La parabola della zizzania

Vangelo

In quel tempo, 24 Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: “Il Regno dei Cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25 Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26 Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. 27 Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: ‘Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?’ 28 Ed egli rispose loro: ‘Un nemico ha fatto questo’. E i servi gli dissero: ‘Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?’ 29 ‘No’, rispose, ‘perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30 Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio’”. 31 Un’altra parabola espose loro: “Il Regno dei Cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami”. 33 Un’altra parabola disse loro: “Il Regno dei Cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti”. 34 Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, 35 perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: “Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo”. 36 Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: “Spiegaci la parabola della zizzania nel campo”. 37 Ed egli rispose: “Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’Uomo. 38 Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del Regno; la zizzania sono i figli del maligno, 39 e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli Angeli. 40 Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41 Il Figlio dell’Uomo manderà i suoi Angeli, i quali raccoglieranno dal suo Regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità 42 e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. 43 Allora i giusti splenderanno come il Sole nel Regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!” (Mt 13, 24-43).

Zizzania, senape, lievito ed il Regno

Mons. João Scognamiglio Clá Dias,EP

Correggere le convinzioni errate del popolo giudeo
sul Regno messianico, porre l’accento su quanta fede
dobbiamo aver nella forza di espansione della Chiesa e
insistere sulla necessità della vigilanza – questi sono i
principali obiettivi di queste parabole.

I – Introduzione

Come una cornice può dare il suo contributo a che una bella pittura possa essere meglio apprezzata, così le scene evangeliche, in tutta la loro semplicità, frequentemente contribuiscono a mettere in risalto la figura dei loro protagonisti.

Sapendo che le parabole in questione sono state pronunciate da Gesù in una barca, ancorata presso la spiaggia lungo la costa del Mar di Galilea, viene da chiederci come doveva svolgersi la scena. Immaginiamo acque tranquille e silenziose e una moltitudine incuriosita, pigiata sulla riva ad ascoltarLo e vederLo, mentre invece Gesù sta nella barca, seduto su una panca di legno rustico, pronunciante affascinanti metafore. Poesia e logica, incanto e sapienza, semplicità e grandezza, si baciavano compenetrandosi in un rapporto strettissimo, e correggevano i concetti erronei di quel popolo riguardo al Regno messianico.

Nel corso dei secoli, si era sviluppata tra i giudei una mentalità trionfalista a proposito dell’agognato Messia. Essi sostenevano che il suo arrivo avrebbe inaugurato un regno stabile, splendido, giusto, che avrebbe visto l’eliminazione dei peccatori e la conseguente instaurazione di una nuova Era nella quale non ci sarebbe più stata la malvagità umana. Evidentemente, questo ragionamento si fondava su premesse già di per sé errate, che portavano ad una conclusione del tutto equivoca: nella loro logica non tenevano in considerazione l’esistenza del peccato originale e di quello attuale.

A causa dell’influenza dei farisei, il trionfo dei buoni – che di fatto sarà folgorante nel Giudizio Finale – era visto erroneamente da quegli ebrei come l’essenza di un’era storica caratterizzata dalla supremazia della virtù. E qui si trova uno dei principali obiettivi della parabola della zizzania e del grano: rettificare la distorta visione farisaica sulla possibilità di una purificazione assoluta del Regno. Oltretutto, questo getta una luce insuperabile per lo sviluppo della Chiesa Cattolica nel corso dei secoli, da molteplici punti di vista, come vedremo più avanti.

II – La parabola della zizzania

Per trarre il maggior profitto dalla sapienza degli insegnamenti del Divino Maestro, è molto utile raffigurarci la scena, i costumi, e persino la psicologia di quei tempi. Questo procedimento non solo ci permette di assaporare ampiamente la profondità di ogni passaggio, ma ci rende anche più facile trasporre le sue applicazioni alla nostra vita attuale.

Il Vangelo della scorsa domenica ci ha introdotto a questa sequenza di sette parabole pronunciate dal Salvatore (cfr. Mt 13, 1-23). Come abbiamo visto, Egli ha scelto la riva del lago per proferirle. A quei tempi i rumori del mondo moderno, con motori di ogni genere, non esistevano, neppure nell’immaginazione. La vita era molto organica e scorreva tranquillamente.

Era veramente benefico il silenzio vicino ad acque tranquille. Inoltre, la riva in leggero declivio costituiva uno splendido e naturale anfiteatro che consentiva al Signore di sederSi nella barca mantenendo un contatto visivo con tutti i presenti. La sua voce, chiara e forte, si faceva sentire facilmente anche da coloro che si trovavano nel punto più lontano.

Infatti proprio come ai giorni nostri, la possibilità di irrigazione invitava i contadini a coltivare i loro campi in quei paraggi. È senz’altro plausibile che si trattasse di un pubblico molto abituato alle immagini del mondo agricolo usate da Gesù in quell’occasione. Così, approfittando degli elementi utilizzati per esporre la parabola del Seminatore, Egli comincia a elaborarne un’altra, al fine di chiarire altri misteri del Regno dei Cieli.

Il seminatore

Il seminatore

In quel tempo, 24 Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
“Il Regno dei Cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato
del buon seme nel suo campo”.

A prima vista – ed a ragione – siamo portati a credere che si tratti di un uomo ricco, tanto più per il fatto che egli possedesse servi. Qual è la ragione per la quale non li manda a seminare e, al contrario, lavora egli stesso i campi con le proprie mani? Alcuni esegeti hanno manifestato questa perplessità. Intanto, come più avanti vedremo, è ricca di senso l’immagine proposta dal Divino Maestro.

Conviene anche puntualizzare che Gesù, nell’affermare che il Regno dei Cieli “si può paragonare a un uomo”, non ha voluto limitarSi esclusivamente a una persona, ma a tutta la scena nella quale quest’uomo svolge un ruolo, conformemente a quanto asserisce il teologo gesuita Padre Juan de Maldonado1 con il quale concordano i commentatori attuali.

Si noti anche trattasi di “buona semente”, poiché, in caso contrario, i frutti non sarebbero stati buoni. La terra infatti si caratterizza per la sua fedeltà, cioè essa ritorna quello che le è stato dato. Se la semente è di cattiva qualità, dello stesso tenore sarà il raccolto. Ma il riferimento alla seminagione della buona semente non è l’obiettivo principale della parabola; il momento cruciale è quando essa fa riferimento all’attività del nemico, come subito vedremo.

25 “Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò
zizzania in mezzo al grano e se ne andò”.

I commentatori si chiedono se non c’è stata incuria da parte dei servitori. Gli antichi sono rigorosi nell’interpretazione di queste parole come afferma Maldonado: “Tutti gli interpreti antichi vedono in coloro che dormivano i Vescovi e coloro che hanno nella Chiesa la cura delle anime. E – avverto – anche se a molti di loro non piace questa applicazione, voglia il Cielo che non si mostri vera. Faccio quest’affermazione malgrado non ignori che Cristo ha voluto soltanto dire che il diavolo lancia la sua semente clandestinamente e senza che nessuno lo rimproveri”.2

D’altra parte – come ritengono autori più recenti – Gesù non ha affermato che il nemico ha praticato il male “perché tutti dormivano”, ma piuttosto “mentre tutti dormivano”, ricordando anche un altro passaggio della Scrittura nel quale Egli afferma che la notte è stata fatta per dormire (cfr. Mc 4, 27). Tanto più che è normale sorvegliare il campo in prossimità del raccolto, e non subito dopo essere stato seminato, visto che nessuno sarà tentato di rubare sementi sparse a terra.

Scheda botanica del Lolium temulentum

Scheda botanica del Lolium temulentum

Non si tratta, pertanto, di un nemico qualsiasi, ma “del nemico”, quello principale. Il suo gesto non potrebbe essere più cattivo. Una pessima azione come la sua potrebbe essere mossa soltanto da un profondo odio o da una grande invidia. Inoltre, secondo antichissimi resoconti di persone vissute a Gerusalemme, vendette come quella di tagliare un albero da frutto (olivo, fico, vite, ecc.) erano peccati tipici di quella regione. Il Signore non stava semplicemente formulando delle ipotesi. Il pubblico che lo ascoltava sicuramente non trovava strano il riferimento a questo nella parabola, e nemmeno al caso della zizzania. La conoscono bene quest’erba coloro che coltivano il grano! Quando si sviluppa la piantagione, la zizzania o più propriamente il loglio – il nome scientifico è Lolium temulentum – fino a quando raggiunge la fase delle spighe, assomiglia moltissimo al grano, per cui risulta interessante la sua utilizzazione metaforica.

Ecco alcune ragioni per le quali in questo versetto non insiste sulla nocività del loglio che intreccia le sue radici a quelle del grano. L’obiettivo è solo evidenziare la presenza di questa erba cattiva nella piantagione. Inoltre, richiama l’attenzione sul fatto che essa è stata sparsa lì dal nemico clandestinamente, di notte, mentre tutti dormivano.

Santa Teresa di Gesù Bambino

Santa Teresa di Gesù Bambino

Commentando questo versetto, San Giovanni Crisostomo così si esprime: “Il Signore ci fa vedere che l’errore viene dopo la verità, fatto dimostrato dall’esperienza. […] E vedete, d’altronde, la malizia del diavolo: non è andato a seminare prima nel campo, una volta che non c’era niente da danneggiare; ma quando i lavori sono già finiti, allora sì danneggia il campo e gli interessi dell’agricoltore”.3

  Dio, nella sua infinita sapienza, ha creato gli esseri intelligenti in stato di prova, al fine di ricevere meritoriamente il premio della gloria eterna. E, per questa stessa ragione, ha permesso che gli uomini fossero tentati.4 Da qui la necessità della preziosa virtù della vigilanza. Così, indipendentemente dalla discordanza tra commentatori antichi e recenti, per quanto riguarda il fatto che questo versetto contenga o no una recriminazione verso coloro che dormono, è lampante l’azione del nemico: “seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò”. Egli ha approfittato del sonno dei suoi avversari per mettere in pratica la sua cattiva azione. E in questo particolare il Vangelo di oggi riafferma il precetto del Signore: “Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mt 26, 41).

Noi seminiamo nell’entusiasmo, è la fase del “fervore del novizio” durante la quale non c’è ostacolo che scoraggi le nostre decisioni. La stessa virtù della prudenza ci sembra un impedimento in questi momenti, di fatto, sentiamo di vivere un momento più di audacia che di ponderazione, un momento nel quale troviamo la conferma di quanta ragione avesse Santa Teresa di Gesù Bambino5 nel dire che per l’amore niente è impossibile. Peraltro, riferendosi alla situazione opposta, troviamo una massima solitamente attribuita a San Bernardo:6 è impossibile al novizio prudente perseverare nella vocazione.

Con o senza colpa da parte nostra, c’è un momento nel quale questa sensibilità diminuisce, non sentiamo più quell’impulso ardente e ci vediamo nella circostanza di appoggiarci solamente alla ragione – illuminata dalla fede, è vero – e nello sforzo della nostra volontà. È il cadere della “notte scura”, secondo il linguaggio di San Giovanni della Croce. Durante questo periodo, il demonio, il mondo e la carne trovano nella nostra anima terreno fertile per spargere il loglio.

Qui si capisce meglio l’immagine del sonno. Quando la sensibilità svanisce, è giunto il momento della vigilanza, come ci consiglia Santa Teresa di Lisieux, che diceva alle novizie: “Voi vi dedicate eccessivamente alle cose che fate; le vostre faccende vi preoccupano troppo. Qualche tempo fa, io ho letto che gli israeliti costruivano le mura di Gerusalemme lavorando con una mano sola, mentre tenevano nell’altra la loro spada. Ecco lì l’esempio di ciò che dobbiamo fare: lavorare con una mano sola; l’altra dobbiamo usarla per difendere le nostre anime dai pericoli che possono impedire l’unione con il buon Dio”.7

Potremmo dare un’altra applicazione alla parabola: c’è una “semente di loglio” che conserviamo dentro di noi in stato latente, quella della concupiscenza. Il Signore ha seminato il buon grano nel Paradiso, nell’atto di creare i nostri progenitori, Adamo ed Eva, concedendo loro la grazia e i doni che costituivano lo stato di giustizia originale. Da parte sua, il demonio ha seminato la zizzania del peccato e, con questo, l’uomo ha perduto il dono dell’integrità. Di qui, la concupiscenza, che non è che l’inclinazione naturale dell’appetito per i beni sensibili contrari alla ragione e alla Legge di Dio.

Come agisce in noi la concupiscenza?

La nostra conoscenza naturale si realizza attraverso i cinque sensi, come afferma San Tommaso,8 assieme alla Scolastica: Non c’è niente nel nostro intelletto che non sia prima passato attraverso i sensi. Ora, ancor prima che la ragione abbia emesso il suo giudizio sulla liceità o meno di qualsiasi bene sensibile, il nostro appetito già si è sentito inclinato a questo. E ancor più, soprattutto quando viene fortemente impressionato dall’attrazione del bene sensibile, il nostro appetito continuerà ad agire sulla ragione, anche dopo che questa ha decretato la sua sentenza proibitiva, cercando di trascinarla. Di qui, o esiste una ferrea forza di volontà – che si ottiene solo con la grazia di Dio – per opporsi alle sollecitazioni della sensibilità, o troveremo una giustificazione per il nostro comportamento illecito.

Per la nostra umiltà e vigilanza, Dio permette la permanenza del loglio della concupiscenza in noi, visto che il suo pungolo ci fa comprendere l’esistenza di un incentivo al peccato nel nostro essere. E per questo abbiamo bisogno di ricorrere sempre all’aiuto della grazia.

26 “Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania”.

San Giovanni Crisostomo9 commenta questo versetto dicendo che in questo modo sono soliti agire gli eretici, cioè all’inizio occultano le loro dottrine e intenzioni, ma, quando si vedono appoggiati, allora si dichiarano come tali: allo stesso modo si sviluppa la nostra vita spirituale. Come già abbiamo visto, all’inizio abbiamo “il fervore del novizio” che ci riempie di consolazione, ma, quando l’entusiasmo diminuisce, ci imbattiamo nel loglio della concupiscenza esistente dentro di noi.

27 “Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero:
‘Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da
dove viene dunque la zizzania?’ 28 Ed egli rispose loro: ‘Un
nemico ha fatto questo’. E i servi gli dissero: ‘Vuoi dunque che
andiamo a raccoglierla?’”

Arriva un certo momento della nostra esistenza nel quale l’inclinazione al male, in noi e negli altri, ci meraviglia, e non è raro che desideriamo estirparla immediatamente. Nascono allora nella nostra coscienza molteplici “perché”. Gesù, nella semplicità commovente della sua predicazione, immagina un dialogo ingenuo tra i servi e il loro signore, cercando di mettere in risalto la perplessità impaziente e afflitta degli uni, e la saggia calma dell’altro.

Grano e zizzania mescolati in una piantagione del nord americana

Grano e zizzania mescolati in una piantagione del nord americana

I servi vogliono un mondo senza la minima macchia, senza peccato, fatto solo di buoni. Questo è stato d’altronde, l’errore difeso dai donatisti nel secolo IV. Ma, questo si realizzerà solo nel Cielo, come insegnano l’Antico Testamento e San Giovanni Evangelista. In questa Terra, il bene e il male camminano insieme.

Incisione della parabola del granello di senape

Incisione della parabola del granello di senape

29 “‘No’, rispose, ‘perché non succeda che, cogliendo la zizzania,
con essa sradichiate anche il grano. 30 Lasciate che l’una e l’altro
crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura
dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per
bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio’”.

Possedendo una grande capacità di discernimento degli spiriti e una serenità di temperamento, il signore della parabola riflette sulla convenienza di rimandare la separazione per l’epoca del raccolto. Molti sono gli autori che commentano questo passaggio, mostrando non solo l’impossibilità di eliminare tutto il male da questo mondo, ma anche la convenienza della sua coesistenza con il bene. I buoni sono allenati dai cattivi, diranno alcuni, molte occasioni di sofferenza, pazienza e carità, ecc., sono offerte ai buoni dai cattivi, affermeranno altri.

In realtà, traspare qui la grande misericordia di Dio, il quale non permette che le creature si precipitino sul peccatore subito dopo il peccato, ma concede a quest’ultimo l’opportunità di pentirsi e ottenere il perdono.

Ecco il punto centrale del Vangelo di oggi: Non sradicate la zizzania!. Perché il Signore non vuole che sia strappata la zizzania? Lo zelo dei servi è esagerato, visto che è impossibile estirpare dalla legge ordinaria tutti i vizi e le passioni.10

III – La parabola del grano di senape

31 Un’altra parabola espose loro: “Il Regno dei Cieli si può
paragonare a un granellino di senape, che un uomo prende e
semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi ma,
una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un
albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami”.

Coloro che ascoltavano questa parabola conoscevano bene la cosiddetta Sinapis nigra in botanica, comunemente chiamata senape – Mustum ardens –, caratteristica per la sua minuscola semente che, una volta piantata, produce un lussureggiante arbusto sempreverde. Non di rado accade che un esegeta, per pura curiosità, la coltivi nel suo giardino e la sradichi dopo uno o due anni, per timore della sua vigorosa fecondità. È un arbusto molto comune in Palestina, soprattutto nelle regioni di maggior caldo e arriva a raggiungere tre o quattro metri di altezza, di modo che gli uccelli facciano il nido fra i suoi rami.

Chissà, forse Dio ha creato la senape principalmente per servirsene come elemento per questa bella parabola del Salvatore. Piccolissima in partenza, sorprendente nel suo sviluppo finale, questo vegetale serve bene per illustrare l’eziologia e la forza dell’apostolato cattolico e dello stesso Regno dei Cieli. Colui che è stato presente quando Gesù, poco prima di salire al Cielo, trasmetteva le sue istruzioni agli undici Apostoli (cfr. Mc 16, 15-18) non avrebbe certamente potuto immaginare che, in futuro, ci sarebbero state moltitudini di fedeli ad assistere ai funerali di Giovanni Paolo II, o alla Messa inaugurale del Pontificato di Benedetto XVI.

Chi ha conosciuto la Chiesa ai tempi di Gesù non avrebbe potuto immaginare le moltitudini di fedeli che hanno assistito ai funerali di Giovanni Paolo II

Chi ha conosciuto la Chiesa ai tempi di Gesù non avrebbe potuto immaginare le moltitudini di fedeli che hanno assistito ai funerali di Giovanni Paolo II

L’accrescimento è un elemento essenziale nell’insegnamento di questa parabola. Il Regno di Dio e l’apostolato sono quasi impercettibili al loro inizio, ma nel corso del tempo la loro espansione sarà incalcolabile e sorprendente soprattutto per la sproporzione tra la scarsità dei mezzi e la grandezza degli effetti.

Quando un bambino piccolo è portato al fonte battesimale e lì è toccato dalle acque della grazia, Dio lo santifica. Anni più tardi alcuni di questi teneri e delicati bambini saranno giganti nella fede; non c’è chi non conosca un San Giovanni Bosco o una Santa Teresa di Gesù Bambino, per esempio. Alberi frondosissimi, nati da una cerimonia tanto semplice… Seguendo il consiglio di San Girolamo, proviamo a paragonare le massime evangeliche con le sentenze dei grandi sistemi filosofici o addirittura con le grandi scoperte scientifiche dei giorni nostri. Niente di più opposto in termini di semplicità e complessità. Ma è soltanto dare tempo al tempo e avremo la conferma degli effetti diversi.

IV – La parabola del lievito

33 Un’altra parabola disse loro: “Il Regno dei Cieli si può
paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre
misure di farina perché tutta si fermenti”.

Certi antichi ed insigni commentatori hanno ritenuto, erroneamente, che questa parabola non fosse altro che una ripetizione di quella precedente. Esse hanno molta affinità tra loro, ma qui Gesù ha un altro obiettivo: “perché tutta si fermenti”. Non si tratta, pertanto, della semplice unione della farina con il lievito, ma della forza e del vigore nella capacità di azione dell’elemento minore su quello maggiore. Allo stesso modo il Regno dei Cieli ha questa intensità di penetrazione e trasformazione delle anime, fermentandole con gli insegnamenti evangelici.

La precedente parabola ritrae la capacità di espansione universale del Regno dei Cieli. Quest’ultima mostra il vigore interno che egli possiede per influenzare le anime.

V – Conclusione

Sono state di facile assimilazione per gli Apostoli le parabole della senape e del lievito. Quella della zizzania invece, li ha lasciati molto incuriositi. Per questo hanno voluto conoscere il suo esatto significato.

Il Divino Maestro insiste sulla questione della fine del mondo e del Giudizio finale, importante Novissimo, la cui meditazione ci aiuta ad evitare il peccato.

Nel suo insieme, la Liturgia di oggi pone l’accento sull’importanza di credere nella forza di espansione e di penetrazione della Chiesa, e nel contempo insiste sulla necessità della vigilanza – soprattutto nei momenti di diminuzione del fervore – per quanto riguarda sia noi stessi individualmente, sia l’opinione pubblica in generale.

Con gli occhi della fede, della speranza e della carità, pensiamo dunque al periodo finale dell’esistenza umana e prepariamoci per il giorno della grande mietitura, in piena santità di vita, di costumi e di relazioni sociali, in modo tale che, quando arriverà l’ora, potremo veramente “splendere come il Sole nel Regno del Padre”.

1) Cfr. MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios.
Evangelio de San Mateo. Madrid: BAC, 1950, v.I, p.501.

2) Idem, ibidem.

3) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Omelia LXVI, n.1. 
In: Obras. Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (46-90).
2.ed. Madrid: BAC, 2007, v.II, p.4; 6.

4) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. II-II, q.165, a.1.

5) Cfr. SANTA TERESA DE LISIEUX. Manuscrito A. Bayeux. In: Obras 
Completas. São Paulo: Paulus, 2002, p.119.

6) Cfr. SAN BERNARDO. Lettre ou Traité de Guiges aux Frères du 
Mont-Dieu. In: OEuvres. Bar-le Duc: Louis Guérin, 1870, p.610. 
Questa opera è attualmente attribuita ad altro priore della Grande 
Chartreuse: SAINT-THIERRY, Guillaume de.De la vie solitaire. Lettre 
aux Frères du Mont-Dieu. Paris: J. Vrin, 1946.

7) SANTA TERESA DE LISIEUX. Conseils et souvenirs. 2.ed. 
Lisieux: Carmel de Lisieux,1952, p.74.

8) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. De Veritate. Q.II, a.3, ad 19.

9) Cfr. SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, op. cit., p.6.

10) Cfr. PUENTE, Luis de la. Meditaciones. Madrid: Apostolado de 
la Prensa, 1950,v.I, p.976.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.