croce, tentativo che, oltre ad essere inutile, la rende più pesante, aggiungendogli l’onere della non conformità con la volontà di Dio, che conosce e permette ognuna delle nostre angosce.

Il valore della lotta

Convinciamoci che il dolore racchiuda innumerevoli benefici per la nostra salvezza. In primo luogo, è un potente mezzo per approssimarci a Dio. Infatti, da prima della caduta, Angeli e uomini, poiché sono stati creati in stato di prova, hanno la tendenza a chiudersi in sé, quando dovrebbero essere costantemente aperti a Dio. Ed è in questo che consiste la prova. Con il peccato questa inclinazione si è accentuata, e ogni colpa attuale aumenta la sua virulenza.

Per tale ragione, le lotte, i rovesci e le afflizioni sorti nel nostro cammino sono elementi efficaci per dirigere il nostro spirito al Bene infinito e spalancare a Lui la porta della nostra ani ma. In queste ore sperimentiamo il potere della preghiera, sentiamo la nostra totale dipendenza rispetto al Creatore e ci poniamo nelle sue mani senza riserve, alla ricerca di protezione e forza. Così considerata, la sofferenza può ben ricevere il titolo di beatitudine che ci fa meritare, già in questo mondo, la ricompensa di liberarci dal nostro egoismo e di vivere volti a Dio. O dolore, beato dolore!

La sofferenza ci rende anche chiaro il vuoto dei beni terreni, così passeggeri, e ci insegna a non riporre in loro la speranza, alimentando nel nostro cuore il desiderio della felicità eterna. Nella sua bontà infinita, il Signore “ci ha colmato di tribolazioni sulla Terra per obbligarci a cercare la felicità in Cielo”,8 assicura Sant’Antonio Maria Claret. Se la nostra esistenza trascorresse senza la presenza di ostacoli, saremmo come un bocciolo di rosa mai sbocciato o un neonato non cresciuto né sviluppato, e non raggiungeremmo mai la pienezza spirituale di un concittadino dei Santi e abitante del Cielo. La sofferenza diventa, allora, un mezzo infallibile di preparazione per contemplare Dio faccia a faccia.

La gloria comprata con la sofferenza

Il Verbo onnipotente, Unigenito del Padre, incarnandoSi è voluto passare per le vicissitudini della condizione umana, per darci un esempio di pazienza.9 La sua Anima santissima, creata nella visione beatifica dal primo istante della concezione, possedeva già tutta la gloria, e questa avrebbe dovuto, naturalmente, riflettersi nella sua Carne. Ma la relazione naturale tra anima e corpo in Lui era sottoposta alla sua divina volontà, cui è piaciuto sospendere questa legge,10 realizzando un miracolo contro Se stesso, poiché ha preferito assumere un corpo sofferente “affinché ottenesse con maggior onore la gloria del Corpo, quando l’avesse meritata con la Passione”.11 Di conseguenza, Egli ha assunto quei difetti corporali derivati dal peccato originale che non sono incompatibili con la perfezione della scienza e della grazia, come la stanchezza, la fame, la sete, la morte.12 Ha voluto nascere in una Grotta, dove ha sopportato il freddo della notte e altri disagi; ha voluto poi vivere in maniera appartata, come Figlio di un falegname, senza rivelare la sua origine eterna e, infine, ha voluto subire una morte violenta per redimerci. Sottoponendosi a tutti i generi di sofferenza umana inferti dall’esterno, 13 Gesù aveva come fine anche indicare il combattimento della croce come causa di elevazione per tutti noi, battezzati, eredi di Dio e coeredi di Cristo (cfr. Rm 8, 17). È quello che ci propone la prima lettura (Is 50, 4-7), nella disposizione di Isaia – prefigura del Redentore – ad affrontare tutti gli oltraggi per amore
di Dio e del prossimo, certo, tuttavia, di non esser disonorato né deluso, perché il Signore verrà in suo aiuto e gli concederà la vittoria.

Le parole di San Paolo ai Filippesi, dopo essersi riferite ai tormenti di Cristo, confermano con maggiore enfasi questo insegnamento: “Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fl 2, 9-11). Il sacrificio del nostro Salvatore, che offre Se stesso al Padre come Vittima perfetta è talmente eccellente, che gli effetti della Passione eccedono di molto il debito del peccato: “Dio Padre ha chiesto a suo Figlio un atto di amore che Gli piace più di quanto gli dispiacciano tutti i peccati messi insieme; un atto di amore redentore, di un valore infinito e sovrabbondante”.14 A causa di questo generoso olocausto, nel quale Si è umiliato e si è svuotato della sua dignità divina rendendoSi simile agli uomini, Nostro Signore ha meritato di essere esaltato, poiché “quando uno, con una giusta volontà, si priva di quello che aveva diritto di possedere, merita che gli si dia di più, come salario della sua volontà giusta”,15 afferma San Tommaso.

Riportandoci all’inizio della celebrazione della Domenica delle Palme, vediamo che se l’entrata trionfale a Gerusalemme precedeva le umiliazioni della Passione, questa, a sua volta, preannunciava la vera glorificazione di Gesù, secondo le sue stesse parole ai discepoli di Emmaus, dopo la Resurrezione: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24, 26).

IV – Il combattimento del cattolico è la sua gloria

La lezione della Liturgia in questo inizio di Settimana Santa deve esser custodita nel ricordo fino al nostro ultimo sospiro: siamo combattenti! Non siamo stati fatti per appoggiare coloro che ripongono la loro speranza nel mondo, ma per difendere il Signore Gesù. Il mondo ci interessa solo come oggetto di conquista per il Regno di Dio, poiché vogliamo essere apostoli, affinché tutti gli uomini sperimentino la nostra gioia di cristiani. Gioia proveniente dalla certezza, infusa dalla fede nell’anima, che un giorno recupererà il corpo in stato glorioso e vivrà l’eternità felice nella convivenza con Dio, con Maria Santissima, con gli Angeli e con i Santi.

Sebbene questo passaggio per la beatitudine abbia come entrata la morte – destino naturale di ogni uomo –, la convinzione che la croce conduce alla luce, cioè, alla vittoria e al trionfo finale, rende l’anima equilibrata, calma e serena, e dà forze per affrontare la morte con fiducia, sapendo che dall’altro lato ci sarà Colui che è morto per noi sulla Croce, pronto a riceverci.

In questa Settimana Santa, uniamoci a Nostro Signore Gesù Cristo e facciamo compagnia alla Madonna nei dolori che, nel corso dei prossimi giorni, si sveleranno davanti ai nostri occhi, con la certezza della gloria che dietro a questi è in attesa di manifestarsi.

Ingresso di Cristo a Gerusalemme

  1) VEGLIA PASQUALE. Annuncio Pasquale. In: MESSALE ROMANO. 
Riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II 
e promulgato dal Papa Paolo VI. Città del Vaticano: L. E. Vaticana, 
1983, p.167.

2) MESSA DEL GIORNO DI PASQUA. Sequenza. In: MESSALE ROMANO. 
Lezionario - Domenicale e Festivo (Anno A). Riformato a norma 
dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato dal 
Papa Paolo VI. Città del Vaticano: L. E. Vaticana, 2007, p.246.

3) Cfr. CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. Una donna ha preceduto 
gli Evangelisti. In: Araldi del Vangelo. Roma. N.59 
(Mar., 2008); p.10-17; Commento al Vangelo della Domenica 
di Pasqua nella Resurrezione del Signore – Anno A, in questo 
stesso volume.

5) SAN BERNARDO. Sermones de Tiempo. En el Santo Día de la Pascua. 
Sermón I, n.1-2. In: Obras Completas. Madrid: BAC, 1953, v.I, 
p.497-498.

6) Idem, n.5-6; p.500-501.

7) Cfr. FILLION, Louis-Claude. Vida de Nuestro Señor Jesucristo. 
Pasión, Muerte y Resurrección. Madrid: Rialp, 2000, v.III, p.212.

8) SANT’ANTONIO MARIA CLARET. Sermones de Misión. 
Barcelona: L. Religiosa, 1865, v.III, p.197.

9) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.14, a.1.

10) Cfr. Idem, ad 2.

11) Idem, q.49, a.6, ad 3.

12) Cfr. Idem, q.14, a.4.

13) Cfr. Idem, q.46, a.5.

14) GARRIGOU-LAGRANGE, op. cit., p.309.

15) SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., q.49, a.6.

Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.