Basilica della Madonna del Rosario.

Vangelo

In quel tempo, 11b Gesù accolse le folle e prese a parlar loro del Regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12 Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: “Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta”. 13 Gesù disse loro: “Dategli voi stessi da mangiare”. Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente”. 14 C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli: “Fateli sedere per gruppi di cinquanta”. 15 Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti. 16 Allora Egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17 Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste (Lc 9, 11b-17).

Il più sostanzioso dei banchetti

Creando l’uomo con la necessità di alimentarsi, Dio ha voluto stabilire nella nutrizione il sostentamento della vita naturale. Questa situazione è immagine della vita della grazia, la cui base è anche un alimento celeste: l’Eucaristia.

I – l’alimentazione è connaturale all’uomo

La vita nel Paradiso offriva all’uomo innumerevoli piaceri e gioie, poiché l’armoniosa disposizione di tutte le cose lo riempiva di benessere. I nostri progenitori si trovavano attorniati da molti privilegi concessi da Dio, affinché la felicità dell’esistenza terrena li portasse ad amarLo nella maniera più perfetta. Uno di questi diletti, forse poco considerato, ma prezioso, era la facilità con cui potevano servirsi dei migliori alimenti. San Tommaso d’Aquino insegna che, essendo l’alimentazione parte del mandato divino (cfr. Gen 2, 16), l’uomo peccherebbe se non mangiasse.1 Non era necessario, però, lavorare per preparare il cibo, poiché la natura stessa offriva le più deliziose prelibatezze, pronte per essere degustate. Una prova di questo è che Adamo, quando fu posto fuori dall’Eden, udì da Dio queste dure parole: “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane” (Gen 3, 19). Il castigo rivela che prima egli lo riceveva senza fatica, sebbene non sappiamo esattamente come questo succedesse.

Con il peccato originale, l’uomo ha perduto questo e tanti altri benefici, come ricorda San Giovanni Crisostomo: “Fu come se Dio gli avesse detto: Io ti ho preparato, creandoti, un’esistenza esente da dolori, lavoro, fatiche e inquietudini. Tu hai goduto di una felicità perfetta e, senza conoscere nessuna delle tristi soggezioni del corpo, hai goduto in pienezza di tutte le delizie della vita. Ma non hai saputo apprezzare questo felice stato, ed ecco che io maledico la terra. D’ora in avanti, se non la lavorerai e non la coltiverai, essa non ti darà più come prima i suoi diversi prodotti; io aggiungerò ai lavori e alle penose fatiche anche le malattie e i continui sforzi, in modo che tu non possiederai cosa alcuna se non al prezzo del tuo sudore, e questa così dura esistenza sarà una continua lezione di umiltà e un ricordo del tuo nulla”.2

Nonostante la severità del rimprovero, Dio agì con misericordia e unì la clemenza al rigore, non sottomettendo l’umanità ad un’alimentazione meschina. Vediamo che, nel corso dei secoli, tenendo conto di questa necessità dell’uomo, Egli andò unendo le benedizioni concesse a un popolo, a un gruppo o a una famiglia, alla facile e abbondante produzione degli alimenti. Per esempio, promettendo ai Giudei una terra in segno di Alleanza, mise in evidenza che in essa sarebbe corso “latte e miele” (cfr. Es 3, 8.17; Dt 6, 3; Nm 13, 27).

L’alimento, gioia per l’uomo

Il cibo di buona qualità e abbondanza dà gioia all’uomo. Questo si verifica quando abbiamo, per esempio, la possibilità di andare in un buon ristorante e provar qualche piatto particolarmente saporito: ne usciamo soddisfatti e persino generosi. Pittoresco è l’atteggiamento di Sant’Ignazio di Loyola, che aveva l’abitudine di invitare compiaciuto il giovane Benedetto Palmio a partecipare alle sue refezioni per il piacere di vederlo mangiare bene, stimolandolo a farlo con tutto agio e senza arrossire.3 Inoltre, in qualunque cultura, quando uno desidera commemorare un avvenimento sociale importante, come una laurea o un matrimonio, è solito offrire un banchetto, invitando familiari e amici a festeggiare intorno alla buona tavola. Il cibo possiede l’indispensabile funzione di nutrire la vita e la salute, è vero, ma non è questo il suo ruolo più elevato, visto che ha l’utilità sociale di favorire il convivio di coloro che partecipano alla stessa refezione. Egli rende possibile una particolare intesa tra le persone.

Il cibo abbondante e di buona qualità reca gioia all’uomo

Il Principe di Talleyrand, grande diplomatico francese, quando aveva casi importanti da trattare con rappresentanti di altre nazioni, faceva chiedere al re di cedergli il suo cuoco personale e si muniva delle migliori specialità culinarie nazionali come vini, champagne e formaggi. Ed era durante una festa, intorno alla tavola piena di prelibatezze, che risolveva le questioni più intricate dell’alta diplomazia. Una spiritosa affermazione fatta da lui a Luigi XVIII, prima del cruciale Congresso di Vienna, lasciò per iscritto la sua convinzione sull’efficacia di questo metodo: “Sire, io ho bisogno più di pentole che di istruzioni scritte”.4 La tavola è un mezzo per facilitare il convivio e allietare gli animi, cosa che non sempre si ottiene con semplici parole.

La Santa Chiesa, pertanto, con molta proprietà, ha scelto per la Solennità del Corpus Domini la narrazione evangelica nella quale il Creatore stesso del Cielo e della Terra offre a coloro che Lo seguono un’incomparabile refezione, che preannuncia il banchetto spirituale del suo Corpo e Sangue, nel quale Egli è il Divino Anfitrione e allo stesso tempo l’Alimento. Potrà esserci intorno a una tavola un convivio più intimo e sublime?

II – Un miracolo portentoso prepara l’Eucaristia

Il miracolo della moltiplicazione dei pani è l’unico che viene raccontato in tutti e quattro i Vangeli, particolare molto indicativo della sua importanza. Il fatto si situa nel periodo aureo della vita pubblica di Nostro Signore e ha concorso, in grande misura, a consacrare in Israele la sua fama di Profeta e Taumaturgo. In quest’occasione Egli era partito accompagnato soltanto dagli Apostoli e S’incontrava nell’appartata regione di Betsaida Julia, a nordest del Lago di Tiberiade. Da poco era avvenuta l’uccisione di San Giovanni Battista voluta da Erode, le cui curiose meditazioni ora si rivolgevano al Divino Redentore, un Personaggio infinitamente maggiore del Precursore. Per questo il governante spiava un’occasione propizia per approssimarsi a Gesù, motivato, a quanto tutto indica, da frivole o perverse intenzioni. La sapienza di Colui che sonda le reni e i cuori, intanto, non ignorava l’astuzia di quest’uomo, e “con questo rapido allontanamento sembra aver voluto evitare la vicinanza del tetrarca”,5 dice Fillion. Tuttavia, se il pretenzioso Erode perse l’occasione desiderata, lo stesso non successe con il popolo, che subito seppe dove era ormeggiata la barca del Maestro e si mise in cammino, via terra, per incontrarLo.

La ricompensa di quelli che cercano il Regno di Dio

In quel tempo, 11b Gesù accolse le folle e prese a parlar loro del Regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

Qual sarà stata la ragione che ha portato la moltitudine a seguire Nostro Signore? Come narrano gli evangelisti, non ci fu un solo malato che, avvicinandosi a Lui con fede, chiedendo la guarigione, non venisse esaudito. Questo impressionava l’opinione pubblica, dato che a quel tempo la medicina ancora non aveva raggiunto un grande progresso, concorrendo a rendere i miracoli di maggiore impatto. Egli suppliva all’inefficacia della scienza con uno sguardo, un’imposizione di mani, un desiderio o un tocco che fosse, e guariva tutti in un solo istante. Quella gente era abbagliata dai segnali divini che trasparivano nell’umanità di Cristo, si rendeva conto di quanto i suoi insegnamenti meritassero ogni credito e rispetto e Lo seguiva.

12 Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: “Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta”.

Moltiplicazione dei pani

Nostro Signore insegnò: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33). La moltitudine, in consonanza con il consiglio divino, seguiva Gesù in quella circostanza con la convinzione che Egli era uno straordinario Profeta. Erano desiderosi di guarigioni, sì, ma anche cercavano la verità, la dottrina, volevano conoscere di più Dio e le realtà eterne.

Gli Apostoli, però, erano preoccupati per i provvedimenti materiali. Non riuscivano a capire che se il Maestro guariva in quella maniera poteva anche realizzare altri miracoli e forse temevano di esser mandati a procurare il cibo per quella così grande moltitudine. Per questo motivo propongono subito a Nostro Signore di congedare il popolo, con una fuga sottile da questa responsabilità. Ora, Egli poteva perfettamente sfamare tutti, perché chi guarisce uno storpio, un cieco o un sordomuto è capace di rimediare anche un’altra malattia molto più lieve chiamata fame. Tuttavia, siccome quello cui Egli mirava era formare gli Apostoli, diede loro una risposta sorprendente.

Nostro Signore mette gli Apostoli alla prova

13 Gesù disse loro: “Dategli voi stessi da mangiare”. Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente”. 14a C’erano infatti circa cinquemila uomini.

Il Salvatore ordinò agli Apostoli, allora, di dare da mangiare alla moltitudine, per metterli alla prova, poiché sapeva quello che avrebbe fatto (cfr. Gv 6, 6). Ma essi, insospettiti, commentavano che, come disse Filippo (cfr. Gv 6, 7), anche se avessero avuto duecento monete d’argento, non sarebbero state sufficienti per comprare il pane e distribuirne un pezzo per ciascuno degli astanti: cinquemila uomini, oltre alle donne e ai bambini, quindi un numero molto più alto. E anche se avessero posseduto il denaro, dove avrebbero trovato una tale quantità di pane in vendita in quell’ora tarda? Anche Sant’Andrea sottolinea questa situazione, dicendo che l’unico venditore di cibo in quella folla era un bambino che aveva cinque pani e due pesci (cfr. Gv 6, 8-9). “Credeva” – commenta San Giovanni Crisostomo – “che l’Autore dei miracoli con poco avrebbe fatto poco, e con molto avrebbe fatto di più; il che, chiaramente, non era così”.6

Essendo Dio, Nostro Signore aveva il dominio assoluto sulla materia e poteva trarre creature dal nulla, senza aver bisogno dei cinque pani e due pesci, dal momento che la sua volontà era sufficiente a produrre il cibo che saziasse la moltitudine. “Infatti, Gli era facile far sorgere indistintamente, da molti o da pochi, una grande quantità di pani, poiché non aveva bisogno della materiaprima”.7 Comunque, Egli chiese agli Apostoli quello che avevano a portata loro, anche se si trattava di parchi viveri. Apprendiamo, con l’esempio che questo passo ci offre, a non negare nemmeno il poco che abbiamo quando lo chiede Gesù, ricordandoci che questo poco può servire da pretesto a che Egli realizzi grandi meraviglie.

14b Egli disse ai discepoli: “Fateli sedere per gruppi di cinquanta”. 15 Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti.

Con questa semplice raccomandazione, il Divino Maestro manifesta il suo perfetto senso di ordine. Per evitare il trambusto o un corri corri generale, e affinché la distribuzione fosse fatta con calma e anche in modo cerimonioso, dispone che le persone si siedano in gruppi. Inoltre, come osserva anche San Giovanni Crisostomo, Egli agì in questo modo “per mostrare che, prima di mangiare, si deve render grazie a Dio”.8

Miracolo che è immagine dell’Eucaristia

16 Allora Egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17a Tutti mangiarono e si saziarono…

Difficile è non mettere in relazione i gesti di Gesù in questa scena con quelli che più avanti avrebbe adottato per istituire il Sacramento dell’Eucaristia. Egli, con questo, stava preparando le moltitudini al grande mistero che sarebbe stato rivelato qualche tempo dopo. La grandezza del miracolo è indicata dalle parole: “Tutti mangiarono e si saziarono” o, come scrive San Giovanni, “tanto quanto volevano” (6, 11). Possiamo supporre che ognno dei presenti abbia ottenuto anche, oltre alla quantità necessaria a saziare la fame del momento, una quantità eccedente da portare a casa. Un tale immenso beneficio affluiva, nelle parole di San Gregorio di Nissa, “dai granai inesauribili del divino potere”.9

17b …e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste.

Ancora una volta il testo evangelico lascia trasparire in Nostro Signore l’apprezzamento per l’ordine e anche per la pulizia, e quanto Egli sia amante della disciplina, non lasciando gli avanzi per terra. Furono raccolti i pezzi restanti che riempirono dodici ceste. Ha voluto Gesù che il numero coincidesse con quello degli Apostoli, affinché essi stessi caricassero i fardelli e confermassero la dimensione del miracolo di cui prima avevano diffidato. “Questo si verificò in funzione dell’istruzione dei discepoli. […] Per lo stesso motivo avvenne che il numero di canestri fosse esattamente uguale a quello dei discepoli. […] Non mi meraviglia soltanto la grande quantità di pani, ma anche, e in pari modo, l’esattezza degli avanzi, facendo sì che non avanzassero né più né meno, ma proprio la quantità che voleva”.10

È chiaro il potere del Signore Gesù sulla materia in generale, sull’alimento e, in concreto, sul pane, per il modo con cui Egli lo moltiplica in base ai suoi disegni, non permettendo che nemmeno i resti siano buttati via. Allo stesso modo, istituendo più tardi l’Eucaristia, non avrebbe voluto che i frammenti del Pane consacrato fossero trattati senza venerazione, come pretendono certi increduli che difendono la Presenza Reale nelle specie eucaristiche solo durante l’atto liturgico. Ugualmente è degno di nota che Egli, per un principio simbolico, non permise che fosse gettato nulla per insegnarci che non si deve perdere nessuno. Anche se un’anima sta percorrendo le vie del peccato, è necessario impegnare tutti gli sforzi per recuperarla, perché è questo il divino desiderio: “Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato” (Gv 18, 9).

Egli ha voluto che il miracolo avvenisse con tutte queste caratteristiche per facilitare la comprensione del grande dono che in breve avrebbe offerto loro: la Sacra Eucaristia. Avendo dimostrato di possedere un così grande potere sul pane, lasciava chiaramente intendere che, se lo avesse desiderato, avrebbe potuto togliergli la sostanza originale per dar luogo al suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità,11 sebbene rimanessero gli stessi accidenti – sapore, apparenza, consistenza, odore. In questo modo, Gesù creava le condizioni affinché le persone con fede corrispondessero al dono ineguagliabile che, da tutta l’eternità, aveva preparato.

III – L’immenso dono dell’Eucaristia

A partire da questo episodio che contempliamo qui secondo la penna di San Luca, San Giovanni, a sua volta, nel suo Vangelo, dimostra nella sequenza della narrazione che con questo miracolo Nostro Signore avesse come fine la rivelazione formale dell’Eucaristia. Il miracolo della moltiplicazione dei pani è soltanto un’introduzione – pallida, ma quanto accurata – scelta dal Redentore per sottolineare il tema eucaristico e svolgerlo con straordinaria chiarezza nel discorso sul Pane della Vita (cfr. Gv 6, 22-59). Ecco la ragione per cui viene ricordato dalla Chiesa commemorando la Solennità del Corpus Domini.

Il significato profondo del miracolo sta nel fatto che Dio ha creato l’uomo con la necessità digestiva – come abbiamo accennato all’inizio – perché Si sarebbe offerto come alimento. Egli, che avrebbe potuto crearci con la sussistenza basata solamente nell’aria, per esempio, ha voluto che avessimo la necessità di mangiare, affinché fosse evidente che, così come nell’alimentazione si trova la base della vita naturale, l’essenza della vita della grazia è nell’Eucaristia.12

Un banchetto per l’anima

Adorazione al Santissimo Sacramento

L’Eucaristia è un sacro banchetto – “o sacrum convivium”,13 dice la bella antifona composta da San Tommaso per l’Ufficio Divino di questa Solennità –, nel quale abbiamo uno speciale convivio con il Signore Gesù; un banchetto divino perché è offerto da Dio, realizzato con Dio, a proposito di Dio. Incomparabilmente più che uno champagne di eccellente qualità, più che un caviale russo, più che qualunque prelibatezza si possa concepire, alla tavola dell’Eucaristia è offerto il Corpo, Sangue, Anima e Divinità del Salvatore. È Dio stesso che Si dà a noi come alimento di valore infinito, il cui effetto i ristretti limiti della nostra intelligenza non raggiungono. È il mysterium fidei. Se San Tommaso afferma che la minima partecipazione alla vita della grazia supera tutto l’universo creato,14 che dire del valore dello stesso Creatore della grazia? L’Eucaristia è di conseguenza il più importante di tutti i Sacramenti quanto alla sostanza, perché consiste nello stesso Dio e Autore della grazia, mentre gli altri trasmettono appena la grazia, la partecipazione creata alla vita divina increata.15 È per questo, insegna ancora il Dottor Angelico, che tutti gli altri Sacramenti esistono in funzione dell’Eucaristia, sebbene non sia questa la porta degli altri, come lo è il Battesimo.16 Tutte le ricchezze della Terra sono come polvere vicino al Santissimo Sacramento, manifestazione dello straordinario amore di Dio verso di noi!

Gli effetti del più eccelso Sacramento

Qual è, allora, l’unione con Nostro Signore prodotta da un così alto dono? Dice il Vangelo: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e Io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per Me” (Gv 6, 57). Sempre che stiamo nella grazia di Dio, Egli permane in noi e noi permaniamo in Lui, poiché per la sua divinità è l’unico Essere che può inabitare in noi. Quest’unione s’intensifica nell’ora della Comunione, quando, oltre all’inabitazione della Santissima Trinità, si aggiunge la presenza del Corpo Glorioso, Sangue e Anima di Nostro Signore Gesù Cristo: “mens impletur gratia”,17 l’anima diventa piena di grazia. “Non c’è Sacramento più salutare di questo per purificare i peccati, dare nuove forze e arricchire lo spirito con l’abbondanza di tutti i doni spirituali”,18 afferma il Dottor Angelico. È una vera fonte di ogni grazia, per cui, a rigore, una sola Comunione sarebbe sufficiente a renderci santi!

Questa unione è così alta che è difficile trovare un esempio nella natura che si avvicini a tale realtà soprannaturale. Una spugna secca subito s’impregna quando viene lanciata nell’acqua, ma l’unione con Cristo nell’Eucaristia è molto maggiore, poiché nella spugna l’acqua occupa spazi vuoti, nell’Eucaristia, invece, Egli ci “impregna” per intero. Per impiegare un’altra immagine, è come se togliessero tutto il nostro sangue da una delle vene e da un’altra fosse introdotto il Sangue del Signore Gesù. Per esprimere una così sublime realtà, San Cirillo di Alessandria propone la metafora della cera: “Così come la cera sciolta aggiunta ad altra cera si mescola perfettamente, costituendone una sola, anche colui che riceve il Corpo e il Sangue del Signore si unisce a Lui così strettamente, cheCristo è in lui e lui in Cristo”.19 È un’unione così forte che potremmo ben chiamare di “mutua compenetrazione”, la quale dura finché le specie eucaristiche permangono in noi.

Non è senza ragione che San Tommaso, nella stessa antifona, continua a dire con acutezza che l’Eucaristia è “pegno della nostra salvezza e ingresso nella vita eterna”.20 Infatti, per arrivarci c’è una serie di condizioni, tra le quali quella di comunicarsi. Mentre siamo sulla Terra, viviamo al di fuori della vera Patria: il Cielo. Dio ci fa passare per le afflizioni di questa valle di lacrime perché ci darà così tanta gloria che, se non avessimo sperimentato il dolore, crederemmo di meritare il premio offerto, il quale, in verità, è molto al di sopra di noi.

IV – Facciamo crescere questa semente!

Quando analizziamo una semente, sappiamo che da lì può nascere un enorme albero. E la grazia è una semente della gloria. Se in questa vita saremo fedeli alle grazie ricevute per mantenerci con integrità entro la pratica della virtù e obbedienti alla Legge di Dio, proteggeremo la nostra semente e la faremo germinare. Basta collocarla nella terra e trattarla con cura che essa si svilupperà. Al contrario, piccoli atti d’invidia, di comparazione, una bugia senza importanza o, peggio ancora, un peccato mortale, tolgono il vigore da quel germe e impediscono che da lui nasca l’albero, ossia, che fiorisca per la gloria eterna. Come dobbiamo agire per conservare la nostra semente, in modo tale che non solo venga a dare un albero, ma che questo sia colmo di frutti? Attraverso la Comunione frequente. La Comunione è pegno di gloria futura, è come una certificazione firmata da Dio che ci saranno aperte le porte del Cielo. Tutti quelli che si alimentano del Corpo e del Sangue di Nostro Signore resusciteranno nell’ultimo giorno e otterranno l’eternità felice, poiché Egli ha promesso: “Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna e Io lo risuscite rò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 54). Chi ci risusciterà è Lui. E così come crediamo che Egli è nell’ostia e nel vino consacrati, che è realmente la Seconda Persona della Santissima Trinità incarnata, che è morto in Croce per redimerci e ora è seduto alla destra di Dio Padre, dobbiamo anche credere con ogni certezza nella sua promessa di esser risuscitati in corpo glorioso se seguiamo la sua raccomandazione.

Senza dubbio, verifichiamo, con dispiacere, come questo dono sia dimenticato e, a volte, persino disprezzato, poiché la maggior parte delle persone non dà sufficiente valore all’Eucaristia e trascura la Comunione, oltre ad abbandonare Gesù Ostia nel tabernacolo. Se sapessimo, per esempio, che prendendo tutti i giorni un elisir misterioso ci trasformeremmo nella persona più ricca, più bella o più intelligente del mondo, saremmo disposti a qualsiasi sacrificio per ottenere tale bevanda. Ora, con l’Eucaristia non si tratta di diventare ricchi, belli o intelligenti, ma di ricevere la maggior ricchezza, bellezza o intelligenza che possa esistere: l’eterna beatitudine.

Nostro Signore mette in guardia sul valore di questo dono nella parabola del banchetto (cf. Mt 22, 2-14), in cui un re invita i suoi sudditi a partecipare a una grande festa. Dio chiama tutti gli uomini al banchetto eterno, e questo comincia qui sulla Terra, con l’Eucaristia. Possiamo comunicarci sempre quando vogliamo. Il Santissimo Sacramento rimane a nostra disposizione in innumerevoli chiese e molti ancora fanno la stessa cosa dei servi malvagi della parabola, che hanno preferito trattare delle loro faccende e hanno lasciato il re da solo. Se avessimo la possibilità di comunicarci un’unica volta durante la vita potremmo considerare tutta la nostra esistenza come molto ben impiegata. Ed Egli si offre a noi quotidianamente… Che insondabile misericordia!

Nostro Signore con la Sacra Eucaristia

Azione di grazie insieme con Maria

Davanti a tanta sublimità, come dovrebbe esser la nostra azione di grazie nel comunicarci? Dovrebbe essere un’estasi d’amore! Fatta con tutto l’affetto e devozione, profonda e seria, piena di pietà, incanto, fuoco ed entusiasmo, e non un vaniloquio vuoto, inframmezzato da distrazioni, estraneo al tesoro che portiamo dentro di noi.

Con che raccoglimento e adorazione si sarà comunicata Maria Santissima! Il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira ha composto una bella preghiera rivolta alla Madonna, nella quale interpreta la supplica di un fedele che vorrebbe ricevere l’Eucaristia con disposizioni simili a quelle di Lei: “Madre mia, quando Gesù era nel tuo chiostro, Tu hai trovato innumerevoli cose da dirGli; vedi, invece, che miserie io dico nel momento in cui Lo ricevo nella Sacra Eucaristia! Per questo Ti prego: parlagli per me, Madre mia, e diGli tutto quanto io vorrei esser capace di dire, ma non sono. AdoraLo come io vorrei adorarLo; daGli l’azione di grazie che io vorrei darGli; presentaGli atti di riparazione per i miei peccati e per quelli del mondo intero, con un calore di riparazione che, purtroppo, io non ho”.21

Siamo dunque, sull’esempio della Madonna, molto scrupolosi nella nostra azione di grazie: convinti di quanto abbiamo da ringraziare Gesù, da lodarLo e adorarLo, senza dimenticarci di chiedere perdono per le nostre colpe. Che questa Solennità del Corpus Domini sia l’occasione ideale per infervorare il nostro cuore con un amore più intenso per la Sacra Eucaristia, poiché è in questo alimento celeste che troveremo le forze per affrontare le difficoltà della vita, per ottenere l’eternità felice. Guidati dall’insuperabile esempio di Maria, abbiamo la ferma convinzione che Egli si compiace per l’azione di grazie di un peccatore che si riveste dei suoi meriti: “Dobbiamo chiedere che la Madonna sia spiritualmente presente nella nostra Comunione affinché riempia, in qualche modo, l’infinito spazio che ci separa dal suo Divino Figlio, il quale ci accoglierà, soddisfatto per essere ricorsi a sua Madre. Egli allora ci dirà: ‘Tu sei un figlio di Maria, Madre mia, chiedimi quello che vuoi’”.22 Oltre alle richieste individuali che possiamo e dobbiamo fare, imploriamo la grazia di realizzare fruttuosamente tutto quello che è alla nostra portata per la maggior gloria di Dio ed esaltazione della Santa Chiesa.

1) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.97, a.3, 
ad 3.


2) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Homiliæ in Genesim. 
Cap. III Genes., hom. XVII, n.9: MG 53, 146. 

3) Cfr. GARCÍA-VILLOSLADA, SJ, Ricardo. San Ignacio de Loyola. 
Nueva Biografía. Madrid: BAC, 1986, p.598.


4) CASTELOT, André. Talleyrand ou le cynisme. 
Paris: Perrin, 1980, p.536.


5) FILLION, Louis-Claude. Vida de Nuestro Señor Jesucristo 
según los Evangelios. Madrid: Edibesa, 2000, p.205.


6) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Homilía XLII, n.2. 
In: Homilías sobre el Evangelio de San Juan (30-60). 
Madrid: Ciudad Nueva, 2001, v.II, p.141.

7) Idem, ibidem. 

8) Idem, p.141-142.


9) SAN GREGORIO DI NISSA, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. 
Catena Aurea. In Lucam, c.IX, v.10-17. 

10) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Homília XLII, n.3. 
In: Homilías sobre el Evangelio de San Juan (30-60), 
op. cit., p.143.


11) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Summa Teologica. III, q.75, a.4. 

12) Cfr. Idem, q.79, a.1.

 13) SAN TOMMASO D’AQUINO. Officium Corporis Christi 
“Sacerdos”. Vesp. II, antiph. ad Magnificat.


14) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Summa Teologica. I-II q.113, 
a.9, ad 2. 

15) Cfr. Idem, III, q.65, a.3.


16) Cfr. Idem, ibidem. 

17) SAN TOMMASO D’AQUINO, Officium Corporis Christi 
“Sacerdos”, op. cit.

18) Idem, noct.1, lect.2.


19) SAN CIRILLO DI ALESSANDRIA. In Ioannis Evangelium. 
L.IV, c.2: MG 73, 365.

 20) SAN TOMMASO D’AQUINO. Officium Corporis Christi 
“Sacerdos”. Vesp. II, antiph. ad Magnificat.


21) CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. São Paulo, 
24 mar. 1984. 

22) CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Mane nobiscum Domine. 
In: Dr. Plinio. São Paulo. Anno XIII. N.143 (Feb., 2010); p.17.

Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.