Vangelo

 1 Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: 2 “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. 3 In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: ‘Fammi giustizia contro il mio avversario’. 4 Per un certo tempo egli non volle rispondere; ma poi disse tra sé: ‘Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, 5 poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi’”. 6 Il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. 7 E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? 8 Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla Terra?” (Lc 18, 1-8).

Il giudice e la vedova

Mons. João Scognamiglio Clá Dias,EP

Mons. João Scognamiglio Clá Dias,EP

Con divina didattica, Gesù contrappone all’iniquità di un giudice l’ostinata insistenza della fragilità femminile, per mostrarci la necessità di essere incessanti nella preghiera.

  L’anima umana ha sete di infinito. Da Dio siamo stati creati così e questa è la ragione per cui viviamo nella continua ricerca della felicità totale, senza dolori né ostacoli, in una relazione sociale perfetta e armoniosa. Il desiderio dell’infinito segna profondamente tutte le nostre azioni. Questa è, del resto, la principale causa del sentimentalismo romantico e di molti altri squilibri della convivenza umana, nella quale cerchiamo di soddisfare con le mere creature questa ansia di infinito saziabile solo da Dio.

   Il voler ottenere, a qualsiasi prezzo o sforzo, un bene necessario, o sbarazzarsi di un fastidio insopportabile, non di rado viene penetrato da quest’aspirazione di pienezza. Questi due desideri – di ottenere e di sbarazzarsi – sono la nota dominante della parabola della Liturgia di oggi. La vedova implora incessantemente, il giudice usa sotterfugi e pretesti per evitarla. Alla fine vince l’insistenza della fragilità su un duro cuore amante del benessere.

  Analizziamo la parabola nei suoi dettagli per trarre infine profitto dalle conclusioni che ne derivano.

I – La parabola

 Il giudice iniquo

2 “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno”. 

  Di che giudice si tratti e quale sia la sua città, non si sa. La descrizione comincia come se fosse un racconto per bambini: “C’era in una città…”. L’episodio è volutamente anonimo. Il Divino Maestro desidera con questo modo di procedere, fissare l’attenzione dei suoi ascoltatori sugli aspetti morali e psicologici della parabola e per questo la presenta sprovvista dei suoi eventuali dati storici.

  Il giudice era senza dubbio un giudeo di razza e religione, in caso contrario, Gesù lo avrebbe definito come un uomo che non credeva nel Dio Vero. In realtà, nel suo modo di agire egli rappresenta una chiara personificazione dell’ateismo pratico già comune a quei tempi, anche se non così diffuso come al giorno d’oggi. Probabilmente egli praticava la religione ad esclusione del Primo Comandamento della Legge di Dio. Era, pertanto, un cattivo giudeo.

  Ora, dovendo Dio essere il centro dei nostri pensieri, desideri e azioni, ignorandoLo, o allontanandosi da Lui, gli stessi rapporti umani diventano difettosi e viziati, ossia, si deteriorano tutti i principi del sano rispetto.

  In questo giudice, vediamo ritratto uno dei grandi mali dei nostri tempi: la scomparsa della douceur de vivre, della benevolenza e dell’ammirazione nell’interazione sociale, sia tra uguali, sia tra inferiori e superiori. Considerandosi l’unico punto di riferimento per soddisfare i suoi simili, a lui poco importano queste o quelle loro qualità. Egli si muove secondo la volubilità del soffio dei suoi capricci e non è incline a dar ascolto alle rispettive parti in causa, poiché gli manca lo stimolo necessario a condurre a buon fine le sue cause. L’egoismo è la sua legge.

La vedova importuna

3 “In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: ‘Fammi giustizia contro il mio avversario’”.

   Nella stessa città c’era una vedova. Come in tutte le epoche, la moglie che si viene a trovare non tutelata a causa della morte del marito, diventa una figura degna di pena. Ricadrà su di lei, la parte più fragile, l’onere dell’educazione dei figli, soprattutto dei piccoli, e dell’amministrazione dei beni e della casa. Se non avrà il supporto di amici veri, il suo isolamento potrà diventare veramente drammatico, e gli interessi egoistici di questi o quelli si concentreranno sull’eredità dei minori. Le resterà l’intransigente vigore del suo istinto materno, accompagnato dalle sue lacrime amare. Per niente al mondo ella abbandonerà i bambini nutriti e cresciuti tra le sue braccia. Sarà un modello insuperabile di ostinazione in questo senso. Questo è, molto probabilmente, il caso della parabola.

  La vedova deve aver soffocato il giudice con le sue innumerevoli visite, implorandogli, ogni volta, giustizia contro il suo avversario. Quest’ultimo, magari, era un israelita formatosi nella frode e nella cattiveria che – approfittando dell’esistenza di un arbitro per nulla timoroso della collera divina – aveva dato sfogo alla sua avidità e, così, cercava di estorcere beni, in tutto o in parte, alla inerme e angosciata signora.

  L’appropriazione indebita è sempre esistita in tutti i tempi. Soprattutto nei casi in cui predomina l’assolutismo del più forte, eccitandosi le passioni, si stabilisce la legge della giungla. Cosa potrebbe fare una povera donna, in questa situazione critica, se non ricorrere ai tribunali? D’altra parte, il cattivo israelita avrà grande interesse a mantenere lo status quo e, non essendoci altra soluzione, si impegnerà, nella misura del possibile, a ritardare al massimo qualsiasi verdetto. Ora, le lungaggini non farebbero che aggravare il dramma della triste signora. Di qui la grande insistenza: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.

L’atteggiamento del giudice

4a “Per un certo tempo egli non volle rispondere…”

  Non ci sono sconosciute le lungaggini processuali nel nostro Occidente latino, ma presso i popoli orientali, in quei tempi, le interminabili attese facevano guerra alla più salda pazienza. Dalle stesse Sacre Scritture sappiamo dell’esistenza della corruzione in quell’epoca e, pertanto, si può sollevare la questione: avrà il giudice ricevuto delle proposte, o dei regali, dalla parte contraria? Dall’altra, si aspettava lui qualche offerta dalla vedova per risolvere la sua causa? La verità è che, per qualche motivo, forse per pura disattenzione, pigrizia o capriccio, il giudice rifiutava di ascoltare le preghiere dell’artefice del processo in corso.

  Ancora un’altra ipotesi si potrebbe ventilare per cercare una spiegazione di tale atteggiamento. È noto a tutti che il ritardo molte volte risolve inestricabili problemi. Non era, il magistrato in questione, sostenitore del prender tempo come suo consigliere? Nulla porta a credere che così fosse, poiché egli “non temeva Dio, né rispettava gli uomini” e, pertanto, la virtù non era la legge del suo abituale modo di procedere.

4b “… ma poi disse tra sé: ‘Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, 5 poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi’”.

  La risonanza è un fenomeno fisico che si è mostrato efficace anche in riferimento a ponti solidi e robusti. Quel battere continuo e ritmato su una superficie rigida, minaccia tutta la loro struttura. C’è una reversibilità di questo fenomeno nella psicologia umana: l’insistenza importuna. La vedova non dava pace al giudice, costringendolo a saltare nella sua inazione tra due impacci – o darle vinta la causa, o trovarsela supplicante ad ogni momento –, a scegliere il minore. Egli era arrivato alla nausea e, per evitare di rivederla in ogni istante, decise di soddisfare la sua richiesta. Il motivo che lo portò a prendere tale decisione non è stato per niente nobile né elegante, ma la vedova non si fece mettere in soggezione e nemmeno si lasciò condizionare dal rispetto umano; il suo unico impegno era di ottenere un giusto verdetto.

  Questa parabola ritrae, di passaggio, alcuni aspetti di quel diritto consuetudinario. Nonostante le variazioni rispetto al Diritto Processuale vigente nei paesi occidentali, il caso immaginato dal Divino Maestro ci è interamente assimilabile, non essendoci bisogno di alcun adattamento. Per una sua facile comprensione, Gesù passa direttamente all’applicazione.

Il Giudice Supremo e le anime elette

6 Il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. 7 E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare?”

  Il contrasto è un ottimo strumento di didattica. Gesù si serve delle reazioni di un giudice iniquo di fronte all’ostinata insistenza della fragilità femminile, per compararle agli atteggiamenti del Giudice Supremo. Se un uomo cattivo pratica una buona azione per smettere di esser importunato, quanto più non farà Dio, la Bontà in essenza? Molto diversamente dalla parabola, nell’applicazione si tratta del Vero Giudice, il quale è la Generosità stessa. D’altra parte, chi chiede non è una vedova importuna, ma gli eletti da Dio. Questi non sono indesiderabili. Al contrario, a loro tocca il titolo di “privilegiati”, “amici” e “fedeli”.

  Gesù focalizza in modo speciale i prescelti, in questo versetto. Chi sono? Coloro che amano e temono Dio, i suoi servitori, che vivono nello stato di grazia, si lamentano delle loro debolezze e si pentono delle loro colpe, purificandosi nel perdono divino. Con il progresso chiaro e fermo della teologia, si può affermare che sono eletti tutti i fedeli, come dichiara San Pietro: “Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato” (I Pt 2, 9).

  Si presume erroneamente che un eletto non commetterebbe mai una colpa, e il suo spirito nulla avrebbe in comune con la miseria. Non è vero! La debolezza è utile per mettere in evidenza il potere di Dio: “Perché è nella debolezza che il mio potere si manifesta completamente”, dice Nostro Signore a San Paolo, il quale, a sua volta, completa: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (II Cor 12, 9).

  Questi eletti sono coloro che, molte volte, “subiscono persecuzione per amore della giustizia” (Mt 5, 10) e, non avendo a chi ricorrere su questa Terra, si rivolgono a Dio, chiedendo soccorso, rifugio e protezione. Con frequenza, procedono così giorno e notte. Sarà possibile che il giudice iniquo della parabola esaudisca il grido della vedova, e invece Dio, essendo Padre, non ascolti le suppliche dei suoi amici eletti?

  Ma, uno potrà domandarsi, quando Dio risponderà a queste preghiere? Immediatamente, come sta scritto nel versetto 8: “Vi dico che farà loro giustizia prontamente”.

II – Troverà fede sulla terra?

8 “Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla Terra?”

  Questa frase ha causato qualche difficoltà di interpretazione a numerosi esegeti. Alcuni sostengono che la parabola e la sua rispettiva applicazione si riferiscono agli eventi della fine del mondo, a causa della considerazione finale del Vangelo di oggi. Cercano, pertanto, di far dipendere da questa conclusione del discorso del Divino Maestro, tutta la lezione precedente.

  Attraverso argomenti logici e inconfutabili, altri autori dimostrano che quest’ultima frase è un’appendice, che mantiene una relazione vaga con la parabola precedente.

  In concreto, questa venuta del Figlio dell’Uomo tanto potrà significare la parusia (ritorno glorioso del Signore Gesù alla fine dei tempi), quanto un suo straordinario intervento a beneficio dei suoi eletti.

  Troverà Egli la fede sulla Terra?

  Gesù ci descrive in dettaglio gli avvenimenti immediatamente vicini alla fine del mondo (cfr. Mt 24, 3-51), e in questo suo discorso troviamo elementi riguardanti la rarità della fede nel corso degli ultimi giorni: “Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti” (Mt 24, 24). Si conclude facilmente che la fede perseverante di questi tribolati fedeli è piena di fiducia nella bontà di Dio, nel suo intervento e potere. Fede paziente nelle avversità, traboccante di amore di Dio e per questo continua nella supplica, calorosa nella speranza di ottenere subito quello che chiede.

  A questa domanda fatta dallo stesso Gesù: “troverà fede sulla Terra?”, Egli non ci ha lasciato nessuna risposta. I suoi ascoltatori devono essere usciti pensierosi alla ricerca di elementi per meglio intendere il suo significato, e un po’ stimolati a fare un esame di coscienza. Erroneamente riterremmo che questa domanda sia diretta solo agli astanti. Essa raggiunge anche noi, leggendo il Vangelo di oggi. Se Gesù venisse a noi nell’epoca attuale, troverebbe fede sulla Terra?

III – Vigilanza e preghiera

  Era un vero e proprio sogno, per ogni giudeo, la creazione di un Regno Messianico, di carattere politico, sulla Terra. Il desiderio costante degli israeliti era quello di vedere il proprio popolo dominare sulle altre nazioni. Gli stessi Apostoli, in occasioni diverse, cercavano di sapere dal Divino Maestro se non era giunta l’ora per l’insediamento di questa nuova era.

  La parabola del giudice e della vedova si inserisce esattamente proprio nelle considerazioni a questo proposito. Nei versetti precedenti (cfr. Lc 17, 20-37), Gesù parla del Regno di Dio esteso a tutti gli uomini con la venuta del Salvatore, già presente tra loro. Ammonisce gli astanti su quanto sia indispensabile essere preparati per il grande giorno del Giudizio, dato che non si può conoscere la sua data. Sulla vigilanza, impossibile avere migliori consigli.

  Ma soltanto questa non è sufficiente: “Vegliate e pregate per non cadere in tentazione”, ha detto Nostro Signore (Mt 26, 41). Mancava una parola di incentivo alla preghiera. Di qui la “parabola per mostrare che è importante pregare sempre e non smettere di farlo”. Questo sempre non significa che dobbiamo pregare in ogni istante delle ventiquattro ore del giorno, ma diventa indispensabile mantenere una continuità morale, un’instancabile frequenza nella preghiera.

  Questo sempre può esser sinonimo di “vita intera”. “Non smettere di farlo”, malgrado i ritardi nell’essere esauditi, affrontando o no ostacoli, nella salute o nell’infermità, nella consolazione o nell’aridità.

Nessuno può fare a meno della preghiera

  Non pensiamo che si tratti qui di un semplice consiglio di Gesù. No! È un precetto, un obbligo, nessuno può fare a meno della preghiera. Quanto più si eleva nella vita interiore, maggiore sarà il dovere e la costanza della preghiera.

  “Vegliate e pregate”, ci dice il Divino Maestro, e San Paolo insisterà: “Rimanete vigili nella preghiera” (Col 4, 2) e “Pregate senza interruzione” (I Ts 5, 17). La nostra natura macchiata dal peccato esige da noi questa postura nei confronti della preghiera; ci comanda inoltre di farlo la Santa Chiesa, come stabilito dal Concilio di Trento: “Dio non ordina l’impossibile; e ordinandoci una cosa, ci dice di fare quello che possiamo e di chiederGli quello che non possiamo, come aiuto per poterlo fare”.1

  D’altra parte, l’esaudimento da parte di Dio sarà completo. Egli non guarda al tipo di necessità, né all’origine o alla grandezza della stessa, poiché nulla Gli è impossibile. Avvenimenti, minacce, rischi, uomini, demoni, ecc., tutto sta nelle sue mani e basterà un infimo atto della sua volontà per risolvere qualsiasi problema. Però, non dimentichiamoci che se vogliamo lanciarci contro una difficoltà, usando esclusivamente dei nostri doni naturali e forze, lì non vi sarà impegnata la parola di Dio! È necessario importunar- Lo! Egli così lo esige. Ancora più, è necessario esser incessanti e farGli una specie di “pressione morale”, senza stancarci.

   La continua preghiera degli eletti, che nelle difficoltà chiamano il loro Padre, è infallibile!

  Inoltre, consideriamo l’assoluta necessità della preghiera, a proposito della salvezza eterna, secondo le calorose parole di un grande Dottore della Chiesa, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori:

  “Terminiamo questo primo punto, concludendo da tutto quel che si è detto, che chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna. Tutti i beati, eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti. Questa è, e sarà la loro maggiore disperazione nell’inferno, l’essersi potuti salvare con tanta facilità, quant’era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle”.2

  Ricordiamoci del materno consiglio di Maria: “Fate tutto quello che Lui vi dirà” (Gv 2, 5). Con queste parole, Ella ci conferma ancora più, concludendo il commento al Vangelo di oggi, quanto sia indispensabile pregare sempre. Se vogliamo esser esauditi con maggior profusione e prontamente, facciamolo per intermediazione della sua potente intercessione. Così, saremo graditi a Gesù che diventerà ancora più propizio alle nostre suppliche.

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1) Dz 1536.
2) SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI. El gran medio de la oración. Madrid: Perpetuo Socorro, 1957, p.103-104.