Nel 1759, re Carlo di Napoli ereditò la Corona spagnola, diventando noto come Carlo III. Dalla città del Vesuvio, egli portò a Madrid la tradizione di confezionare magnifici presepi in stile napoletano, stimolando questo bel costume quanto ha potuto nel suo nuovo regno.

  Rese così prestigiose dal potente Re delle Spagne, tali curiose rappresentazioni della nascita del Signore entrarono nella loro età d’oro. Gli scenari crebbero di dimensioni e i personaggi secondari si moltiplicarono. Aspetti comuni della Napoli del XVII secolo cominciarono a disputarsi il terreno con la tranquillità della Betlemme evangelica. I più svariati tipi umani, abiti, mercati, edifici, alimenti, strumenti musicali e armi, tra altri mille dettagli, trovarono rifugio nella scenografia natalizia. I presepi si sono trasformati in opere d’arte di grande valore e hanno messo in risalto il contrasto tra il sacro e il profano.

  La serena sobrietà della Sacra Famiglia rimase avvolta dal pragmatismo dei personaggi secolari: commercianti assorti nelle loro faccende, borghesi occupati a lucrare, artigiani assorti nelle loro manifatture. Ognuno a suo modo affannato nel godimento della vita, estraneo al grandioso evento che incornicia, evocando il clima di disinteresse con cui il mondo ha ricevuto il suo Salvatore.

  È sempre in quest’epoca che le rovine dell’antichità hanno cominciato a servire da sfondo per i presepi napoletani, riflettendo l’impatto che causò nell’opinione pubblica la scoperta delle antiche città romane di Ercolano e Pompei, recuperate dall’oblio nel 1738 e 1748, grazie agli scavi finanziati dal monarca spagnolo. Perciò, la Grotta della nascita del Signore cominciò a essere presentata sotto la forma di un tempio pagano sul punto di crollare, nel cui seno nasceva Gesù, il Salvatore dell’universo.